STORIE/BILENCHI sospeso, neppure il nome della ditta doveva cambiare. Benedetto costrinse la moglie a ripassare gli episodi della vita del padre, i rapporti di_lui con i figli ma, a parte la rudezza del carattere, non trovò nulla da biasimare: ingiustizie non ne aveva mai commesse. La paura svaniva ma la sostituiva una massa di dubbi, di inquietudini che erano ancora peggiori. Giovanni aveva avuto due mogli; dalla prima erano nate due donne, maritate da tempo e madri di figli già sistemati in una banca; dalla seconda Benedetto, Giulio, Mario e Marco. Benedetto sapeva che le due sorellastre avevano avuto una piccola dote contraccambiata con la dichiarazione di non pretendere più nulla dal padre; a loro Benedetto scrisse una breve lettera per annunciare la morte di Giovanni. L'officina rendeva bene, ma in banca fu trovata una somma inferiore a quanto era stato previsto. Giovanni aveva dato a Giulio, appena abbandonata l'azienda, tutta la sua parte calcolata con giustizia, poi i rapporti fra i due erano cessati. Benedetto scrisse un biglietto a Giulio perché andasse a visitare la salma del padre, poi mandò un operaio a ripetere l'invito e infine si recò anche lui a trovarlo; il fratello promise che avrebbe accompagnato la salma di Giovanni al cimitero ma non si fece vedere e il giorno dopo, incontrato Benedetto per la strada, si voltò dall'altra parte senza neppure un cenno di saluto. Benedetto non era nuovo alla morte. Contava cinquant'anni e, come il padre, aveva sposato due volte. La prima moglie era morta quando lui aveva trent'anni lasciandogli due figli maschi. Dalla seconda aveva già un giovinetto e due bambine di pochi anni. Era l'unico della famiglia che conosceva sia per i sentimenti sia per le faccende materiali quello che comporta la scomparsa di una persona alla quale si vuol bene. Dopo la disgrazia, il padre Giovanni gli aveva risparmiato dure osservazioni, era diventato un compagno di lavoro; i ricordi di trenta anni di fatica trascorsi insieme, fianco a fianco, a dare le più svariate forme a pezzi di ferro, lo avevano pacificato facendo appassire i timori di dover lottare contro i fratelli. Conscio che era stato l'unico figlio ad avere sempre ubbidito al padre appoggiandolo nelle liti con gli altri figli, Benedetto si sentiva quasi investito della posizione di capofamiglia, colmo di ottimi sentimenti per coloro che da Giovanni erano stati generati. Verso tutti si mosse Benedetto disposto anche a donare, ove si fosse rivelato il bisogno, la somma di denari che gli era rimasta e che si accresceva ogni giorno con i profitti che gli dava l'officina; ma trovò ognuno irrigidito nella propria condizione. "Abbiamo già avuto il nostro" risposero le sorellastre senza rivelare né povertà né benessere. Perfino Marco, che era stato il più strambo e il più indipendente della famiglia, non volle nulla: andò al funerale con indosso un abito nero, perfetto, abbracciò il fratello e gli disse che non voleva sentire parlare di soldi. Era tutta roba di Benedetto guadagnata in anni di lavoro e di devozione al padre; avrebbe, al bisogno, piuttosto rubato, che accettare una sola lira. Generosità e giustizia erano stati i sentimenti di tutta la sua vita e non avrebbe mai fatto un passo oltre quelli. A diciotto anni, Marco, dopo aver cambiato varie scuole senza concludere nulla (il padre non lo rimproverava mai sperando che avrebbe finito per entrare anche lui nel!' officina) un giorno 40 aveva affrontato Giovanni dicendogli: "Non ho voglia di studiare né di venix:ea lavorare con te come sarebbe mio dovere per non vivere a carico tuo e di Benedetto. Desidero campare da signore e i mezzi me li procurerò in qualche modo. Tu mi hai dato abbastanza. Se udrete di me che ho compiuto azioni che possano offenderti, dì pure che non sono tuo figlio". Dopo queste parole aveva lasciato Giovanni. Presto lo avevano visto girare per la città vestito con eleganza e spesso cavalcare nei viali del parco pubblico. All'inizio tutti ne parlarono e si diceva che avesse organizzato una bisca. Per due volte fu anche arrestato. Poi nessuno si occupò più di lui, e divenne un uomo uguale agli altri. Era unacittàstrana quella in cui ogni tanto e fino da tempi antichissimi predicatori di accese passioni si scagliavano contro i peccati e i peccatori, contadini giovani e vecchi scendevano dalle montagne a curare con le erbe anche le più misteriose malattie. Nonostante che per la sua piccolezza le maldicenze e il pettegolezzo fossero molto diffusi e gli abitanti per il loro tempramento parteggiassero con violenza contro o a favore della persona che, al momento, con le proprie azioni sembrasse rompere le abitudini ormai secolari della gente, uomini come Marco potevano vivere senza che alcuno ricordasse il suo snobismo e le sue colpe. Uscita di carcere, una persona poteva il giorno dopo esser vista passeggiare in compagnia di un ricco commerciante, di un nobile. Tutti permettevano le avventure più bizzarre, le irregolarità più clamorose. Nelle infrazioni coniugali si stimava più l'amante che agiva con baldanza dinanzi a tutti dal marito ingannato. Anche il forestiero veniva subito afferrato dall'atmosfera indefinita, ambigua che animava la città nella quale credeva di aver afferrato subito i più insistenti rapporti fra uomini e donne per poi cadere a poco a poco in un baratro di dubbi e di misteri.Uomini di un'età indefinibile, dal portamento leggero come giovinetti, donne dai capelli biondi o di un rosso chiaro sembravano esseri irreali, mai incontrati in altri luoghi, parevano caduti dai dipinti dei pittori antichi e certamente non creati per occuparsi di campagne e di fabbriche o per fare da commesse in un negozio o madri di una famiglia; bensì sognavi per loro mondi nei quali l'inusitato, il perverso o la santità e il misticismo fossero la regola. Marco era uno di questi cittadini. Dopo un ultimo arresto se ne andò in Turchia come maestro di equitazione ma dovette fuggire perché sorpreso a letto con una giovanetta. Era tornato da poco con bei vestiti ma con il volto d'un uomo stanco, quando era morto Giovanni. Durante il suo soggiorno all' èstero ogni tanto si presentava qualcuno all'officina a chiedere: "È questa la fabbrica di Marco?". Giovanni rispondeva di no urlando che l'officina era sua e del figlio Benedetto e che non conosceva nessun Marco. Persone che certamente Marco cercava di persuadere a fargli credito in cambio di un'ipoteca sull'officina, o alle quali voleva dare a intendere che era ricco. Benedetto era sempre rimasto in silenzio durante quelle scene, ma alla morte di Giovanni aveva chiesto anche a Marco se avesse bisogno di soldi. Dopo alcuni giorni perduti a far visita ai parenti, irrobustito dalla coscienza della propria bontà, aveva compreso che l'unico modo per onorare la memoria del padre consisteva nel riaprire l'officina e di riprendere il lavoro. Siena, gennaio 1930
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