Linea d'ombra - anno VII - n. 43 - novembre 1989

DUE RACCONTI DI UN OPPOSITORE Ludvìk Vaculìk a cura di Sylvie Richterova traduzione di Alessandra Mura Ludvìk Vaculìk vive a Praga e scrive ogni mese, a partire dagli anni Settanta, un testo che va dalle tre alle cinque pagine; chiama i suoi raccontini fejetony riallacciandosi a una tradizione ottocentesca di elzeviri del poeta e giornalista Jan Neruda. A questa forma ha convertito, nell' arco di un ventennio, più di settanta scrittori, filosofi, critici, politologi, storici, commediografi e giornalisti. Tecnicamente pregutenberghiana, l'impresa consiste nello scrivere e far circolare i brevi testi nonostante ostacoli diretti e indiretti, dall'impossibilità di servirsi della stampa e del1' editoria alla repressione poliziesca. Il risultato è densità massima in uno spazio minimo, libertà, rigore, intensità. E una particolare cronaca di un periodo storico della Cecoslovacchia. Vi si verifica una deformazione dello spazio-tempo dovuta all'esclusione dal mondo della Cecoslovacchia degli anni Settanta, con il conseguente rallentamento della vita e l'importanza spesso rivelatrice che in quella situazione ogni cosa assume. Vaculìk, nato nel 1926 in un paese della Moravia nordorientale, divenne famoso nel 1966 quando a Praga uscì il suo romanzo La scure, tradotto poi in tutta l'Europa tranne che in Italia (è stato invece pubblicato da Garzanti, nel 1974 il suo romanzo Le cavie). Era una delle opere più profonde sullo stalinismo, insieme alo scherzo di Kundera. Nei primi anni della sua vita Vaculìk fece l'operaio, lo studente, il pedagogo, il giornalista, il redattore e il radiofonico. Negli anni Sessanta appartenne a quel gruppo di intellettuali cecoslovacchi che fu determinante per la cosiddetta "primavera di Praga", e lavorò al settimanale "Literàmìnoviny", insieme a Kundera, Liehm, Kohout e tanti altri. Quando "Literànù noviny" pubblicò un manifesto intitolato 2000 parole, steso da Vaculìk su incarico della rivista, scoppiò uno scandalo; e quando le truppe del Patto di Varsavia invasero il paese, sembrò che quel manifesto fosse stata una delle cause principali. Non era così, naturalmente, ma Vaculìk l'ha scontata come se lo fosse. Nel lungo tempo senza storia che ne seguì, insieme al commediografo Vàclav Havel, Vaculìk è stato il personaggio più prestigioso dell'opposizione culturale. Rifiutandosi di lasciare il paese, è stato promotore, curatore e animatore delle edizioni dattiloscritte semiclandestine degli autori messi all'indic.e. Il suo ultimo romanzo-diario Il libro ceco dei sogni rappresenta una delle proposte più interessanti della letteratura contemporanea. (S. R.) UNA TAZZA DI CAFFE' ALL'INTERROGATORIO Chi non l'ha provatò nonpotrà credere quanto siadifficile non rispondere alle domande cortesi. È cosa che si opponenon solo allabuonaeducazione di un uomoma anche al suo orecchio. Il principiante non può nemmeno tollerarlo. Soprattutto però, si guasta in questo modo il rapporto fra i dialoganti, spesso irrimediabilmente. E di questo vengo a scrivere. Il tenente colonnello Noga, per nulla umiliato dal fallimento, ricominciava ogni mattina: "Allora Blanka, prepara i fogli." Lei sistemava le pagine bianche e la carta carbone, metteva le dita in posizione sulla tastiera e girava la faccia verso di lui. Lui rifletteva sulla formulazione della sua domanda e poi mi chiedeva: "Vuole un caffè?" Avevo deciso di prendere quei caffè. Il tenente colonnello Noga ha una figura tarchiata ma solida, pelle e capelli scuri. Di origine operaia, ma i suoi modi dimostrano un lungo