Linea d'ombra - anno VII - n. 43 - novembre 1989

IL CONTESTO zata la fatale saldatura stereotipa di tedesco e nazista. Tutto questo è comprensibile, anzi legittimo. Ma oggi dobbiamo distinguere più energicamente tra giudizio storico e stereotipo. Da qui prende avvio la costruzione di una memoria comune europea, critica e solidale. Potremmo cominciare con il ricordare che le prime vittime della "barbarie tedesca" furono altri tedeschi - democratici, socialisti, comunisti, liberali,religiosi, laici ecc. - per finire con i membri di quella Resistenza anti-hitleriana, di cui da noi si conosce ~sai poco. E comprensibile - viceversa - che da noi ci sia una grande sensibilità per tutte le forme di rinascita o ritorni di neo-nazismo. Molta stampa ha letto in questa chiave i recenti successi elettorali di gruppi di destra estrema nella Repubblica federale. La mia opinione è che questi successi si spieghino con ragioni diverse dalla nostalgia neo-nazista. Sono legate all'acuirsi della questione etnica che sta investendo tutta l'Europa provocando indistintamente reazioni xenofobe. La xenofobia, l'intolleranza etnicorazziale sono un pericolo incombente sull'intera Europa, anche se in Germania potrebbero riattivare predisposizioni collettive, mai pienamente corrette, che nel passato hanno portato agli orrori che conosciamo. · 5. Siamo così al tema del "passato che non passa", per riprendere un'espressione diventata ormai corrente. In questi ultimi due anni si è avuta un 'inattesa drammatizzazione di un annoso dibattito. Sotto l'etichetta di "revisionismo" si è riacceso l'interrogativo se i crimini nazisti, anzi più esattamente se e come il genocidio contro gli ebrei debba considerarsi un evento "unico" nel suo genere. Chi tende a rivedere o meglio a riformulare questo concetto (come fa ad esempioEmst Nolte), compie questa operazione stabilendo un confronto diretto con quanto è accaduto nell 'Unione Sovietica dalla rivoluzione bolscevica agli stermini stalinisti. Non intendo ripercorrere qui le tappe di una polemica che in pochi mesi ha prodotto centinaia di interventi e decine di libri. Mi limito? ricordare l'interrogativo di Nolte che ha fatto il giro del mondo lasciando turbati o esterrefatti: "L'arcipelago Gulag non fu più originario di Auschwitz? Lo 'sterminio di classe' dei bolscevichi non fu il prius logico e fattuale dello 'sterminio di razza' dei nazionalsocialisti?". Lo stesso Nolte ha dato risposte di versamente calibrate e non sempre chiare a questo interrogativo, formulato in modo volutamente retorico. Una risposta di Nolte suona così: "In quanto annientamento tendenzialmente totale di un 'popolo mondiale', il genocidio degli ebrei si distingue in modo sostanziale da tutti i genocidi ma è l'esatta immagine rovesciata dell'annientamento tendenzialmente totale di una 'classe mondiale' ad opera del bolscevismo". In questo senso il genocidio ebraico sarebbe la copia o il calco biologico razziale di un' azione sociale originariamente forgiata per la lotta politica di classe. Diciamo subito che la tesi noltiana del "nesso causale" tra bolscevismo e nazionalsocialismo non è storicamente sostenibile in questi termini. Non solo la dottrina e la pratica razziale del nazionalsocialismo hanno una loro autonomia e "originalità" (per usare il termine noltiano) interna alla cultura tedesca. Ma l'intera dinamica sociale e politica del nazionalsocialismo risponde a radici, motivi, obiettivi che solo molto indirettamente chiamano in causa il parallelo sviluppo del bolscevismo e stalinismo. Chiarito questo punto di principio merita attenzione la questione delle affinità di struttura e mentalità, delle suggestioni imitative, delle fantasie proiettive reciproche tra i due regimi totalitari nazionalsocialista e stalinista. È un punto che non può essere eluso in una riflessione come la nostra: soprattutto per un'area geografica come l'Europa centrale che più di ogni altra ha sofferto delle affinità e reciproéità dei due regimi totalitari. In un'area dove si fanno sempre più esplicite e circostanziate le denunce