CONFRONTI JosephMazzinialla conquistadel Polo. lo straordinarioesordio · di ChristophRansmayr Luca Clerici Esiste ancora un luogo nel nostro pianeta che ci rivela- a noi uomini-l'assoluta uniformità ed analogia fra la terra e ogni altro astro, e con ciò la totale estraneità dell 'universo alla dimensione umana, alla civiltà e alla cultura, alla storia se non geologica-e quindi incommensurabile al nostro esistere. È una regione 'indifferente', alla qual e risultano inapplicabili anche gli strumenti fondamentali di riferimento utilizzati dall'uomo per tessere quelle coordinate di significato entro le quali sia possibile organizzare persino la prima fondamentale forma di conoscenza, e cioè la consapevolezza di sé rispetto a tutto l'esistente. Neppure la bussola, vicino al Polo, risulta affidabile: lo spazio diventa immenso e indescrivibile; lo si può infatti percorrere ovunque, ma senza sapere dove ci si trova, né da dove si viene e verso dove si va: è impossibile così distinguere un luogo che si sia già attraversato. Noto e ignoto presentano il medesimo orribile volto, inconoscibile perché irriconoscibile. Il tempo scorre secondo ritmi propri: con inconfutabile evidenza al Polo Nord il lento e morbido alternarsi di luce e oscurità fa apparire il giorno non l'unità di misura temporale dell 'universo, ma invece l'accidente geografico adottato da noi per scandire e riconoscere la direzione della vita. Nell'agghiacciante e abbagliante nitore polare, Christoph Ransmayr - trentacinquenne austriaco alla sua prima prova narrativa - ha scelto di ambientare il suo notevolissimo libro Gli orrori dei ghiacci (il Mandarino, trad. di Lia Poggi, pp. 207, f, 24.000). Ho scritto 'libro' e non romanzo, perché non è facile stabilire quale sia la natura di quest'opera. La si potrebbe definire una 'microstoria', poiché assistiamo allapuntuale ricostruzione della spedizione polare Weyprecht-Payer(1872-1874) attraverso la riproduzione di fonti originali quali i diari di bordo, gli appunti scientifici, diversi stralci tratti dalla stampa contemporanea. Ma anche se è in effetti tutta la storia delle conquiste polari a sfilare in queste pagine, in cui rivivono·· antichi eroi quali Erik il Rosso o più recenti protagonisti come Umberto Nobile e Amedeo Duca degli Abruzzi. È d'altra parte un testo 'didascalico': si ritrovano infatti in queste pagine svariatissime informazioni scientifiche, geografiche, faunistiche e botaniche, perfino turistiche, utili a chi volesse oggi visitare quei luoghi. Ma anche antologia di citazioni che testimoniano il progressivo disvelamento dei miti con cui il Polo è stato da sempre esorcizzato per via di un continuo e famigliarizzante travestimento -con immagini, storie e figure-; sono brani tratti dal Libro di Giobbe e da scrittori come Seneca, fino alle fiduciose ipotesi positivistiche testimoniate dagli scritti di più recenti autori ottocenteschi. Chrisloph Ransmayi (folo di Rudy Palla, arch. Il Mandarino!. È poi un testo di riflessione filosofica: il narratore è assillato dalla coscienza della parzialità di ciò che racconta, poiché qualunque ipotesi che travalichi la testimonianza dei pro,- tagonisti è suscettibile di proliferazioni indebite, e conduce verso l'inarrestabile deriva del1' infinita interpretabilità dei segni appartenenti al passato. Libro illustrato, per le belle incisioni d'epoca riprodotte accanto a immagini attuali, a colori, della banchina polare, e che ci presenta perfino i ritratti di tutti i protagonisti dell'eccezionale missione. Romanzo, infine, per la tensione narrativa con cui sa imprigionare il lettore pur svelando subito quale sarà la sorte dei protagonisti, ricorrendo così a un tipico espediente antiromanzesco. La curiosità si concentra allora sul come andarono le cose, e infatti la strategia adottata da Ransmayr rimanda alla scrittura cronachistica. Materiali assai disuguali, dunque, ma molto ben combinati, in una partitura omogenea nella sua varietà. Il narratore racconta la storia di Joseph Mazzini, giovane che agli inizi degli anni Ottanta decide-per una sorta di attrazione fatale e irragionevole ma