Linea d'ombra - anno VII - n. 43 - novembre 1989

SAGGI/DEBENEDEffl Bilenchi in alcune recenti foto di Giovanni Giovannetti (in basso è con la moglie Maria). è nato, e lui si provi a colmare la lacuna con supposizioni personali. Madove quel mondo ha parlato, ogni spiegazionediviene simile alle linee bluastre, iridescenti e sfrangiate che si disegnano parallele al profilo di un oggetto, chi lo guardi con una lente disadatta. Se ne è accorto lo stesso Bilenchi: nel ripubblicare Il delitto ha dovuto amputare certi riferimenti a una situazione politica ormai superata: insieme gli sono caduti anche alcuni passaggi psicologici. Il racconto ci ha guadagnato, e non solo nel ritmo: senza quelle spiegazioni, si spiega meglio. Ignoranti come sono di tutte le troppo differenziate nomenclature dei sentimenti - quelle appunto che servono a fare la psicologia - i processi naturali dell'eterno Adamo hanno la pretesa di possedere in proprio abbastanza forza e fatalità per farsi capire da soli. Tutto il resto è digressione. . . Tanto più che in Bilenchi essi prendono lé;pi arola, quando la spinta è forte: una protesta da sollevare, un disagio da lamentare. Il loro punto più vulnerabile pare consista in una specie di egoismo, sempre-allevedette. Per questo aggressivo istinto di difesa, ogni sospettodi dover dipendere da qualcosa, da qualcuno diventa un dramma. E il bisogno della madre è già una dipendenza. E la miseria lo è di più. Ma soprattutto Io sono certi confronti umani, la vicinanza dell'animale meglio armato. Nascono di qui i racconti di talune dolorose amicizie tra ragazzi, in cui uno primeggia, l'altro subisce. Tutta una costellazione della narrativa di Bilenchi è fonnata da queste storie. Il loro miglior momento è staLoquando il male della dipendenza pareva non sapesse il proprio nome, e si raccontava attraverso la sua pena oscura. (Mio cugino Andrea, Dino). Più tardi Bilenchi ha lavorato ancora sulla stessa malattia,ma come se in partenza ne conoscesse già il decorso, volesse fare delle esperienze cliniche sulle vittime designate (Il processo di Mary Dugan, Un errore geografico). Se potessimo entrare nel laboratorio di Bilenchi, quasi certamente troveremmo che la sua è soprattutto un'arte di "cavare", di liberarsida ogni complicità patetica, come da ogni controcanto di una facile pietà. Quasi si vorrebbe parlare, per lui, di una narrativa pura: nel senso che il succedersi delle azioni, il moto dei personaggi impegna tutto intero il tempo interiore di noi lettori, senza che l'artista sequestri, a suo profitto, nemmeno un attimo di questo tempo per trasformarlo in ansia del "come andrà a finire" in piacere intellettuale della carambola ben giocata, in sollecitudine morale per un qualsiasi giudizio sugli uomini o sulla vita. Da questa purezza di artista pare si sprigioni il fascino di un'austerità; anche morale. In Anna e Bruno il bisogno che il fanciullo ha della madre arriva alle estreme conseguenze: Bruno si innamora di Anna. Situazione analoga a quella che Moravia ritroverà alla base di Agostino. Ma'inMoravia c'è un'avida, e perfino libidinosa, dilettazione di moralista, che provoca il peccato per giudicarlo, magari per medicarlo con la pietà: Agostino è ansiosamente, quasi con un gusto di libertinaggio crudele, messo di fronte alle seminuditàdella bella madre. In Bruno l'amore non sa neppure di chiamarsi così, di essere una aberrazione: si conosce solo come pretesa a un diritto esclusivo sui benefici che la madre può offrire. In questo ragazzo c'è l'innocenza dell'animale, ancora di qua dalle norme, un'innocenza quasi da primordio. Sono punti che non si toccano senza una speciedi stupore. E ci pare di sentirlonel silenzio, nello spazio vuoto e un po' attonito che scende tra leparole rade e ferme di questi racconti. Ed è il loro incanto di poesia. da "L'Unità", domenica 28 luglio 1946. 43

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