dello stalinismo e delle sue conse6 guenze disastrose. Nessuno di noi tuttavia può sostituirsi ai polacchi, agli ungheresi, ai cecoslovacchi nella ricostruzione e valutazione critica di questa fase storica, evitando lo scaricamento delle colpe e la neutralizzazione incrociata delle responsabilità storiche, quale talvolta affiora nel revisionismo tedesco. Ma vediamo più da vicino due tipici motivi di questo revisionismo. Si possono formulare nel modo seguente: a) Il genocidio ebraico, sulle cui dimensioni e qualità eccezionali non ci possono essere dubbi, si iscrive purtuttavia nel ciclo delle violenze collettive che segnano l'Europa a partire dalla prima guerra mondiale. Questa constatazione assegna un carattere completamente diverso alla tesi della "unicità" dell'Olocausto. La violenza di natura etnico-razziale, compreso il genocidio, è una componente interna dello scontro delle politiche di potenza, degli imperialismi del secolo XX. Questo ciclo si conclude in Europa nell'immediato dopoguerra con l'espulsione di milioni di tedeschi dalle loro terre orientali. In questa ottica l'Europa centro- .orientale diventa il luogo storico di una doppia catastrofe ebraica e tedesca. b) Un secondo motivo revisionista si può riformulare così: la vergogna morale di Auschwitz non deve segnare necessariamente come tale l'identità dei tedeschi di oggi. Non neè lo stigma indelebile. I loro problemi di identità storica rimandano piuttosto al fallimento della Germania come nazione e come grande potenza e quindi alle conseguenze politiche e culturali che ne sono derivate. Il costo più tangibile di questo fallimento è la divisione della nazione, lo smembramento delle regioni orientali (Prussia, Pomerania). 6. Come si può replicare a queste considerazioni, a cominciare dalla messa in dubbio del carattere "unico" del genocidio degli ebrei? A mio avviso, insistere sulla "unicità" dell'Olocausto, per salvaguardarne il ricordo e fame argomento decisivo contro ogni razzismo, potrebbe rivelarsi una strategia o una pedagogia debole. Rischia di portare inconsapevolmente, specialmente nelle generazioni più giovani, a una sorta di ritualizzazione che pone l'evento fuori dal mondo, dalla storia. Il pericolo che io vedo oggi non è tanto l'oblio o la rimozione, quanto la fissazione dell'Olocausto a un immaginario e linguaggio quasi sacrali che perdono contatto con la quotidianità, la "banalità del male", la sua infinita moltiplicabilità. Parlo naturalmente non delle testimonianze dei protagonisti, ma di certi modi della loro trasmissione. Mi chiedo se il cerchio d'orrore e di sacro che racchiude Auschwitz agli occhi di tanti giovani sia la strada migliore per far maturare la loro intelligenza storica. L'Olocausto non è unico perché materialmente o moralmente inconfrontabile con altri genocidi. Anche se è documentabile che quanto è accaduto non è mai accaduto prima, questa diversità non può basarsi in modo risolutivo su indicatori numerici, materialì o qualitativi di tipologie e tecnologie degli orrori di massa. Il carattere eccezionale del genocidio ebraico va ricercato in altre due direzioni. Innanzitutto esso segna una cesura storica senza precedenti nella percezione collettiva delle vittime e di coloro che ne sono venute a conoscenza. La indicibilità, la "incomunicabilità" di quanto è ·avvenuto - motivo costante delle testimonianze dei sopravvissuti - entra in contraddizione con la nostra civiltà della parola, del concetto, della comunicazione. Di più: dal momento che la questione ebraica è stato un momento costante del "discorso pubblico" europeo (dall'emancipazione dei Lumi alle giustificazionf dell'antisemitismo tra le due guerre), l'Olocausto diventa una denuncia bruciante dell'universalismo europeo (cristiano e laico) posto di fronte alla sua prova storica più severa. · Da qui il carattere non già unico, ma esemplare e paradigmatico dell'Olocausto. Non si tratta di uno scambio di concetti, di sapore accademico. Carattere paradigmatico dell'Olocausto signi-

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