Linea d'ombra - anno VII - n. 43 - novembre 1989

TEATRO quelle compagnie che non li ricevono più dalle amministrazioni locali. Le associazioni regionali, che secondo l'opinione superficiale di molti rappresentano il futuro del sovvenzionamento statale in Gran Bretagna, sono a loro volta parzialmente sovvenzionate dall 'Arts Council e ogni crisi interna a quest'ultimo si riflette sulle loro attività. Mentre il network di collaoorazioni sembrava paralizzare parte dell'Intellighenzia che lo aveva creato, il nuovo potere finanziario iniziava ad esprimersi organicamente, tramite la fondazione della Association of Business Sponsorhip for the Arts (dytta A.B.S.A., 1976), una sorta di "cercaclienti" per piccoli sponsor che non si intendono di arte. Fra le tante pri vatizzazioni avviate dai governi Thatcher, e le collaborazioni volute dall' Arts Council, questa è la più complessa. Premesso che nessuna compagnia è in grado di ottenere fondi statali a meno che non li ottenga da più enti sovvenzionatori, e premesso che le fonti principali si sono ridotte a tre nel 1986 (due se si considera che le associazioni regionali e l' Arts Council lavorano in parte con fondi comuni), aggiungiamo che nessuna compagnia può ottenere fondi statali se questi non sono a loro volta legati ad una qualche forma di investimento privato interno (la compagnia investe le entrate) o esterno (gli sponsor). Per sveltire le richieste delle compagnie, l' A.B.S.A. ha prodotto un piccolo manuale dove esplicita le sue richieste; in primis consiglia di cambiare la terminologia utilizzata nei cartelloni artistici: a parole come "sperimentale, piccolo, controverso e minoritario si preferiscano parole come eccitante, originale, immaginativo". Torniamo a John McGrath. Nel giro di pochi anni le sue due compagnie teatrali hanno visto prima ridurre, poi azzerare i loro sovvenzionamenti: gli sponsor difficilmente vanno alla ventura. Per attrarre la loro attenzione le compagnie superstiti debbono quindi fare attenzione, per quanto riguarda il budget e il cartellone, a non discostarsi dalle politiche artistiche di tutti gli enti sovvenzionatori e, a maggior ragione, dalle precise indicazioni degli sponsor. McGrath mi raccontò che nel suo libro Poisoning the Water, di prossima pubblicazione, definisce questa nuova tendenza come "cultura! engineering": le due nuove parole chiave sono "provision", ovvero la creazione di una serie di istituzioni preconfezionate sia nelle regioni che nelle grandi città e "centres of excellence", ovvero il monopolio e la reductio ad unum di un "bello" vagamente definito, da parte di una istituzione intellettuale e finanziaria a sua volta vagamente definita. Sottolineo inoltre come l'arte che meglio sembra esprimere questa nuova politica, o "non-politica" sia la danza, mentre, per quanto riguarda il settore teatrale, prevalgono i classici, la commedia tipo West End e l'espressione corporea. Scompare la contemporaneità della parola; o per lo meno scompare la sua passata spontaneità. Se infatti un tempo i lineamenti di politica artistica di enti separati permettevano una certa varietà, l'omologamento attuale impone la scrittura di drammi standard; il socio-politico è diventato soltanto sociale, o, addirit~ tura, sociologico, e comprende: minoranze etniche, problemi derivanti dalla disoccupazione, elementi di femminismo (...) e parla di anziani, portatori di handicap, minatori (...) con qualche riferimento ai classici, possibilmente non quelli più famosi; il tut~ tosi rivolge ad un pubblico locale, ma contemporaneamente regionale, divertendolo, ma al tempo stesso sensibilizzandolo verso il problematico e il contemporaneo, senza offesa diretta per tranquillizzare gli sponsor, ma senza rimanere troppo sul generico per soddisfare gli enti sovvenzionatori. Si ritorna così all'idea di John McGrath dei "centres of excellence" e alla politica del disimpegno, della scrittura facile e accondiscendente. Ma si ritorna anche all'autocoscienza. La chiusura fisica di molti teatri e la mancanza di fondi per molte compagnie sembra ancora una volta, dopo una pausa decennale, portare alla ricerca di nuovi