Linea d'ombra - anno VII - n. 43 - novembre 1989

LETTERE Lafesta delle elezioni OrestePivetta L'italiano medio festeggia ormai ogni anno, con il Natale, la Pasqua e il Ferragosto, anche le elezioni. Per l'Europa, per l 'ltalia, per il proprio municipio: la chiamata è continua in un fervore democratico, che dovrebbe riempire gli animi e i cuori di passione, di gratitudine, di compiaciuto senso di responsabilità. Giugno è il mese preferito: dopo le rose e le ciliege, maturano i manifesti elettorali. Ci sono le anticipazioni, come è capitato ora per Roma capitale, che possiedom> sempre un profondo val ore politico: ci si attendono segnali sulla tenuta del pentapartito, sulla salute del nuovo corso comunista, sulla compattezza dei laici, sulla credibilità dei verdi, a prescindere dall'oggettoprincipale di cui si dovrebbe discutere e decidere, cioè gli obiettivi e le necessità di un prossimo governo. I voti del resto non sono pietre. I numeri e le percentuali possono diventare elastici: li si tira sempre dalla parte che fa più comodo. Eppure, si dice, questa·è la democrazia e, si sa, non c'è nulla di meglio della democrazia, tanto è vero che sotto questa forma stanno tentando ·di reintrodurla in Polonia, nell'Urss, in Ungheria e che, sempre sotto questa forma, è sopravvissuta persino ad Haiti e in Cile. Eppure c'è ancora qualcuno che non è convinto e che viene e mi chiede a che serve il suo voto, visto che con il suo vuoto non è mai cambiato niente. E io a ripetergli di nonfarragionamento da stupido qualunquista e che il qualunquismo è sempre di destra e favorisce la Dc. Però il dubbio me lo ha cacciato in testa, senza per questo avermi tolto di dosso la convinzione che bisogna votare, votare almeno contro la Dc. Ma davvero il sistema politico che è stato messo in piedi in questi quarant'anni di democrazia è in grado di recepire il mio voto? Oppure mi si lascia solo la possibilità di una pallida testimonianza? Non mi ci provo neppure a rispondere, perché sono discorsi troppo grossi e potrei giungere alla conclusione pericolosa che la democrazia è una vecchia convenzione, che le elezioni sono una pulitina di coscienza e che non conta il segno su una scheda elettorale ma contano gli interessi e le lobbies che li esprimono. Ma alla rinuncia (o alla incapacità) mia di offrire spiegazioni e interpretazioni decenti corrisponde la sordità degli altri, di quelli che potrebbero mostrare qualche cosa (e che pure qualche cosa ammettono: che il Parlamento per esempio è chiamato per lo più ad accogliere decisioni prese altrove, che i consigli comunali non decidono nulla di grosso, che altri istituti periferici rappresentativi sono saltati...). · Per esempio pensavo che alla Camera o al Senato il voto segreto fosse una garanzia perché "liberava" ciascun parlamentare dal vincolo del rispetto delle indicazioni del partito. Ma hanno stabilito che questo non era vero. E allora mi capita sempre più di assistere all'ossequio diligente delle disposizioni della maggioranza, registrate per bene dalla pulsantiera elettronica, che magari vota anche per gli assenti. Il Parlamento si vuota. Alle volte è vuoto davvero e questo mi risulta ancora più mortificante. Corre frequente sui settimanali l 'immagine del parlamentare stanco e frustrato, un fantozzi della democrazia prima ancora che della politica che si aggira trai banchi, compulsando giornali, me lo immagino ·sommerso da fascicoli e fotocopie entro le quali cercherà vanamente un raggio di luce per la sua esistenza democratica, alla quale invece il rappresentante del popolo darà un senso solo quando si scoprirà e si eserciterà terminale di favori, petizioni, clientele. Ma a quel punto è ormai fuori dal Parlamento, che dovrebbe avere davanti a sé solo finalità di valore generale. È solo uomo di Partito che decide con gli onorevoli colleghi di un posto alla Rai, di un finanziamento per la Usl tal dei taii, eccetera eccetera. Lo rivedo adesso trafficare sull'auto blu tra le vie di Roma, dentro sale e salette di piaizadel Gesù, al ristorante a fianco di Montecitorio. Lì appunto si decide della efficienza della mia Usi, dei quattrini della scuola privata della presidenza di una banca. Ci stiamo avvicinando finalmente al centro reale del potere, che gli esperti individuano nelle segreterie dei partiti. Ma qui, mi pare, siamo ancora messi peggio. Me lo dimostra la Dc, contro la quale appunto devo votare, dove