NOVEMBRE1989 - NUMERO 43 LIRE8.000 I mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo POLONIAG,ERMANIEALTREUROPE STORIADELLACRITICAFUMETTDI,ALLAPREISTORAIADERRIDA INCONTRCIONSCRITTRICPIO:NIATOWSKGAA, LLANKT,RISTOF W. H.AUDENC: HISCRIVEC,HILEGGEC,HICRITICA "'-Cl ti b' ly . ~~-,.,.•,,I') ..,}.' .._, Q, ,...~,) ·(J_ ;t • "3,r. - .,QQ'- . .,. 1-. o~,-"'""" r 1>_, 41,,0 --~~ ~ D.gi.~~' ~ ""~~ LJ.v R' BO,,GOSI BALLARD TADINI BENNI
I CLASSICI BOMPIANI Achille Campanile OPERE Romanzi e ràcconti 1924-1933 Inquestovolumela produzione narrativadi uno dei più originali scrittori del Novecentodefinito anchelo lonescoitaliano. Alberto Moravia OPERE 1948:..1968 Dai grandi romanzi alle soglie · del '68 ai saggi sullacontestazione: vent'anni di vita italiana tra letteraturae impegnocivile. Alberto Savinio OPERE Scritti dispersi 1943-1952 Raccolti in un volumegli scritti ineditidell'ultimodecenniodell'attivitàdi Savinio:un'occasione straordinariaper conoscere - unprotagonistadel '900. Leonardo Sciascia OPERE 1971-1983 Dal Contesto a Cruciverba il secondovolumedelleOperedi Sciasciaa cura di ClaudeAmbroise. Giàpubblicati nella stessa collana: Corrado Alvaro OPERE Vitaliano Brancati OPERE 1934-1946 Albert Caunus OPERE Romanzi e racconti T.S. Eliot OPERE Ennio Flaiano OPERE Scritti postumi Alberto Moravia OPERE 1927-1947 JosephRoth OPERE 1916-1930 Leonardo Sciascia OPERE 1956-1971 Juni' chirò Tanizaki OPERE Achille Camp OPERE Roman1j e raccon 192H933 Alberto Mor l Alberto Moravia Màrguerite Yourcenar OPERE Romanzi e racconti a ,::ura di OrC'ste del B I CL•\SSICI IIO\t\>!AN! OPERE OPERE 1948•1968 1948.]968 int'roduz.ione di Lconard a cura di Leonardo e Frnnco De Mari I Leonardo Sci OPERE, 1911-1983 . a rnra di Claudc Am I CLAS.SIC!f!OMPIANJ Leonardo Sciascia OPERE 1971· 1983 a cw·;\ <li Claudc Ambroisc I CL,\551CI OOMl'IA,"'11
Quandopassa in libreria per i suoiregali di Natale scelga il meglio G. DEVOTO-G. C. OLI NUOVOVOCABOLARIOILLUSTRATODELLALINGUAITALIAN Un'operadi prestigio peressere in sintoniaconla realtà linguisticae culturale in cui viviamo ==== S~}~~!~~!fr LIBRIAPROVADI REGALO ·-·- LF,r ~a o BIBLIOTECA ~ z GINOBIANCO~ o ~ V" *
SalvatoreMannu.z.zu Unmorsodiformica Le stranezze dell'amore in una vacanza breve e inesorabile come la vita. Il nuovo rom.anzodel vincitore del Premio Viareggio 1989. «Supercoralli», pp. r8r, L. 25 ooo FernandoPessoa Faust Un grande inedito di Fernando Pessoa: l'eterna lotta tra Intelligenza e Vita in un poema drammatico tra i maggiori del nostro secolo. Edizione italiana a cura di MariaJosé de Lancastre. Trascrizione-del manoscritto originale di Teresa Sobral Cunha. «Supercoralli», pp. rx-139, L. 22 ooo TeofiloFolengo Baldus AcuradiEmilioFaccioli Un classico dell'irriverenza, della scorpacciata e della festa. Un decalogo d'infrazioni in nome del piacere. Con testo a fronte. «I millenni», pp. L-940 con 24 illustrazioni fuori testo, L. 85 ooo PaulGinsborg Storiad'Italia daldopoguerra.aoggi Societàepolitica1943-1988 - Come eravamo e come siamo. Cinquant'anni di vita del nostro paese raccontati da uno storico di Cambridge. Traduzione di Marcello Flores e Sandro Perini. «Gli struzzi», due volumi di complessivepp. xx622, L. 40 000 1. Dalla guerra alla fine degli anni '50 n. Dal «miracolo economico» ·aglianni 'So PiergiorgioBellocchio Dallapartedeltorto Contro il conformismo e le mitologie dell'oggi, una lettura critica del1'attualità. «Saggi brevi», pp. vm-193, L. r6 ooo Einaudi NorbertoBobbio ThomasHobbes Una raccolta di studi magistrali ricostruisce la storia del dibattito filosofico-politico sul pensatore inglese in Italia. «Pbe», pp. xvr-218, L. r6 ooo ManlioBrusatin Storiadelleimmagini La copia, la duplicazione, il rispecchiamento, la memoria visiva. Un saggio che spiega come si producono e sviluppano le immagini. «S.aggi», pp. xx-130 con r8 tavole a colori e 72 in bianco e nero fuori testo, L. 30 ooo FrancescoCarletti Ragionamenti delmioviaggiointorno almondo Un libro di viaggio tra i piu belli della nostra letteratura. A cura di Paolo Collo. «Nuova Universale Einaudi», pp. xxr-237, L. 26 000 JonathanSwift IviaggidiGulliver nellatraduzionediLidiaStoroniMauolani Una violenta condanna del genere umano nel primo romanzo « nonsense » della letteratura inglese. «Scrittori tradotti da scrittori», pp. 362, L. r8 ooo CalderondelaBarca L'alcaldediZalamea Lo stupro della virtu e il dramma dell'onore al centro di un capolavoro del teatro spagnolo del '600. Versione di Luca Fontana. Nota introduttiva di Pier Luigi Crovetto. «Collezione di teatro», pp. xxn-129, L. 12 ooo Patri.ziaValduga Medicamenta ealtrimedicamenta « Certo non ho memoria, tra i moèlerni, di un poeta che abbia allacciato cosi strettamente la propria urgenza di esistere con l'urgenza di dire e di dirsi» (Luigi Baldacci). Con uno scritto di Luigi Baldacci. «Collezione di poesia», pp. VIII-89, L. 9000 A giorni in libreria: ElsaMorante Diario1938 Un libro di sogni, senza piu distinzione tra veglia e sonno, tra intelligenza della realtà e intelligenza del desiderio. Un inedito di Elsa Morante. «Saggi brevi», pp. xn-65, L. ro ooo Dizionariodellapittura edeipittori DirettodaMichelLaclotteconlacollaborazione diJean-PierreCuzin. Un dizionario che spazia dalla preistoria a oggi e informa su scuole, tendenze, ateliers, musei, critici, collezionisti, committenti di tutto il mondo. Volume primo A-C pp. xxv-820 con 87 tavole fuori testo, L. I IO 000
Direi/ore: Goffredo Fofi Direzione editoriale: Lia Sacerdote Collaboratori: Adelina Aletti, Oùara Allegra, Enrico Alleva, Isabella Camera d'Afflitto, Giancarlo Ascari, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Paolo Bertinetti, Gianfranco Bettin, Romano Bilenchi, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Franco Brioscbi, Marisa Bulgheroni, Marisa Caramella, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca . Oerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Del Conte, Stefano De Matteis, Riccardo Duranti, Bruno Falcetto, Marcello Flores, Giancarlo Gaeta, Fabio Gambaro, Filippo Gentiloni, Piergiorgio Giacché, Aurelio Grimaldi, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Filippo La Porta, Gad Lerner, Stefano Levi della Torre, Marcello Lorrai, Maria Maderna, Luigi Manconi, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghetti, Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Antonello Negri, Maria Teresa Orsi, CesarePianciola, Gianandrea Piccioli, Giovanni Pillonca, Bruno l'ischedda, Oreste Pivetta, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Joaquì'n Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi, Egi Volterrani. Progello grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche iconografiche: Barbara Galla Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Regina Hayon Cohen Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Rina Disanza Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Pasquale Alferi, Fabrizio Bagatti, Maria Bilenchi, Franco Cavallone, Giorgio Ferrari, Carla Giannetta, Roberto Gilodi, Giovanni Giovannetti, Grazia Neri, Luca Rastello, "Storie strisce", "The Village Voice", la redazione de "L'Unità", le case editrici Bompiani, Garzanti, Il Mandarino, le librerie Claudiana e Popolare di via Tadino 18 a Milano. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Tel. 02/6691132-6690931 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (Ml) - Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA Mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo mnoo/o Numero 43 - Lire 8.000 Abbonamenli annuale: ITALIA: L. 65.000 da versare a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L. 90.000 I manoscrilli non vengono restituiti Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo stati in grado di rintracciare gli aventi dirillo, ci dichiariamo pronti a ottemperare agli obblighi relativi. · Questa rivista è stampata su carta riciclata. LINDE'AOMBRA anno VII novembre 1989 numero43 5 8 13 17 22 29 Gian Enrico Rusconi Guido Franzinetti Filippo Gentiloni Giuseppe Pontremoli J. G. Ballard Paolo Giovannetti Memorie e confini d'Europa Il compromesso polacco I Valdesi, tra Bibbia e laicità moderna Il nuovo feticcio del "bambino cognitivot, Il mio credo Michelstaedter e la strada della persuasione RUBRICHE: Horror (S. Benni sui premi ai giornalisti a pag. 4), Lettere (O. Pivetta sulla nostra democrazia a pag. 15; R. Delera sui Pubblicitari/Progresso a pag. 16; A. Riccio da Cuba a pag. 28), Confronti (M. Flores su A. Koestler a pag. 19; L. Clerici su C. Ransmayr a pag. 21; F. Binni su J. G. Ballard a pag. 23, G. Fofi su A Cheng a pag. 27), Memoria (S. Petrignani su Paola Masino a pag. 24; B. Falcetto su Georges Simenon a pag. 25), Promemoria a pag. 33, Gli autod di questo numero a pag. 95 · 51 65 39 44 53 67 57 60 62 70 35 42 68 47 Jiri Kolar Julio Cortazar Romano Bilenchi Ludvìk Vaculìk Hans Christian Branner Emilio Tadini Elena Poniatowska Mavis Gallant Agota Kristof Emilio Segrè W.H.Auden Giacomo Debenedetti Taha Hussein "The Village Voice" e S. B. Whitehead TEATRO: 74 Eric Bogosian 80 Gabriella Giannachi 82 Paolo Bertinetti MUSICA: 85 Paolo Scarnecchia VIDEO: 86 Paolo Rosa CINEMA: 87 Piera Detassis r 92 Peter Weir Poesie, a cura di Sylvie Richterova Cinque poesie, a cura di Danilo Manera Benedetto Due racconti di un oppositore Fine agosto La persona sbagliata ::::=. ········· ···::;:::······· ••,•,••::::::::::;:::::::::;::::::::::::::::• ?ti ::::::::::::::::::::::;:::::;:::;:;;::;:::: :- • • •:• -:-:- ,/}fff:ffffi/ L'importante è non darsi importanza a cura di Maria Nadotti .•:•:::::::::::::•:•:•:•:•:❖:-:-:-:-:- rrmrrt:::: : L'importante è leggere, a cura di Marisa Caramella L'importante è scrivere, a cura di Enrico Lombardi Un manager dell'impresa scientifica Leggere Il laboratorio di Bilenchi Aforismi Le grandi tappe della critica letteraria Incubo americano. Sei monologhi, a cura di M. Maffi La politica teatrale in Inghilterra Teatro inglese, dollari americani Un grande vecchio della musica brasiliana Da Glauber Rocha a David Byrne Kafka a Teheran Seize the time - in casa Disney a cura di P. Detassis eP.Mereghettisu Scola a pag. 89,A.M. Gallonesuloseliani apag. 89, G. Canova su Soderbergh a pag. 90, G. Volpi su Askoldov a pag. 91, G. Fofi su Resnais a pag. 91. La copertina di questo numero è di Elfo (distr. Storiestrisce).
IL CONTESTO Tre inviti Un premio a tre integerrimi giornalisti-scrittori Stefano Benni e::.. !taglia Canaglia, l'ultimo libro del giornalista Nino Spadatratta, racconta del groviglio di corruzione e bugie in cui si dibatte il nostro paese, denunciando con indignata amarezza lo scempio della democrazia e dei più elementari diritti dei cittadini da parte di una partitocrazia spudorata e di potentati economici sem - pre più simili a torve associazioni a delinquere, con la complicità e la connivenza di settar.i dello stato inquinati da oscure logge mai veramente combattute. · Il libro verrà presentato stasera al Palatrussardi dopo una cena fredda a cui parteciperanno gli onorevoli Spadolini e Martelli. Il libro verrà poi discusso, oltre che dall'autore, dal presidente del consiglio Giulio Andreotti, dall'industriale Silvio Berlusconi e dal presidente della Rai Enrico Manca. Brani del libro particolarmente duri, riguardanti i rapporti tra mafia e potere politico, verranno letti da Marina Ripa di Meana. • Al termine del dibattito, che si annuncia particolarmente animato, il presidente del consiglio Andreotti consegnerà all'autore del libro il premio Vetulonia per il giornalismo. A sua volta anche il presidente del consiglio verrà premiato per la sua attività di scrittore e saggista con una targa del comune di Milano, opera del famoso scultore Genesio Pillitteri. Dato il carattere particolarmente scottante e rovente di alcune pagine del libro, è obbligatorio l'abito scuro. Presenta Milly Carlucci con gli allievi ufficiali dell'accademia militare di M9dena. Il ricavato della serata andrà a Telefono azzurro. Carta non canta più, l'ultimo libro del giornalista Saverio Baionetta, racconta della miseranda condizione in cui versa l'informazione italiana, ormai succube del potere economico e concentrata nelle mani di pochi individui senza scrupoli il cui fine non è già la correttezza dell'informazione quanto il suo uso spregiudicato al serviziodelle più torbide operazioni finanziarie. Il libro affonda impietosamente il coltello nella situazione ormai marcescente dei giornalisti, i quali, privati di ogni potere e ridotti a meri strumenti nelle mani di direttori sempre più conniventi col potere e avidi loro stessi di prestigio politico ed economico, si stanno arrendendo alla violazione delle più elementari regole di etica professionale in una quotidiana umiliazione del loro ruolo sempre più svilito da compravendite oscure e da disinvolte operazioni pubblicitarie che preferiscono la facile scorciatoia-di un immediato aumento di copie a un serio discorso sull'informazione. 4 -- Disegno di David Scher. Il libro verrà discusso domani nei locali della fondazione Agnelli, in occasione della presentazione del nuovo gioco "Volta l'angolo" che apparirà da domani in tutti i maggiori quotidiani e mediante il quale, voltando l'angolo delle prime pagine dei giornali, sarà possibile vincere premi quali azioni Montedison, abbonamenti al Milan, FiatPandaealtro ancora. Il libro verrà presentato, oltre che dall'autore, da Raul Gardini, Gianni Agnelli, Gianni De Benedetti v Attilio Monti. Modereranno il dibattito Enzo Biagi e Gianni Letta. Alcuni brani del libro verranno letti da Aldo Biscardi. . Al termine del dibattito verrà consegnato da Eugenio Scalfaria Giulio Andreotti il premioExxon-Portofino per l'ecologia. Il ricavato della serata sarà devoluto in rimborsi spese. Cultura addio l'ultimo libro dello scrittore Luigi G. Di Dolore tratta della nefasta palude in cui sobbolle la cultura italiana infestata da premi letterari e prebende di tutti i tipi, teatro delle scorribande di spregiudicati manager editoriali che si contendono mediocri scrittori a suon di milioni, con un 'industria cinematografica sempre più dominata da mafie incolte, con una televisione ormai vergognosamente lottizzata, madrina e sponsor di carriere politiche e di arrivismi personali, con un patrimonio monumentale sempre più degradato e abbandonato a se stesso dall'incuria degli amministratori e dalle risse tra critici prezzolati, con un teatro ambiguamente foraggiato, con un'opera lirica ormai dominata dagli isterismi divistici di questo o quel tenore o direttore, in una vergognosa mercificazione del tutto in saloni, festival, rassegne, biennali, enti inutili. Il libro verrà presentato nei saloni del Ninfeo con il collegamento diretto delle tre reti Rai e dei loro direttori, del presidente della Biennale Paolo Portoghesi e del ministro Carrara i quali introdurranno un dibattito con l'autore. Brani del libro verranno letti da Enrico Montesano. Seguirà una sfilata di pret-à-porter di Armani ispirata alle opere di Alberoni. Il presidente del consiglio Andreotti consegnerà - il premio Barilla-Borges ai primi dodici che si presenteranno. A sua volta Lina Wertrniiller premierà Giulio Andreotti per motivi ancora da stabilire. Carmelo Bene piscerà sul buffet. Il ricavato della serata verrà pubblicato da Mondadori.
IL CONTESTO Memorie e confini d'Europa I paesi del Centro e la 11 miseria tedesca" Gian Enrico Rusconi , 1. In tema d'Europa all'enfasi retorica dei politici e dei massmedia, che usano un linguaggio troppo simile a quello delle agenzie turistiche di viaggio, fa riscontro un certo imbarazzo delle memorie collettive. Parlo di memorie in senso proprio: non dei buoni sentimenti di oggi, generosamente retroproiettati sul passato. La memoria è una dimensione vitale ostinata. Non è un magazzino di robe vecchie da cui si possono prendere articoli a piacimento. È un vissuto che si lascia rivisitare, rielaborare ma non manipolare. Ebbene la memoria reciproca dei popoli europei riposa a tutt'oggi su un vissuto carico di dolori, paure, terrori. Presso le generazioni più adulte, appena sotto la crosta dei reciproci sorrisi, sono sedimentati risentimenti, residui passivi di inimicizie. Non esiste una memoria comune europea solidale. Né può essere inventata, a partire da memorie spezzate. Da qui il singolare contrasto tra un sincero volontarismo europeisticQ e la reticenza dei ricordi diretti. Il contrasto traspare anche dalla valanga di documentazioni filmate e televisive di questi mesi, in coincidenza con il cinquantenario dello scoppio della seconda guerra mondiale. Eppure dobbiamo rivisitare queste memorie dure, che sono segnate ancora soprattutto dai confini etnico-nazionali. Sono essi che delimitano "i" tedeschi, "gli" italiani, "i" russi, "gli" ungheresi e così via. La storia europea moderna è stata segnata a fondo dai confini etnico-nazionali. Non esiste una memoria solidale europea perché l'Europa è stata una singolare combinazione di diversità. Una somma di tensioni tra culture affini eppure competitive, di interazioni di diversi. Qualcuno ha parlato di "miracolo europeo" proprio per questa coesistenza di tensioni. Accanto arisultati esaltanti, ci sono costi molto alti. Alcuni popoli hanno pagato più di altri. Alcune nazioni portano responsabilità storiche più pesanti di altre. Tutto questo è rimasto nella memoria. Oggi possiamo rivisitare questa memoria: non per assolvere né per recriminare. I criminalì rimangono criminali, le vittime rimangono vittime, i complici rimangono complici: questo vale per $li eroi come per i codardi, per gli stupidi come per i generosi ecc. E mantenendo queste gerarchie morali, che possiamo rielaborare una memoria comune, attraverso la quale capire le ragioni e il senso di tutte le posizioni, anche delle più ripugnanti. Capire la qualità dei conflitti e dei comportamenti da cui alla fine è nata l'Europa di oggi. 2. L'itinerario delle memorie e dei confini d'Europa può e deve iniziare dal Centro e dalla Germania (dalle Germanie, sevogliamo usare un criterio statuale). Questo è il luogo storico di eventi che hanno inciso in profondità nel XX secolo. Da qui prendono inizio le due guerre mondiali, qui si commettono violenze e genocidi senza pari, qui si crea la divisione più drammatica del1'Europa moderna. Ma nel contempo il Centro Europa sta diventando il luogo storico più inquieto, innovativo, stimolante, ricco di prospettive per l'Europa stessa. Parlare d'Europa a Praga, a Budapest, a Varsa via o a Lipsia produce un'emozione che nessuna agenzia pubblicitaria parigina o milanese saprebbe ricreare o inventare. Da quelle parti l'Europa significa esperienza culturale (spirituale, starei per dire), oltre che mercato delle merci che consentono un legittjmo benessere. 3. Ma dov'è il Centro d'Europa? Dove comincia e dove finisce? Sembrano domande stravaganti, da vecchia geopolitica. Attorno a queste domande si sono scatenate passioni distruttive e guerre. Centro è proprio quel pezzo d'Europa dove la delimitazione dei confini ha portato con sé le disgrazie più gravi. Senza andare tanto indietro al granducato di Polonia, al regno di Boemia o ai cavalieri teutonici della Prussia, guardiamo la carta geogra- , fica di oggi a confronto con quella di 70 anni fa. Rispetto al 1918 ci sono Stati che si dissolvono e Stati che nascono; Stati che si spostano di centinaia di chilometri e- ancora- ridimensionamenti, modifiche, mutilazioni territoriali. Quello che non si vede dalle cartine sono i massacri di popolazioni e gli spostamenti coatti di milioni e milioni di persone attraverso vecchi e nuovi confini. Soprattutto la carta geografica non ci dice che da quelle aree è sparito, letteralmente annientato un popolo senza Stato: i milioni di ebrei che vi abitavano da secoli. La definizione stessa di Centro d'Europa è stata motivo di competizione culturale e politico-militare. La Germania, infatti, si è tradizionalmente concepita come potenza e nazione di Centro - in polemica esplicita contro l'Occidente al di là del Reno e l'Oriente delle pianure russe. Questa autocollocazione culturale e geopolitica presupponeva tacitamente o esplicitamente la "civilizzazione" ovvero la germanizzazione dei popoli slavi che si trovavano nel mezzo di quelle che erano considerate aree di potenza. Germanizzazione ha per noi oggi un suono sinistro. Ma dobbiamo riconoscere che per secoli esso ebbe contenuti di effettiva modernizzazione e di stimolo culturale per popolazioni tagliate fuori da contatti diretti con i centri europei più vitali. Affiancata e insieme in competizione con questa visione germanocentrica dell'Europa di mezzo, c'era un'altra prospettiva, anch'essa connotata dall'idea di Mitteleuropa. Una prospettiva forse più universalistica, polarizzata più a sud e a est. C'era il polo viennese, specificatamente asburgico, che recentemente ha avuto un singolare rilancio pubblicistico. Ma c'era anche un polo più ampio e variegato, racchiuso nel cerchio ideale Praga, Budapest, Cracovia, Lubliana, Vienna. È difficile dire oggi se anche questo luogo magico sia l'idealizzazione retrospettiva di letterati e poeti che inventano comunanze di cultura là dove ci furono innanzitutto inimicizie etniche e politiche che negli anni Venti e Trenta portarono a conseguenze fatali. Ma prima di toccare questo punto, devo ricordare un altro elemento - anch'esso negativo - del nostro quadro di memoria e confini. 4. Un filo nero collega le memorie separate degli europei: un'immagine negati va del tedesco. Si tratta di un'immagine creata in parte spontaneamente nelle culture/subculture diffuse. In parte è stata costruita dalle agenzie di Stato in occasione dei due conflitti mondiali. Nel nostro paese, basti pensare all'immagine del tedesco/austriaco dei nostri nonni/bisnonni fusa e confusa con la propria disponibilità al sacrificio supremo alla patria. Basta andare a leggere le migliaia di lapidi e cippi che ancora segnano i luoghi del sacrificio nella Grande Guerra. In essi il tedesco è dipinto con le truculente tinte del barbarico malvagio secondo an-, tichi stereotipi. Direttamente a questa tradizione si è collegata senza fatica la memoria della Resistenza. Tramite essa si è raffor5
IL CONTESTO zata la fatale saldatura stereotipa di tedesco e nazista. Tutto questo è comprensibile, anzi legittimo. Ma oggi dobbiamo distinguere più energicamente tra giudizio storico e stereotipo. Da qui prende avvio la costruzione di una memoria comune europea, critica e solidale. Potremmo cominciare con il ricordare che le prime vittime della "barbarie tedesca" furono altri tedeschi - democratici, socialisti, comunisti, liberali,religiosi, laici ecc. - per finire con i membri di quella Resistenza anti-hitleriana, di cui da noi si conosce ~sai poco. E comprensibile - viceversa - che da noi ci sia una grande sensibilità per tutte le forme di rinascita o ritorni di neo-nazismo. Molta stampa ha letto in questa chiave i recenti successi elettorali di gruppi di destra estrema nella Repubblica federale. La mia opinione è che questi successi si spieghino con ragioni diverse dalla nostalgia neo-nazista. Sono legate all'acuirsi della questione etnica che sta investendo tutta l'Europa provocando indistintamente reazioni xenofobe. La xenofobia, l'intolleranza etnicorazziale sono un pericolo incombente sull'intera Europa, anche se in Germania potrebbero riattivare predisposizioni collettive, mai pienamente corrette, che nel passato hanno portato agli orrori che conosciamo. · 5. Siamo così al tema del "passato che non passa", per riprendere un'espressione diventata ormai corrente. In questi ultimi due anni si è avuta un 'inattesa drammatizzazione di un annoso dibattito. Sotto l'etichetta di "revisionismo" si è riacceso l'interrogativo se i crimini nazisti, anzi più esattamente se e come il genocidio contro gli ebrei debba considerarsi un evento "unico" nel suo genere. Chi tende a rivedere o meglio a riformulare questo concetto (come fa ad esempioEmst Nolte), compie questa operazione stabilendo un confronto diretto con quanto è accaduto nell 'Unione Sovietica dalla rivoluzione bolscevica agli stermini stalinisti. Non intendo ripercorrere qui le tappe di una polemica che in pochi mesi ha prodotto centinaia di interventi e decine di libri. Mi limito? ricordare l'interrogativo di Nolte che ha fatto il giro del mondo lasciando turbati o esterrefatti: "L'arcipelago Gulag non fu più originario di Auschwitz? Lo 'sterminio di classe' dei bolscevichi non fu il prius logico e fattuale dello 'sterminio di razza' dei nazionalsocialisti?". Lo stesso Nolte ha dato risposte di versamente calibrate e non sempre chiare a questo interrogativo, formulato in modo volutamente retorico. Una risposta di Nolte suona così: "In quanto annientamento tendenzialmente totale di un 'popolo mondiale', il genocidio degli ebrei si distingue in modo sostanziale da tutti i genocidi ma è l'esatta immagine rovesciata dell'annientamento tendenzialmente totale di una 'classe mondiale' ad opera del bolscevismo". In questo senso il genocidio ebraico sarebbe la copia o il calco biologico razziale di un' azione sociale originariamente forgiata per la lotta politica di classe. Diciamo subito che la tesi noltiana del "nesso causale" tra bolscevismo e nazionalsocialismo non è storicamente sostenibile in questi termini. Non solo la dottrina e la pratica razziale del nazionalsocialismo hanno una loro autonomia e "originalità" (per usare il termine noltiano) interna alla cultura tedesca. Ma l'intera dinamica sociale e politica del nazionalsocialismo risponde a radici, motivi, obiettivi che solo molto indirettamente chiamano in causa il parallelo sviluppo del bolscevismo e stalinismo. Chiarito questo punto di principio merita attenzione la questione delle affinità di struttura e mentalità, delle suggestioni imitative, delle fantasie proiettive reciproche tra i due regimi totalitari nazionalsocialista e stalinista. È un punto che non può essere eluso in una riflessione come la nostra: soprattutto per un'area geografica come l'Europa centrale che più di ogni altra ha sofferto delle affinità e reciproéità dei due regimi totalitari. In un'area dove si fanno sempre più esplicite e circostanziate le denunce dello stalinismo e delle sue conse6 guenze disastrose. Nessuno di noi tuttavia può sostituirsi ai polacchi, agli ungheresi, ai cecoslovacchi nella ricostruzione e valutazione critica di questa fase storica, evitando lo scaricamento delle colpe e la neutralizzazione incrociata delle responsabilità storiche, quale talvolta affiora nel revisionismo tedesco. Ma vediamo più da vicino due tipici motivi di questo revisionismo. Si possono formulare nel modo seguente: a) Il genocidio ebraico, sulle cui dimensioni e qualità eccezionali non ci possono essere dubbi, si iscrive purtuttavia nel ciclo delle violenze collettive che segnano l'Europa a partire dalla prima guerra mondiale. Questa constatazione assegna un carattere completamente diverso alla tesi della "unicità" dell'Olocausto. La violenza di natura etnico-razziale, compreso il genocidio, è una componente interna dello scontro delle politiche di potenza, degli imperialismi del secolo XX. Questo ciclo si conclude in Europa nell'immediato dopoguerra con l'espulsione di milioni di tedeschi dalle loro terre orientali. In questa ottica l'Europa centro- .orientale diventa il luogo storico di una doppia catastrofe ebraica e tedesca. b) Un secondo motivo revisionista si può riformulare così: la vergogna morale di Auschwitz non deve segnare necessariamente come tale l'identità dei tedeschi di oggi. Non neè lo stigma indelebile. I loro problemi di identità storica rimandano piuttosto al fallimento della Germania come nazione e come grande potenza e quindi alle conseguenze politiche e culturali che ne sono derivate. Il costo più tangibile di questo fallimento è la divisione della nazione, lo smembramento delle regioni orientali (Prussia, Pomerania). 6. Come si può replicare a queste considerazioni, a cominciare dalla messa in dubbio del carattere "unico" del genocidio degli ebrei? A mio avviso, insistere sulla "unicità" dell'Olocausto, per salvaguardarne il ricordo e fame argomento decisivo contro ogni razzismo, potrebbe rivelarsi una strategia o una pedagogia debole. Rischia di portare inconsapevolmente, specialmente nelle generazioni più giovani, a una sorta di ritualizzazione che pone l'evento fuori dal mondo, dalla storia. Il pericolo che io vedo oggi non è tanto l'oblio o la rimozione, quanto la fissazione dell'Olocausto a un immaginario e linguaggio quasi sacrali che perdono contatto con la quotidianità, la "banalità del male", la sua infinita moltiplicabilità. Parlo naturalmente non delle testimonianze dei protagonisti, ma di certi modi della loro trasmissione. Mi chiedo se il cerchio d'orrore e di sacro che racchiude Auschwitz agli occhi di tanti giovani sia la strada migliore per far maturare la loro intelligenza storica. L'Olocausto non è unico perché materialmente o moralmente inconfrontabile con altri genocidi. Anche se è documentabile che quanto è accaduto non è mai accaduto prima, questa diversità non può basarsi in modo risolutivo su indicatori numerici, materialì o qualitativi di tipologie e tecnologie degli orrori di massa. Il carattere eccezionale del genocidio ebraico va ricercato in altre due direzioni. Innanzitutto esso segna una cesura storica senza precedenti nella percezione collettiva delle vittime e di coloro che ne sono venute a conoscenza. La indicibilità, la "incomunicabilità" di quanto è ·avvenuto - motivo costante delle testimonianze dei sopravvissuti - entra in contraddizione con la nostra civiltà della parola, del concetto, della comunicazione. Di più: dal momento che la questione ebraica è stato un momento costante del "discorso pubblico" europeo (dall'emancipazione dei Lumi alle giustificazionf dell'antisemitismo tra le due guerre), l'Olocausto diventa una denuncia bruciante dell'universalismo europeo (cristiano e laico) posto di fronte alla sua prova storica più severa. · Da qui il carattere non già unico, ma esemplare e paradigmatico dell'Olocausto. Non si tratta di uno scambio di concetti, di sapore accademico. Carattere paradigmatico dell'Olocausto signi-
Alexei vonJavlenskii, Solitudine ( 19 l 2). fica che solo tramite esso la coscienza europea acquista la piena ~on_sal?evolezz~_diche cosa sia "il genocidio". E di quanto esso sia mgmnoso dell idea stessa di ragione che l'occidente pretende rappresentare. In questo modo diventa chiave di lettura storica comparata degli altri genocidi: da guello staliniano dei Kulak.i a quello dei cambogiani di Poi Pot. È insensato temere in tutto ciò una speculazione comparativa, che svalorizza l'evento. Ma c'è un altro argomento, che vale per i non-ebrei. Questi si trovano dinanzi all'arduo compito di assumersi la memoria "dell'altra P3:fte"-:- non ~to dei carnefici e dei responsabili diretti, q~anto d1quelh ~he dicevano di non sapere, di non potere. I ricordi della generazione che ha speso la sua gioventù in guerra, pass~n~oaccanto ag!i orro~, magari rimuovendone il sospetto. E oggi s1sentono essi stessi a loro modo ingannati e vittime. Insomma i_milioni di Waldheim, che vivono in Europa- irritati, frustrati, talvolta arroganti talvolta desolati. . questi_se!1~menti affiorano spesso nei conflitti generazionali ~e1pa~s1d1hngua tedesca. Ebbene: queste memorie dei padri, dei nonm vanno cancellate, ignorate, falsificate? Basta il velo della ~ergogn~ filiale per s~varle? Come ci si concilia con questi pa- ~? N?n s1apre un capitolo a~co_ratutto da scrivere per I'identi- ~ st~nca d~lle n~?v~ generaz1?m? In essa devono trovare spazio sia 1 eccez1onal1ta d1 Auschwitz che la normalità deformata o ~gnara,meschina o incolpevole di chi semplicemente viveva con Il suo tempo.C'è un "dovere del ricordo" anche in questa ricostruzione critica. Non alla ricerca di compensazioni, di alibi o viceversa di colpevolizzazioni indiscriminate. Semplicemente si tratta di capire, di ripercorrere le ragioni degli altri, di confrontarle con argomenti sempre più convincenti. Questo è il processo di elaborazione di quella memoria che può efficacemente contrastare la ripetibilità di quanto è accaduto. 7. Una decina di anni fa, sulla "scena" giovanile berlinese emblematica dell'umore di una generazione che oggi ormai è ~ulla s?glia ~ell 'età adulta, mi ha colpito una affermazione, che non ho d1men_t1cato._ Ecco che cosa diceva un ventenne di allora: "Quando arrivano I compagni stranieri, inizia il cattivo rituale: si deve dare sfogo ali' orrore per la miseria tedesca. La Germania è dipinta con i colori più neri: tutto il mondo è migliore - solo la Germani1,1è l'orrore compiuto. Non sopporto più questo servilismo: ess~re acc_ettato~ai compagni stranieri solo se rinnego il mio paese. E un vicolo cieco che sta nella tradizione della denazificazione imperialista dei maledetti yankees che ci hanno decretato la loro democrazia". N?n so 9-uanl?q_uesl?sf~g~ sia statisticamente rappresentativo dei sentimenti d1ffus1.Ne ntengo urgente qui denunciarne la pericolosità politica. Ritengo piuttosto che le parole riportate siaIL CONTESTO no, nella loro ambigua intensità, un segno chiaro di quel proble- ~a dell'iden~tà storica tedesca cui le culture politiche deinocratiche correntI non hanno saputo trovare una soluzione. "Identità storica" è un concetto facile da enunciare ma difficile da articolare. Infatti non significa semplicemente ~pere tutto quello che è successo al paese cui si appartiene per sangue, lingua e cultura. Ma accettare che tale conoscenza (anche e soprattutto nei suoi aspetti moralmente squalificanti) tocchi in profondità la propria identità (anche se non ci si sente personalmente responsabili di quanto è accaduto). Questo processo di conoscenza coincide con la formazione e la stabilizzazione della memoria collettiva in senso pieno. Questo processo è in atto in Germania, anche se talvolta appare incerto, instabile, reversibile. Ma si tratta di difficoltà intrinseche_allanatura stessa del fenomeno in corso. È come se ogni generazione debba riprendere daccapo ogni volta l'iniziativa, a partire da dove l'ha lasciata la generazione precedente. Anzi, spesS?vengono contestati i criteri stessi con cui ha operato la generaz10neprecedente. Con il passare degli anni, le vittime e i testimoni diretti dei crimini nazisti si lasciano andare al pessimismo- lamentando la dimenticanza, la relativizzazione e banalizzazione di quanto è accaduto, addirittura la sua profanazione. Si tratta naturalmente di preoccupazioni legittime da tenere in attenta considerazione. Ma come ho già detto, ritengo che leminacce più insidiose ad una memoria storica matura vengano oggi da una malaccorta sacralizzazione dell'accaduto, che provoca una specie di morbosità dell' orrore (che può assumere, per reazione, la forma, appunto, della profanazione). Oppure il rituale della colpevolizzazione universale. L'ultimo esempio lo ha offerto la nostra televisione di Stato con il programma di "Mixer" dedicato all'Olocausto settimane or sono. Le immagini dei campi di sterminio erano seguite da commenti che parlavano delle corresponsabilità del Vaticano del governo americano, inglese e degli stessi esponenti del futuro Stato d'Israele. Tutti costoro sapevano (avevano notizie) di quanto stava accadendo agli ebrei, ma non hanno fatto nulla. Il tono concitato del commentatore televisivo voleva essere quello della grande denuncia: ma l'enormità dell'assunto mai seriamente discuss~ n_elcorso della trasmi.ssione ("chi sapeva o sospettava del genoc1d10è colpevole") ha ottenuto verosimilmente l'effetto opposto presso il telespettatore medio: ha trasmesso uno sconfortante senso di generalizzazione delle responsabilità storiche per l '0locausto - molto simile a una relativizzazione generale. La "miseria tedesca" e la sua intollerabile ritualizzazione, contro cui si ribella il giovane berlinese_ricordato sopra, sono il sottoprodotto di un singolare ostracismo spirituale, decretato alla recente storia tedesca. Le è negato il carattere proprio di "tragedia" - a dispetto dell'uso e abuso dell'aggettivo corrente di "tragico" per connotare le sue vicende. Stiamo parlando infatti di '.'tragedia" nel suo significato forte, originario, greco d/conflit~ tomsuperabile di ragioni, di diritti. Ebbene la vicenda tedesca non si dispiega nel contrasto di ragioni contro ragioni, di diritti contro diritti, ma attraverso prevaricazioni e delitti - così almeno nell'immaginario storico collettivo. Persino la dimensione "politica" della vicenda perde connotati tragici autentici (quelli che nell'Antigone sofoclea fanno sì che le ragioni della politica costituiscano le radici stesse della tragedia). Questa della "tragedia negata" mi pare un'ottica degna di riflessione in questa sede - soprattutto se all'idea di tragedia associamo, legittimamente, l'idea della grande rappresentazione, della memoria collettiva che si dispiega in segni pubblici. Forse l'obiettivo che tutti ci poniamo - tedeschi e non-tedeschi, figli/ nipoti delle vittime e di quelli che attivi o passivi stavano dall 'altra parte- l'obiettivo di una comune memoria solidale europea sarà realizzato quando qualcuno riuscirà a creare e rappresentare una autentica "tragedia tedesca". 7
IL CONTESTO Il compromesso polacco Significati e dilemmi di una svolta Guido Franzinetti Dieci anni dopo Varsavia sembra quella di sempre. Tutto è come prima, ma un po' peggio: dal degrado degli edifici, a quello dei servizi pubblici (che i giornalisti occidentali non sembrano aver mai usato, visto che non ne parlano mai) a quello dei rifornimenti di generi alimentari (di quelli non alimentari non è il caso di parlare). C'è ovviamente un progressivo deterioramento di ogni aspetto della qualità nella vita. Per chi è vissuto in una qualsiasi grande città dell'Europa occidentale (che, nel bene o nel male, è comunque cambiata in meglio o in peggio nel corso di questo decennio), questa "staticità" della vita polacca ha qualcosa di agghiacciante. Per chi ricorda la cupa disperazione delle code per i generi alimentari (in teoria razionati, ma in pratica spesso introvabili) nel 1981, la situazione sembra, se non proprio migliorata, perlomeno stabilizzata. Nelle macellerie di Varsa via a fine giornata è diventato possibile vedere carne invenduta: un fatto senza precedenti, almeno in quest'ultimo decennio. (S'intende che tutti gli altri generi alimentari scompaiono sempre a fine giornata, e le code nei negozi e supermercati sono analoghe a quelle del 1981.) La spiegazione di questo mutamento è molto semplice: l'inflazione (anche se la mancanza di congelatori gioca la sua parte). L'inflazione è stata presente sin dalla fine degli anni Settanta, accentuandosi dopo il 1981, ma i suoi effetti sui consumi dei salariati furono grosso modo attutiti da aumenti salariali. Questa volta l'ondata inflazionistica giunge improvvisa, senza più protezioni dai suoi effetti. Uno degli ultimi atti del governo Rakowski, alla fine di luglio, è stato quello di abolire i sussidi sui generi alimentari, senza modificare l'assetto del sistema distributivo. Dopodiché si è aperta una crisi di governo che è durata sino all'inizio di settembre, con la creazione del primo governo a direzione non comunista, presieduto da Mazowiecki. Il panico che si crea in tutti i momenti di incertezza politica ha fatto il resto: il tasso d'inflazione sarebbe ora del 50% al mese (secondo la cauta stima del settimanale economico "Zycie gospodarcze", 10 settembre 1989). Ma il peggio deve ancora venire. Nel suo discorso inaugurale come primo ministro, Mazowiecki ha affermato che, se le tendenze attuali continuassero inarrestate, il tasso d'inflazione raggiungerebbe il 4.000% (sic) all'anno.L'unico fattore che contenga il panico è la pura e semplice stanchezza di una popolazione logorata dal progressivo deterioramento della situazione economica e sociale. Il voto "Mafiosi di quart' ordine. Neanche capaci a far votare per il loro partito i propri parenti di secondo grado". Questo il commento di un amico italiano dinanzi alla secca sconfitta del partito comunista (POUP, Partito Operaio Unificato Polacco). Cominciamo dalla natura del voto del 4 giugno in Polonia. Le elezioni sono state semilibere, in più di un senso. Al senato (che prima non esisteva) la distribuzione dei seggi era assolutamente libera, ma con un sistema maggioritario analogo a quello della Quinta Repubblica in Francia (elezione al primo turno del candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei voti, in assenza dela la quale si procedeva a un secondo turno di ballottaggio). La distribuzione dei seggi per la camera bassa (la dieta) avveniva invece su tre liste bloccate: la prima, della coalizione governativa (POUP, Partito Contadino e Partito democratico) a cui erano assicurati il 65% dei seggi, indipendentemente dal risultato elettorale; la seconda, la cosiddetta "lista nazionale", composta di 35 grossi nomi della parte governativa, che avevano bisogno di ottenere la maggioranza dei voti espressi per risultare eletti; il resto dei seggi era da assegnàrsi sulla base di una lista aperta ai "senzapartito" (Solidarnosc, altri indipendenti ma anche esponenti filogovernati vi, ivi compreso l'ex portavoce del governo, J erzy Urban) sempre in base a un sistema maggioritario. Ogni elettore aveva quindi a disposizione quattro voti, esprimibili solo in forma di cancellazione di nomi sgraditi, non in forma di voto positivo, diretto. Il calcolo di parte governativa poteva essere quindi il seguente: la maggioranza dei seggi alla dieta ci è comunque garantita; ci facciamo eleggere anche sulla "lista nazionale", che la maggioranza degli elettori lascerà senza toccare (esprimendq così, di fatto, un voto positivo); quanto alla lista dei senzapartito, era sufficiente che il voto dell'opposizione si spaccasse affinché Solidarnosc (che si presentava formalmente sotto l'etichetta dei "Comitati civici" di Solidarnosc) potesse, al limite, ottenere zero seggi. Era un calcolo tutt'altro che implausibile, tenuto conto della stanchezza della $OCietàpolacca, del fatto che Solidamosc è stata una organizzazione clandestina dal 13 dicembre 1981 alla primavera del 1989 (metà dei membri della Commissione Nazionale del sindacato eletti al congresso del 1981 sono nel frattempo emigrati), dell'effetto che l'apatia (tradotta in astensionismo) avrebbe potuto avere. Il fatto è che qualsiasi sistema elettorale, per quanto iniquo, non appena cominci a rispettare alcune regole, ha comunque degli effetti non totalmente controllabili a priori. Rimane il fatto che la vittoria di Solidamosc è dovuta alla concomitanza di diverse circostanze: sarebbero bastati un tasso di astensione leggermente diverso, un po' di spaccature all'interno di Solidarnosc, un POUP un po' meno sicuro di sé, e il risultato avrebbe potuto essere capovolto. . La vittoria di Solidamosc si spiega in base a una serie di fattori, innanzi tutto interni. Solidamosc presentò un solo candidato per distretto elettorale (più di uno laddove era possibile farlo), e ha fornito indicazioni di voto chiare, ivi compresa la foto del candidato al fianco di Walesa. Ha organizzato comitati elettorali su tutto il territorio nazionale, garantendo la presenza di osservatori e di persone in grado di spiegare le procedure elettorali. Tutti i candidati delle altre opposizioni sono stati spazzati via con percentuali irrisorie. A ciò si aggiunge, non ultima, la reazione della popolazione dinanzi alla possibilità di cancellare i nomi dei responsabili della gestione del potere in Polonia con il voto per "lista nazionale" (che dopotutto non avrebbe dovuto interessare la maggioranza degli elettori): tutti i candidati della lista sono stati bocciati (pare che alcuni elettori si siano commossi sino alle lacrime per questa possibilità di esprimere i loro sentimenti più pro-
fondi). (1) Non sono ancora disponibili molti studi sui risultati elettorali del voto di giugno. Questo è dovuto in parte alla complessità dell'attuale procedura elettorale in Polonia. (Le prossime elezioni, che dovrebbero essere libere, si svolgeranno quasi sicuramente con un sistema proporzionale, anziché maggioritario.) Su untotale di 27 milioni di voti, si può dire che Solidarnosc ne ha raccolto 18milioni, il POUP e i suoi alleati ZSL (partito contadino) e SD (partito democratico) circa 8 milioni. Questi dati sono indicativi solo in senso molto generico; gli 8 milioni di voti per il POUP e i suoi alleati sono in realtà l'indicazione del loro massirrw voto conseguito (nel voto per cancellazione) per la "lista nazionale", non una percentuale media di consensi in una votazione a lista libera, quale era solo quella del senato. La distribuzione di voti tra POUP, ZSL e SD è ovviamente avvenuta all'interno di una lista bloccata, e non è quindi molto significativa. D'altronde, un sostenitore di Solidamosc poteva benissimo votare anche all'interno delle due liste governative, e molti lo hanno certamente fatto. Infine, il tasso di astensione al primo turno è stato del 40%; al secon- · do turno (quando quasi tutti i candidati di Solidamosc erano già eletti) del 75%. (2) Non è quindi facile dare una lettura di questi dati. Da un lato si può dire che il reale livello di consenso al POUP è stato ancor più basso di quanto non appaia; d'altronde gli astenuti comprendono certamente sostenitori del POUP (che non sentivano il bisogno di votare per il partito questavolta, ma che la prossima volta, con un sistema elettorale proporzionale, potrebbero tornare a votare). Ma gli astenuti comprendono anche sostenitori di Solidamosc che per diversi motivi non erano d'accordo sulla parteciManifestino di Solidarnosc: "A mezzogiorno esalto. 4 giugno 1989.". ILCONTESTO pazione alle elezioni. Tenendo presenti questi elementi, si può alla fine dire che "grosso modo" le elezioni riflettono la realtà del paese: un POUP sconfitto, ma non distrutto; Solidamosc vittoriosa, ma con qualcosa di meno di un mandato plebiscitario. (Le percentuali di Solidamosc sono anzi risultate maggiori nelle zone meno industriali, in cui l'organizzazione sindacale è più debole. Da alcuni studi preliminari, risulterebbe anche che il voto per Solidamosc sia più debole tra i giovani.) E, accanto a queste due forze, quel che è stato chiamato il "generale Astensione" (per analogia con il "generale Inverno", che sconfisse Napoleone, e pernon confonderlo con altri generali, usciti perdenti dalle elezioni). Il significato di una svolta Il dopoguerra è veramente finito, cinquant'anni dopo l'inizio della Seconda guerra mondiale. La costituzione del primo governo polacco a direzione non comunista rappresenta una svolta reale e irreversibile nell'assetto postbellico. Si parla molto, in Europa occidentale, delle riforme in corso in Unione sovietica e in Ungheria. È bene ricordare che lo Stato polacco è stato finora l'unico ad aver attuato reali riforme. La svolta polacca (che è avvenuta tra l'autunno del 1988 e l 'inverno del 1989, quando sono state avviate le trattative della "tavola rotonda" che hanno stabilito i termini delle elezioni) ha due aspetti ben distinti: a) la giunta militare (J aruzelski e Kiszczak) ha fatto marcia indietro rispetto alla politica che essa ha cercato di attuare dal colpo di Stato del 13 dicembre 1981 sino alle trattative con Solidamosc del 1988-89, scaturita la decisione di svolgere elezioni semilibere a giugno; b) il partito comunista è stato costretto ad abdicare al proprio "ruolo dirigente". È bene ricordare che la Repubblica Popolare Polacca ha subìto una discontinuità istituzionale con il colpo di Stato. Questo fatto ha comportato due conseguenze: a) la delegittimazione del POUP e dello Stato in base alle loro norme costituzionali e di partito (fatto che giustamente lasciò indifferente quasi tutto il mondo politico italiano, che accolse il golpe con malcelato sollievo); b) la militarizzazione di importanti settori dello Stato polacco, fatto eccezionale in un contesto esteuropeo (il controllo partiticopoliziesco - come quello, efficientissimo, dell'Ungheria di Kadar - non è certo meglio, ma è un'altra cosa) novità certamente sottovalutata (o non percepita) dalla maggioranza degli osservatori esterni. In realtà il significato del golpe di Jaruzelski diventa evidente e tangibile solo con la nomina di Mazowiecki alla presidenza del consiglio nell'agosto 1989: a partire dal quel 13 dicembre 1981 il POUPèdiventato (defacto, se non dejure) un accessorio del potere, custodito ora dai militari; e gli accessori, come è noto, non sono indispensabili, come sta imparando adesso il POUP. La presidenza della Repubblica in Polonia gode di prerogative maggiori di quelle della presidenza francese. Le prerogative sono simili a quelle di un presidente americano (che però non divide poteri con primo ministro). (3) La natura assai concreta di queste prerogative è emersa già alla costituzione del governo Mazowiecki: tutte le nomine per i poteri locali (prefetti, ecc.) sono ora prerogative della presidenza. Con ciò non intendo ovviamente dire che la nomina di Mazowiecki non significhi nulla; semplicemente che la rapidità del passaggio di poteri tra POUP e Solidarnosc riflette innanzi tutto il fatto che il POUP cometale aveva già perso il potere nel 1981. L'esercito, al contrario, mantiene tutti i propri poteri. Questa distinzione può sembrare accademica, visto che i militari polacchi sono ovviamente tutti comunisti; ma se si rivolge lo sguardo agli altri paesi esteuropei, si può vedere la differenza che fa. Nessun altro Stato esteuropeo (a cominciare da quello ungherese) sarebbe stato in grado di effettuare così rapidamente un passaggio di o
IL CONTESTO consegne;nessun altro esercitoesteuropeo (aldifuoridi quello sovietico)_hauna autonomia paragonabile a quella dell'esercito polacco. (E significativo che una delle rivendicazioni dell'opposizione ungherese sia stata quella del disarmo della milizia armata del partito; gli attuali negoziati a Budapest sembrano aver adesso escluso tale possibilità.) Il POUP ha perso una parte del potere, ma non la propria nomenklatura (e tutte le nomine per le cariche che ne derivano). È ovvio che Solidarnosc dovrà contrattare una soluzione di compromesso su questo problema. Stanno già emergendo problemi nel corso del processo di "affrancamento della nomenklatura", vale a dire l'uso da parte della nomenklatura dei poteri acquisiti nell'apparato per garantirsi unpunto di partenza vantaggiosonell'espansione del settore privato. L'economistà Jan Wisniewski avevapropostonel 1987di pagare alla nomenklaturauna lauta liquidazioneper farla uscire di scena senza porre ostacoli. Questa ipotesi - che all'epoca suonava quasi fantapolitica - diventa adesso un'opzione reale, e sono emersi i problemi che essa comporta. L'economista (e deputato di Solidarnosc) Bugaj sostiene adessoche laprivatizzazionedellanomenklatura"non rappresenta altroche il saccheggiodellanostra ricchezza nazionale".La sociologaStaniszkissostiene inveceche il processoècomunque positivo,perché un burocrate privatizzato diventa una figura sociale diversa. Non ritengo che queste posizioni rappresentino due presunte anime contrapposte di Solidarnosc (quella "liberista" e quella "collettivista"). Destra e sinistra sono termini che si definiscono reciprocamente e simultaneamente. Facciamo un altro esempio, sotto certi aspetti più concreto. Solidarnosc non ha più avuto un congressodal!'autunno del 1981.L'attuale linea diWalesanon ha quindi un vero e proprio mandato degli iscritti al sindacato, che nel frattempo sono passati dai 10milioni ai 2 milioniattuali (fattononsorprendente, tenutocontodel degradodellasituazionepolacca). Si è creato adesso un movimento di opposizione a Walesa. