Court mentre i proclami di Khomeini occupano ancora le prime pagine dei giornali. Ma è ovvio che se i gruppi alternativi spariscono e se le grandi compagnie sovvenzionate orientano le proprie scelte in direzione di Broadway un teatro come questo ha sempre minori possibilità di fare sentire la sua voce. Compagnie e testi inglesi sono stati presenti da sempre sui palcoscenici di Broadway: Shakespeare, qualche grande attore, qualche nuovo autore, tanto per dare agli spettatori americani l'impressione di partecipare a un evento culturale - già bastava l'accento inglese, così automaticamente colto e raffinato - e per dare ai teatranti inglesi la possibilità di intascare unpo' di valuta pregiata. Ma negli ultimi tempi si è assistito ad una svolta clamorosa. Qualche anno fa la Royal Shakespeare Company portò a Broadway un suo spettacolo nwn.stre, della durata di quasi nove ore con un'ora di intervallo a metà per una parca cena nella vicina tavola calda. Era l'adattamento del Nicho- /as Nick/eby di Dickens, con un cast eccellente e affiatatissimo che copriva un centinaio di personaggi, una splendida scenografia ed una esemplare regia del direttore artistico della compagnia, Trevor Nunn.11 successo fu grande: tutto era così squisitamente inglese - il testo, i costumi, gli ,tttori - e la messinscena era così grandiosamente americana! Forte di questo suo senso dello spettacolo così vicino al gusto d'oltreoceano, Nunn si lanciò alla conquista di Broadway scendendo in campo proprio sul terreno più tipicamente americano, quello del musical. Per incredibile che possa sembrare i musica/s che negli ultimi anni hanno avuto aBroadway maggiore successo sono in gran parte inglesi, Cats eStarlight Express di Andrew Lloyd Webber, Les Misérab/es, adattamento di David Edgar per la Royal Shakespeare Company, Chess di Tim Rice- tutti con la regia di Trevor Nunnche, ha calcolato "Variety", ha visto salire i suoi guadagni in royalties a cinque milioni di dollari ali' anno. È ovvio che a questo punto Londra, per quanto riguarda il musical, è diventata l' anticamera di New York. Webber fa i suoi musica/s nel suo teatro con già in tasca i contratti americani; gli altri fanno l'impossibile per ottenerli, impostando tutto il lavoro in funzione dei potenziali acquirenti, a TEATRO scapito di quell'originalità che è poi-la merce più preziosa, e rifugiandosi in una spirale di costi vivi e ricavi sperati che rischia di strangolare impietosamente il povero teatro musicale inglese. Trevor Nunn "giustificava" i propri astronomici guadagni dicendo che, in tempi di tagli delle sovvenzioni, le tourn.ées americane della RSC erano un utilissimo strumento di autofinanziamento della compagnia. Probabilmente è d'accordo con lui l'ex-direttore artistico del National Theatre, Peter Hall, che prima ancora di Nunn sbarcò a Broadway con il meschino Amadeus di Peter Shaffer. Qui l'operazione fu ancora più complessa e terminò, come si sa, con il fortunatissimo film di Milos Forman, che almeno era meno peggio del testo teatrale. Lo stesso accadde con un'altra produzione del National, P/en.ty, il testo forse meno convincente di David Hare, diventato film con Meryl Streep per la regia di Schepisi, e poi con leLiaison.sdan.gereuses (produzione della RSC), portate sullo schermo da Frears in modo mirabile. E la cosa continua. Uno dei maggiori successi della passata stagione, dovu" to soprattutto alla splendida interpretazione di Pauline Collins nella parte della protagonista, Shirley Valen.tin.e, è prima finito a Broadway e poi sul grande schermo (il film è stato presentato al festival di Montreal, ottenendo, pare, i più ampi consensi). Una parte del mondo teatrale inglese salutaconentusiasmo questo nuovo corso, che _cosìbene si sposa con il liberismo della Droghiera. Il teatro costa, le Spese di produzione e di gestione sono altissime, i guadagni, quando ci sono, modesti.Mentre!' America premia il successo, dispensa dollari e notorietà internazionale. Perché mai i migliori talenti britannici, autori, registi, attori, non dovrebbero ricevere il giusto premio? Innanzitutto perché Broadway non premia quasi mai i migliori (né per quanto riguarda il teatro inglese, né per quanto riguarda quello americano) e determina invece una scala di valori fasulla, con gli inevitabili riflessi negativi sul mercato teatrale londinese. E poi perché, come per il musical, il miraggio di Broadway, pernonparlaredi Hollywood, induce impresari, registi e autori a confezionare un prodotto che possa avere successo dalle parti della42° Strada; con il bel risultato di proporre della robetta che non è né carne né pesce, che non solo non avrà successo aBroadway, ma che neppure ci arriverà e si esaurirà miseramente sui palcoscenici londinesi. Il che non sarebbe affatto grave se non facesse proliferare quei vuoti in platea che fanno poi gridare alla crisi e che, in una logica suicida, chiudono ulteriori spazi alle voci più scomode e irriverenti, ai linguaggi meno banali, e cioè ai contributi più vivi e più originali, a quelli che meglio sarebbero in grado di colmare quei vuoti.Non è il caso di intonare canti funebri: le risorse di talento, di intelligenza e di energia del teatro inglese dovrebbero essere tali da consentirgli di superare questa difficilissima prova. Restano le cecità e l'imbecillità di una politica e di un clima ideologico che in nome del profitto hanno soprattuttooriginato maggiori deficit, rischiando di affossare uno dei patrimoni più preziosi della cultura inglese contemporanea. Sopra:Richard O'Callaghan (Mozart) e Frank Finlay_(Solieri) in Amadeus di Peter Shalter, interpreti della prima rappresentazione ( 1979) diretta da PeterHall. Sotto: Alan Rickman (Yalmont) e Juliet Stevenson (Madame de Tourvel) in le relazioni pericolose di Christopher Hampton, prima rappressentazione, diretta da Howard Davies per la Royal Shakespeare Company. 83
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