sempre teso a un movimento contraddittorio. Perché, se la staticità frustra - come è ovvio - il suo desiderio di moto, anche la libertà, il poter cadere, si rivelerebbe illusoria, dal momento che mai, in nessun punto della sua caduta, il peso sarebbe in sé soddisfatto, desiderando infinitamente un punto più basso. L'appagamento di questa brama può realizzarsi solo nella negazione del peso in quanto peso, vale a dire nella sua 'morte'. Ma se nella vita fisica i limiti organici della materia e delle leggi che la regolano sono insuperabili (e il peso, per definizione, non potrà mai essere 'persuaso'), per l'uomo invece esiste un'alternativa Contro la filopsilchia c'è la strada della persuasione. Persuaso è chi si chiama fuori dalla catena delle contingenze e delle correlazioni, che rendono impotente e dolorosa la vita: chi nega lanecessitàdel divenire e sa confrontarsi con la realtà della morte. L'obiettivo, beninteso, non è un nirvana contemplativo, ma una riconquista agonistica dell'attimo, in cui l'uomo sappia "vedere ogni presente come l'ultimo, come se fosse certa dopo la morte": un momento di resistenza e di consistenza, opposto al fluire reificante del!' essere, uno spazio e un tempo puntiformi in cui la vita e il mondo stesso sono ricreati, rifondati in una nuova dimensione. E questa autoredenzione comporta anche, inevitabilmente, una sorta di irradiamento filantropico, poiché l'individuo persuaso che ha guardato in faccia il dolore e la deficienza, e se n'è fatto consapevolmente carico, raggiunge una condizione di universalità esemplare che si riverbera su tutta l'umanità, in un'infinita attività rigenerante: "Il diritto di vivere non si paga·conun lavoro finito, ma con un'infinita attività ... tutto dare e niente chiedere: questo è il dovere". Anche se poi, a scanso di equivoci, la moralità così affermata nulla può dare agli uomini sulla via della persuasione, che ognuno individualmente deve trovare in sé, dato che essa "non è corsa da 'omnibus', non ha segni, indicazioni che si possano comunicare, studiare, ripe.tere". Se questo, come credo, è il contenuto profondo del pensiero di Michelstaedter, almeno nel suo versante affermativo, ben più ramificata è la parte negativa, quella dedicata alla rettorica. Anche perché 'rettorica' finisce per essere la speculazione filosofica da Platone e Aristotele in poi. Quello di Michelstaedter può persino sembrare un atto di tracotanza, poiché comporta un radicale ritorno .alle origini della filosofia, a Parmenide soprattutto e alla sapienza socratica, e una quasi totale cancellazione di tutto ilresto. Quindi, via Platone e via Aristotele, ma via anche lo scientismo contemporaneo, che razionalizza e mistifica l'irrazionale vita non persuasa, e via l'avvocatesco Croce, geniale semplificatore, e mutilato- ·re, del pensiero. Del resto, pure il cogito di Cartesio diventa un paradossale non-ens:cogito, ergo nonsum, si trasforma cioè nell 'impossibilitàdi pensare, sepensare significa rincorrere entità sfuggenti e sempre annientate dal futuro. Ma la rettorica non invade soltanto la filosofia, è un cancro che si riproduce ovunque: nell'ordinamento sociale, nelle istituzioni, nelle leggi, nella scuola e nei modelli educativi, nei rapporti fra le classi; e lo scopo è sempre quello di sfruttare la deficienza originaria degli uomini, conferendole una parvenza di sicurezza, una socializzazione consolatoria che in realtà legittima la totale impotenza. Ma è proprio in questo coté negativo che scatta la più profonda vitalità dell'anomalia Michelstaedter. E non solo, direi, per i contenuti specifici delle negazioni messe in opera: alcune, infatti, possono apparire iperboliche e francamente paradossali (penso ad esempio alla contestazione della conoscenza empirica, che viene ridotta a un puro assenso inorganico, il cui soggetto scompare del tutto, e viene sostituito dal funzionamento biologico di un puro organo meccanico). In gioco c'è qualcosa di più profondo e radicale, che forse ci permette anche di rivedere i problemi del confuso corpus michelstaedtcriano. Prima·e oltre il valore delle argomentazioni, la pagina della Persuasione e delle altre opere sembra restituirci soprattutto una lezione di metodo. Le poche e brucianti verità di Michelstaedter scatenano un furore affabulante e interpretativo che, nel vagliare passato e presente della cultura occidentale, mobilita un enorme bagaglio di stile. "Persuasione" e "rettorica" smettono di essere concetti filosofici puri e diventano strumenti operativi che agiscono senza sosta, e in modo quasi indipendente dal loro esatto contenuto speculativo. In questo senso, se non sbaglio, i testi privati assumono un valore doppiamente prezioso, perché costituiscono le verifiche, e contemporaneamente le approssimazioni, di un processo che culmina nella teoria della Persuasione. Se questa è lo sbocco speculativo privilegiato, quelli sono i collaudi del pensiero teoretico, le necessarie conseguenze della visione del mondo che vi si esprime. BisoIL CONTESTO gna insomma chiedersi che cosa/anno le idee di Michelstaedter, in che modo agiscono a contatto con le apparenze del reale. Una buona esemplificazione può essere offerta dalle Poesie. Una parte dei testi che compongono la racco] ta sono, senza dubbio, soprattutto sfoghi privati, rivolti per lo più alle ragazze amate o alla sorellà: e ad essi non sembrerebbe perciò lecito attribuire un valore filosofièo. Prendiamo per esempio il piccÒlocanzoniere A Senia, dove la crisi di un rapporto affettivo trova talvolta un'espressione convenzionale e scontata ("Io non sono per te: questo mio amore/ disperato e lontano e doloroso/ -gli passi accanto e non lo senti amare/ ... /Mentre mi vince gelosia crudele"). Eppure, proprio questa vicenda privatissima viene riletta in funzione della teoria del piacere più volte esposta da Michelstaedter nei suoi scritti. Così, il rammarico per una soddisfazione perduta, buttata via, si fa tanto più doloroso in quanto chiedere il godimento significa perderlo, e I'unico appagamento possibile sarebbe stato quello, istantaneo, del primo incontro ("che giova, se del tutto io t'ho perduta/ quando mia tu non Corlo Michoelstaedter (Arch. Adelphi). fosti il giorno stesso/ che c'incontrammo?"). Ormai, nessun coronamento dell'amore è possibile; anzi, esso si risolverebbe in alienazione, dal momento che, dice Michelstaedter, "pur del mio corpo/ sarei geloso come or son d'altrui", e, anche nel presente dell'enunciazione, "fatto sono dame stesso diverso". È un processo, in definitiva, che strumentalizzagli affetti, per denunciarne la rettorica sentimentale: una demistificazione sulla propria pelle, contro le proprie stesse pulsioni. Ed è possibile anche la strategia opposta, vale a dire la regressione da una posa speculativa a una confessione individuale. Nella versione seconda del Dialogo della salute il filosofo catafratto, che ha abilmente argomentato il suo pensiero in un meticoloso procedimento maieutico, ha il coraggio di mostrare quello che esistenzialmente è - un uomo, un ragazzo, invischiato in contraddittori rapporti familiari - e finisce per urlare impietosamente il ribrezzo verso la propria incoerenza: "Lo vedi quel mucchio di carne in sussulto che si scioglie in lacrime? quello è il filosofo! -Nausea! Nausea!" "Con le parole guerra alle parole", con la scrittura combattere la rettorica: è questo il metodo di Michelstaedter. Il che non comporta affat31
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