Linea d'ombra - anno VII - n. 43 - novembre 1989

FINE AGOSTO Hans Christian Branner traduzione di Fulvio Ferrari Era già metà agosto quando arrivammo a Parigi, e non era nostra intenzione rimanervi a lungo. Volevamo proseguire verso la Francia del Sud e i Pirenei, desideravamo vedere delle montagne. Proprio quell'estate il nostro matrimonio aveva compiuto dieci anni, e per tutto quel tempo nessuno dei due aveva visto delle vere montagne. Pensavamo di cercarci un posto su in cima ai Pirenei e restarci per un mese. Non ne parlavamo, ma io sono convinto che entrambi fossimo così fissati con quelle montagne perché speravamo di ritrovare qualcosa che avevamo perduto. C'era sfuggito senza che ce ne rendessimo minimamente conto, nel corso di dieci anni, parlando e lavorando l'avevamo allontanato da noi, sedendo in poltrona e leggendo il giornale. Ce n'eravamo distaccati mangiando e bevendo insieme a gente che, in fondo, non sapevamo come avessimo incontrato e con cui non sapevamo cosa avessimo in comune. Strato su strato di cose indifferenti e casuali s'era depositato su quel che avevamo perduto, e ormai non riuscivamo nemmeno più a ricordarci di cosa esattamente si trattasse. Ci rendevamo soltanto conto che non l'avevamo più. Forse avremmo potuto aiutarci a vicenda a ricordarlo, ma non ne parlavamo perché tutt'e due ci vergognavamo un po' d'averlo dimenticato tanto bene. Eppure, senza dubbio, un teinpo era stato molto importante, forse la cosa più importante di tutte. C'eravamo riproposti di vedere molto, a Parigi, e in effetti i primi giorni vedemmo un bel po' di cose. Andammo al Louvre, sull'Arco di trionfo e sotto l'Arco di trionfo, dove ardeva la fiamma sulla tomba del milite ignoto. Un giorno andammo anche alla torre Eiffel - non salimmo, ci sedemmo in un ristorante raffinato, con il pavimento a parquet, lì davanti: la guardammo attraverso il vetro. Il cielo parigino d'agosto, al di sopra della torre Eiffel, era velato dal caldo, noi sudavamo e ci annoiavamo un po'. Poco a poco smettemmo di andare a vedere cose e rimanemmo nel quartiere dove avevamo preso alloggio, seduti a tavolini di ferro, sotto tende a strisce. Infine il caldo fu tale che uscivamo solo la mattina e la sera, per tutto il resto della giornata ce ne stavamo nel nostro albergo, in una viuzza laterale del Boulevard S t. Germain. La stanza assomigliava a tutte le altre stanze degli alberghi parigini a poco prezzo, con una tappezzeria a grandi fiori e mobili ricoperti di felpa. Quando rientravamo ci toglievamo quasi tutti i vestiti e stavamo seduti per un po' con i piedi immersi nell'acqua fredda, poi ci stendevamo sul letto che occupava metà della stanza. All'inizio leggevamo i libri portati da casa, ma infine smettemmo di fare anche quello. Ce ne stavamo semplicemente ognuno dalla sua parte del letto e lasciavamo che il tempo scorresse via. Il tempo e tutti i rumori che salivano dalla strada, e il gran fracasso trionfante del boulevard. Non c'impegnavamo in lunghi, appassionati colloqui come forse avevamo pensato di fare, però ci stuzzicavamo un po' a vicenda. Io dicevo a Winnie: "Domani torniamo al Louvre. Vedrai tutte le sale con l'arte antica che hai studiato a scuola. Pensa, le grandi battaglie di David, e l'incoronazione di Napoleone che c'era sul libro di storia. Sarai costretta a esprimere il tuo giudizio su ogni singolo quadro. Sentirai la tua voce dire che Rembrandt è quanto di più grande tu abbia mai visto." "E dopodomani andiamo al Mercato d~lle pulci", diceva Winnie. "Ci andiamo verso mezzogiorno, quando ci si sente tutti intontiti e si crepa dalla puzza d'olio rancido. Così vedrai strade piene di mobili e scatole a sorpresa e ninnoli dei secoli scorsi. Pensa ai soprammobili, pensa: una strada intiera piena di soprammobili rosa ..." · "E dopo-dopodomani andiamo a vedere la tomba di Napoleone", dicevo io in tono deciso. Winnie dondolava il piede oltre il bordo del letto, lo girava di qui e di là, lo osservava. "Poi, la sera, andremo a Montmartre", diceva. "Tu entrerai in uno di quei locali licenziosi per turisti. Pensa, un uomo e una donna nudi ricoperti d'argento. Attraversano la sala e s'atteggiano a formare diverse sculture. Sotto l'argento si vede la pelle corrugarsi ..." Ce ne stavamo così sdraiati e ci punzecchiavamo a vicenda con quello che ognuno di noi odiava di più. In realtà non volevamo vedere nessuna di quelle cose, non volevamo vedere proprio, più niente. Il tempo s'era fermato. Galleggiavamo distesi sul dorso, accorgendoci che finalmente eravamo a Parigi. Qualche cosa aveva prudentemente cominciato a stillare, ma non era quello che eravamo andati lì a cercare. Non sapevamo cosa fosse. E alle montagne non pensavamo più gran che, ormai. Non sapevamo nemmeno quando avremmo ripreso il nostro viaggio verso Sud, non sapevamo nulla. Quando faceva un po' più fresco, ci sedevamo davanti alla finestra francese aperta. La via era mo! to stretta, guardavamo dentro le altre finestre aperte sull'altro lato, vedevamo tutto quel che succedeva là dentro. E dall'altro lato vedevano quel che succedeva da noi. La famiglia proprio davanti a noi preparava la tavola e si sedeva a mangiare accanto alla finestra, pareva un piccolo clan biblico. Potevamo vedere tutto quel che mangiavano: aragoste è gustose fette di carne e insalate in tante piccole ciotole, mescolavano aggiungendo olio e aromi. Infine una grossa anguria rosso sangue. Ci veniva fame a guardarli, io scendevo in strada e compravo vino e frutta. Facevo cenni con il capo e sorridevo a tutti i negozianti della via, e loro mi rispondevano con cenni del capo e sorrisi. La nostra reciproca conoscenza era qualcosa di naturale: avevamo sempre abitato nella stessa strada, vivevamo lì la nostra vita, nessuno di noi era mai uscito da quella strada. Il mio francese non era sufficiente a leggere un giornale ma ci comprendevamo alla perfezione inmolti altri modi.L'uomo al negozio dei vini era calmo e serio nella sua blusa blu scura, con il grembiule di cuoio, eravamo calmi e seri tutt'e due nella stanza fresca e immersa nella penombra, tra le bottiglie e le botti. Lui scriveva cifre sul bancone, con il gesso, e faceva le somme per me, io annuivo e sapevo che i conti erano giusti. Lo capivo dalla sua calma serietà. E la donna al negozio di fruttivendolo sorrideva e parlava in continuazione, ma quando provai a dire qualcosa nel mio francese lei mi fece smettere con un gesto. Come se ci conoscessimo troppo bene per fare simili cose. Lei lo sapeva che frutta volevo, sapeva che frutta avremmo mangiato quel giorno tutti noi della via. Quando tornai di sopra, Winnie aveva apparecchiato la tavola vicino alla finestra, mangiammo frutta e bevemmo vino. Ora 53

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==