soggiorno in altro ambiente. Parla il cèco correttamente, alcuni fonemi del suo linguaggio hanno però la sfumatu44 radi un'altra lingua slava. Questa maledetta circostanza mi facevacadere,pur non volendo, in una sorta di campanilistacivetteria. "Lei, signor Vaculìk, insiste che le sue azioni non sono contro la legge, va be', ammettiamolo," amava dire e aggiungeva: "Dunque, mi racconti com'è andata." - "Ormai mi sembra stupido, signor tenente colonnello," rispondevo, "ma davvero non mi va di parlarne!" - "Non mi va, nonmi va! Che razza d' espressione è? Allora detti correttamente, è il suo verbale: mi rifiuto di rispondere!" La signora Blanka mi volgeva lo sguardo, io annuivo convergogna e lei scriveva. "E quando mi restituisce quella roba?" indicavo le due valigie sul suo tavolo. "Questo adesso non c'entra. Altra domanda, scrivi, Blanka: Come giudica il fatto che - la stampa occidentale- abusa dell'intera faccenda- per diffamare - la Cecoslovacchia." Dettavo la risposta alla signora Blanka: "Mi esprimerò in proposito- quando l'avrò letto." - "Lei è un briccone!" si adirava amichevolmente, si precipitava in corridoio, tornava e mi sbatteva davanti un pacco di giornali stranieri. Chiedevo alla signora Blanka di scrivere: "La lettura di giornali stranieri la immagino così, che li compro a Prìkopi..." E di simili eroismi durante la settimana potevo verbalizzarne avolontà. Non davano fastidio a nessuno. Una volta, era ormai sera, stavamo lì da soli perché h signora Blanka alle quattro era già andata a casa, lui si sedette sulla sedia di lei, fece scorrere il rullo della macchina da scrivere e disse: "Sette pagine e ci siamo stati sopra tutto il giorno. Non sono un po' poche?" - "Non ce ne saranno di più," dissi. - "Davvero? Ma sì che ci saranno!" - "Allora mi istruisca sull'interrogatorionotturno." Guardò allarmato l'orologio: "Già le sette e mezza? Ma mica vuol dire notte!" - "O mi assegna una cella o mi manda a casa. Prima però miporti al gabinetto." - "Ohò, noi non rinchiudiamo i testimoni! Ma al gabinetto ce la porto. Ce l'ha la carta?"Non l'avevo. Prese due fogli bianchi, me li stropicciògradevolmente e me li porse. Poi aspettò davanti al gabinetto. Considerato che ci eravamo stati sopra tutto il giorno, anche quei due fogli erano piuttosto pochi. Subito, fin dalla seconda volta, fu chiaro che non si trattava di interrogarmi, ma di bloccarmi. Visto che come introduzione avevo sempre ripetuto la formula del rifiuto, non avevamo più niente da fare. Il mio tenente colonnello se ne andava da qualche parte per intere mezz'ore. La signora Blanka vicino a me si annoiava. I primi giorni aveva cercato di persuadermi: "Perché non vuole parlare? Non si punisce mica per le opinioni. Dovrebbe sentire come bestemmiamo noi all'Arma, lo spaccio di qui." - "Immagini, signora, se un giorno il gestore di quel negozio ottenesse l'autorità di rinchiudervi tutti." - "Ma è assurdo!" - "Lo è. E se lo immagini su larga scala." A sentir questo scosse il capo con un sorriso come fosse una scempiaggine da bambini, poi aggiunse: "Da noi le leggi si rispettano. Per esempio i carcerati hanno diritto alla passeggiata, e può vederé lei stesso," mi invitò alla finestra. Diceva la pura verità: nel cortile, in profonde conigliere di cemento, giravano in tondo i carcerati marroni, chiacchieravano e ridevano. A pranzo, il colonnello Noga, mi portava sempre in una piccola sala d'aspetto, attrezzata un po' come un circolo ricreativo. Là midavano i wiirstel.Nel frattempo mi incontravocon il signor

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