il potere è generato non da un dialettico confronto attorno ai progetti politici ma dalla rappresentanza e dallo scontro-incontro tra correnti per interessi ben determinati, interessi che riguardano poi gli appalti, le mense scolastiche, gli stadi calcistici, le presidenze delle banche. Siamo al disastro. Speriamo nel Pci del nuovo corso, ma ho l'impressione che la questione della democrazia e del_suo rapporto con la formazione delle decisioni politiche sia lasciata un po' lì ai margini, perché il partito non ha voglia di discutere e di farsi discutere addosso. Tanto è vero che alcuni della vecchia guardia, che ha pure infiniti scheletri antidemocratici nel cassetto, hanno trovato in un recente Comitato Centrale l'occasione per beccare Occhetto, perché troppo decisionista, perché convoca pochi Comitati Centrali, perché non sente la Direzione, eccetera, eccetera. Ora non erano anime pie e candide quelle che protestavano, ma qualcosa di vero ci doveva pur essere. Sembra piuttosto ché nella vita politica italiana abbia decisamente preso il sopravvento uno stile americano-craxiano, arrogante e spettacolare, di tattiche improvvisate e di rapidissimi cambiamenti, di mosse e contromosse che ILCONTESTO non devono lasciar fiato all'avversario e non lasciano tempo a qualsiasi esercizio della democrazia. Tutta la regia è di un vertice sempre più ristretto, che non rappresenta più una classe (come era bello ai tempi delle "classi") ma piuttosto interessi corporativi colti al volo. E dico corporativi senza particolari inclinazioni delittuose. Può essere corporativa anche la difesa degli immigrati di colore, se non ci sono coerenza e consistenza nel}abattaglia politica, ma solo c'è strumentalizzazione. Il confronto con l'elettorato non si stabilisce più su idealità di carattere generale (il socialismo, la giustizia sociale, la solidarietà), ma soltanto sulla spinta di domande inunediate e particolari. Si può obiettare che anche questa è democrazia, perché anche così una base elettorale si esprime anche se per obiettivi diversi. Ma èuna finzione, perché c'è sempre chi ha la voce più grossa degli altri ed è facilissimo che escluda altri, secondo le regole di una repubblica mafiosa e farnilistica come la nostra, per motivi che sono familiari ancor più che corporativi. L'Irpiniagate non è in fondo che la replica di mille altri episodi'identici, che disegnano l' autentica mappa del potere nazionale. Che fare allora se il Parlamento è quello che è, i partiti sono quello che sono e il marcio viene avanti risolutamente? In un breve scritto intitolato "Sedere e dovere", pubblicato da una casa editrice della Svizzera italiana, Peter Bichsel arriva ad alcune conclusioni attorno alla democrazia e al Parlamento elvetico in particolare. ScriveBichsel: "La democrazia - così mi hanno insegnato - è discussione. Da qualche parte la discussione dovrebbe aver luogo, magari in seno ai partiti, ma gli sforzi dei partiti riguardano quasi esclusivamente i seggi in Parlamento, i partiti non vedono più altro che l'apparato". Il Parlamento, spiegaBichsel al termine di una deludente visita accompagnando una scolaresca, è una amministrazione. Abbiamo invece bisogno di discussioni: "E dove devono aver luogo? In seno al popolo non hanno più luogo, il popolo è più noioso, più conservatore e più reazionario del Parlamento. Non sarebbe colpa del Parlamento se la nostra democrazia dovesse andare in rovina". Così conclude lo scrittore svizzero: "Il Parlamento assolve il proprio compito amministrativo. Ma se al di fuori del Parlamentonessuno assolvepiùilpropriocompito, noi vivremo in una democrazia amministrata, in una democrazia senza discussione. Sarebbe la peggior forma di stato del mondo". Al di qua del confine la democrazia amministrata lascia il campo alla democrazia privatizzata, per la storia appunto delle segreterie dei partiti e delle famiglie che le sostengono. Quanto al giudizio sul popolo noioso, conservatore e reazionario, possiamo almeno vantare un passato migliore, che si diceva di "fermenti democratici". Il nostro Sessantotto lo abbiamo pur vissuto e ne sappiamo qualche cosa di assemblee, comitati d,iquartiere, documenti, volantini e cose del genere, esaltate per un certo tempo, prima che riprendessero il sopravvento partiti e partiti, nell'idea che la spontaneità fosse il massimo e desse il segnale di una 15

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