perentoria-di visitare i luoghi in cui, un centinaio di anni prima, il suo antenato Antonio Scarpa aveva vissuto a bordo della "Admiral Tegetthoff' la straordinaria avventura della imperial-regia spedizione austro-ungarica al Polo. Alla vicenda di Joseph si sovrappone quella originale dei capitani Weyprecht e Payer, ma con un andamento inverso: quanto la più antica missione sembra destinata alla catastrofe per le inimmaginabili difficoltà cui è sottoposta, tanto il viaggio di Mazzini appare turistico, e con ciò sicuro. Al contrario, questi scompare e quelli - seppur irrimediabilmente segnati - ritornano. È lo stile a garantire uniformità all'opera: l'atteggiamento rispettosissimo del narratore verso le fonti, riportate con frequenza, si riverIL CONTESTO sa anche sul testo d'invenzione, avvicinando i testi documentari alla finzione che vede Joseph protagonista attraverso una scrittura che, nelle parti inventive, mantiene la sintetica puntualità della cronaca. Uno stile sobrio, distaccato, quasi da repertorio indifferente a tutto ciò che di profondamente umano i protagonisti non lasciano trasparire né intendono consegnare ai posteri attraverso i loro diari, ma che affiora ben presto nell'immaginazione del lettore, suggerito dalla sistematica elusione dei sentimenti perseguita da Ransmayr e dalla contrastante precisione con cui le misere condizioni di quelle esistenze sono inventariate e riproposte. Da tale impatto traspaiono dolore, struggente malinconia di casa, terrore, affetti dilaniati per l'amplificazione costante di una distanza assoluta e incolmabile, pazzia per le privazioni subite e ambizione folle di giungere alla meta, struggimenti feroci e disperazione totale, stupore verso il proprio inesorabile disfacimento fisico, a quaranta gradi sotto zero. Una scrittura fredda, polare. La prospettiva di chi racconta sembra solidale con l'indifferenza della natura artica: è la consapevolezza della nullità umana a dettare queste pagine, ma come omaggio - insieme - alla grandezza dell'uomo: l'equipaggio della "Admiral Tegetthoff' si aggrappa con furore ai ritmi della vita di bordo - ai.rituali, agli orari-, assurde e ferree regole che si oppongono al vuoto cosmico, osservando scrupolosamente i rapporti gerarchici perché fondati su valori tanto più folli, in quella situazione, quanto più 'civili', della civiltà abbandonata ma non ancora perduta. Prayer Weyprecht e i loro uomini, così, tessono una delicata ragnatela che si taglia sul1'abbacinante chiarore cui non si rassegnano, e questi piccoli ragni, fragilissimi ma metodici, alla fme vincono. Ma dal Polo non si può comunque ritornare: Mazzini si perde e Prayer vive abbastanza a lungo per essere deriso e percosso dalla beffarda incredulità di chi avrebbe dovuto sancire il suo trionfo riconoscendo la grande scoperta, la Terra di Francesco Giuseppe; ormai vecchio, semi cieco e incapace di parlare, muore all' alba del 1914, fra i preparativi del primo grande conflitto: "Come deve essere tranquilla, dolce e radiosa la solitudine della Terra di Francesco Giuseppe in quest'estate 1914; le pareti rocciose non hanno manifesti appesi, le coste e le montagne non riecheggiano il fragore bellico, i crepacci dei ghiacciai paiono di giada o lapislazzulo e capi sono impiumati da stormi di gabbiani e alcidi" (p.199). · . Dal Polo non si ritorna: dopo aver vISsuto a contatto con l'assoluto cosmico, è impensabile tornare ad immergersi nella civiltà rinunciando a vederne il vero volto - il quotidiano spettacolo della sua comi<::ae presuntuosa.onnipotenza - , e allora s1 prova nostalgia e struggente desiderio dei luoghi inospitali che conferiscono al viaggiatore la consapevolezza della sua misera nullità. Perché, come Ransmayr ricorda nella breve Prefazione, "Le nostre linee aeree hanno solo ridotto i tempi di percorrenza in misura quasi assurda, ma non le distanze, che rimangono tuttora immense. Non dimentichiamo che una linea aerea è appunto solo una linea, non una strada, e che noi, fISionomicamente parlando, siamo dei camminatori e dei corridori" (p.5). 27
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