Linea d'ombra - anno VII - n. 43 - novembre 1989

IL CONTESTO Memorie e confini d'Europa I paesi del Centro e la 11 miseria tedesca" Gian Enrico Rusconi , 1. In tema d'Europa all'enfasi retorica dei politici e dei massmedia, che usano un linguaggio troppo simile a quello delle agenzie turistiche di viaggio, fa riscontro un certo imbarazzo delle memorie collettive. Parlo di memorie in senso proprio: non dei buoni sentimenti di oggi, generosamente retroproiettati sul passato. La memoria è una dimensione vitale ostinata. Non è un magazzino di robe vecchie da cui si possono prendere articoli a piacimento. È un vissuto che si lascia rivisitare, rielaborare ma non manipolare. Ebbene la memoria reciproca dei popoli europei riposa a tutt'oggi su un vissuto carico di dolori, paure, terrori. Presso le generazioni più adulte, appena sotto la crosta dei reciproci sorrisi, sono sedimentati risentimenti, residui passivi di inimicizie. Non esiste una memoria comune europea solidale. Né può essere inventata, a partire da memorie spezzate. Da qui il singolare contrasto tra un sincero volontarismo europeisticQ e la reticenza dei ricordi diretti. Il contrasto traspare anche dalla valanga di documentazioni filmate e televisive di questi mesi, in coincidenza con il cinquantenario dello scoppio della seconda guerra mondiale. Eppure dobbiamo rivisitare queste memorie dure, che sono segnate ancora soprattutto dai confini etnico-nazionali. Sono essi che delimitano "i" tedeschi, "gli" italiani, "i" russi, "gli" ungheresi e così via. La storia europea moderna è stata segnata a fondo dai confini etnico-nazionali. Non esiste una memoria solidale europea perché l'Europa è stata una singolare combinazione di diversità. Una somma di tensioni tra culture affini eppure competitive, di interazioni di diversi. Qualcuno ha parlato di "miracolo europeo" proprio per questa coesistenza di tensioni. Accanto arisultati esaltanti, ci sono costi molto alti. Alcuni popoli hanno pagato più di altri. Alcune nazioni portano responsabilità storiche più pesanti di altre. Tutto questo è rimasto nella memoria. Oggi possiamo rivisitare questa memoria: non per assolvere né per recriminare. I criminalì rimangono criminali, le vittime rimangono vittime, i complici rimangono complici: questo vale per $li eroi come per i codardi, per gli stupidi come per i generosi ecc. E mantenendo queste gerarchie morali, che possiamo rielaborare una memoria comune, attraverso la quale capire le ragioni e il senso di tutte le posizioni, anche delle più ripugnanti. Capire la qualità dei conflitti e dei comportamenti da cui alla fine è nata l'Europa di oggi. 2. L'itinerario delle memorie e dei confini d'Europa può e deve iniziare dal Centro e dalla Germania (dalle Germanie, sevogliamo usare un criterio statuale). Questo è il luogo storico di eventi che hanno inciso in profondità nel XX secolo. Da qui prendono inizio le due guerre mondiali, qui si commettono violenze e genocidi senza pari, qui si crea la divisione più drammatica del1'Europa moderna. Ma nel contempo il Centro Europa sta diventando il luogo storico più inquieto, innovativo, stimolante, ricco di prospettive per l'Europa stessa. Parlare d'Europa a Praga, a Budapest, a Varsa via o a Lipsia produce un'emozione che nessuna agenzia pubblicitaria parigina o milanese saprebbe ricreare o inventare. Da quelle parti l'Europa significa esperienza culturale (spirituale, starei per dire), oltre che mercato delle merci che consentono un legittjmo benessere. 3. Ma dov'è il Centro d'Europa? Dove comincia e dove finisce? Sembrano domande stravaganti, da vecchia geopolitica. Attorno a queste domande si sono scatenate passioni distruttive e guerre. Centro è proprio quel pezzo d'Europa dove la delimitazione dei confini ha portato con sé le disgrazie più gravi. Senza andare tanto indietro al granducato di Polonia, al regno di Boemia o ai cavalieri teutonici della Prussia, guardiamo la carta geogra- , fica di oggi a confronto con quella di 70 anni fa. Rispetto al 1918 ci sono Stati che si dissolvono e Stati che nascono; Stati che si spostano di centinaia di chilometri e- ancora- ridimensionamenti, modifiche, mutilazioni territoriali. Quello che non si vede dalle cartine sono i massacri di popolazioni e gli spostamenti coatti di milioni e milioni di persone attraverso vecchi e nuovi confini. Soprattutto la carta geografica non ci dice che da quelle aree è sparito, letteralmente annientato un popolo senza Stato: i milioni di ebrei che vi abitavano da secoli. La definizione stessa di Centro d'Europa è stata motivo di competizione culturale e politico-militare. La Germania, infatti, si è tradizionalmente concepita come potenza e nazione di Centro - in polemica esplicita contro l'Occidente al di là del Reno e l'Oriente delle pianure russe. Questa autocollocazione culturale e geopolitica presupponeva tacitamente o esplicitamente la "civilizzazione" ovvero la germanizzazione dei popoli slavi che si trovavano nel mezzo di quelle che erano considerate aree di potenza. Germanizzazione ha per noi oggi un suono sinistro. Ma dobbiamo riconoscere che per secoli esso ebbe contenuti di effettiva modernizzazione e di stimolo culturale per popolazioni tagliate fuori da contatti diretti con i centri europei più vitali. Affiancata e insieme in competizione con questa visione germanocentrica dell'Europa di mezzo, c'era un'altra prospettiva, anch'essa connotata dall'idea di Mitteleuropa. Una prospettiva forse più universalistica, polarizzata più a sud e a est. C'era il polo viennese, specificatamente asburgico, che recentemente ha avuto un singolare rilancio pubblicistico. Ma c'era anche un polo più ampio e variegato, racchiuso nel cerchio ideale Praga, Budapest, Cracovia, Lubliana, Vienna. È difficile dire oggi se anche questo luogo magico sia l'idealizzazione retrospettiva di letterati e poeti che inventano comunanze di cultura là dove ci furono innanzitutto inimicizie etniche e politiche che negli anni Venti e Trenta portarono a conseguenze fatali. Ma prima di toccare questo punto, devo ricordare un altro elemento - anch'esso negativo - del nostro quadro di memoria e confini. 4. Un filo nero collega le memorie separate degli europei: un'immagine negati va del tedesco. Si tratta di un'immagine creata in parte spontaneamente nelle culture/subculture diffuse. In parte è stata costruita dalle agenzie di Stato in occasione dei due conflitti mondiali. Nel nostro paese, basti pensare all'immagine del tedesco/austriaco dei nostri nonni/bisnonni fusa e confusa con la propria disponibilità al sacrificio supremo alla patria. Basta andare a leggere le migliaia di lapidi e cippi che ancora segnano i luoghi del sacrificio nella Grande Guerra. In essi il tedesco è dipinto con le truculente tinte del barbarico malvagio secondo an-, tichi stereotipi. Direttamente a questa tradizione si è collegata senza fatica la memoria della Resistenza. Tramite essa si è raffor5

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