spazi. Se infatti le scelte politico-artistiche si sono orientate contro le compagnie e i teatri, esse non sem82 brano aver coinvolto, per lo meno direttamente, la scrittura teatrale. Nell'Inghilterra degli anni Ottanta si continua a scrivere e i gruppi superstiti continuano ad essere pagati per mettere in scena le cosiddette "opere nuove". La creazione della Broadcasting Standards Authority, un ente di censura televisiva fondato lo scorso anno e diretto dall'expresidente dell 'Arts Council, nonché ex-B.B .C., ex-Times, William Pees-Mogg, preoccupa inoltre quanti si erano rivolti anni fa a questo mezzo di comunicazione. Fra gli altri, Trevor Griffiths, il quale crede che proprio per questo motivo il teatro ritornerà "po-· litico", o per lo meno impegnato. MountainLanguage di Harold Pinter ne è in un certo qual senso una prova: di fronte alla crisi televisiva e al successo della danza e dell'espressione corporea, il più brillante drammaturgo inglese rivalorizza il linguaggio e ne fa uno strumento di potere forte. La parola torna a significare e l 'autore torna a volerla far significare. Se veramente l'arte di Beckett è riuscita a svuotarla nell'iperdeterminarla, se veramente la recente burocrazia delle sezioni finanziarie degli enti sovvenzionatori l'ha soffocata, dando priorità all'etichetta di definizione delle messe in scena, sembra che le esigenze di scrittura odierne ci riportino invece dialetticamente ad un processo di ricostruzione. Forse, in parte, operazioni come quella del manualetto degli sponsor, che, come si è visto, era anche terminologica, obbligano gli autori ad una nuova valorizzazione linguistica. Ma questo, se avverrà, sarà solo dopo un lungo e noioso silenzio riflessivo, sia da parte degli artisti, sia da parte degli affaticati enti sovvenzionatori il cui potere, e lo si è visto, è stato e potrà ancora essere estremamente forte. A BROADWAY! A HOLLYWOOD! ILTEATROINGLESE I DOLLARAIMERICANI PaoloBertinetti Negli scorsi mesi numerosi impresari, "pubblici" e privati, della finora affollatissima scena londinese hanno dovuto contemplare con disperato stupore i vuoti paurosi apparsi nelle platee e nei palchi dei loro gloriosi teatri. I motivi di questo calo di interesse da parte del pubblico possono essere in parte casuali e contingenti; ma altri motivi sono di carattere profondo e strutturale e rappresenta• no il risultato di un decennio di "liberismo thatcheriano" applicato al teatro. Una delle grandi risorse del teatro inglese degli ultimi vent'anni, i gruppi alternativi delle più varie sfumature, come spiega nel1' articolo a fianco Gabriella Giannachi, è stata in gran parte ridotta al silenzio dai tagli alle sovvenzioni della Droghiera di Ferro. E l'altro teatro, sia quello commerciale che quello istituzionale (National e Royal Shakespeare Company), ha scoperto l'America, cioè le royalties di Broadway e Hollywood: e la prospettiva dei favolosi guadagni americani ha condizionato e impoverito non poco le scelte teatrali londinesi. I drammaturghi continuano a essere il principale punto dì forza dì un teatro che, accanto ad autori di valore assoluto come Pinter, accanto alla raffinata eleganza di un· Bennett, al sofisticato intellettualismo reazionario di uno Stoppard e all'altissimo livello artigianale dei suoi costruttori di digestive e brillanti commedie, da più di trent'anni ha sempre dimostrato una così forte attenzione e un così solido legame rispetto alla realtà e alle trasformazioni sociali del paese. Non è tanto questione di teatro più o meno impegnato, bensì dì un teatro che, come il miglior cinema americano, ha saputo essere il luogo privilegiato della riflessione sul~ là società contemporanea. Basti pensare, ancora in tempi recentissimi, al formidabile ritratto della nuova generazione dì proseliti della filosofia thatcheriana dell"'iirricchitevì senza piètà" che ci viene offerta da testi come Serious Money di Caryl Churchill, Fashion di Doug Lucie, Valued Friends di StephenJeffrey. Oppure allapièce diHowardBrentoneTarìqAlìche interviene sul caso Rushdie e riesce ad andare in scena al Royal

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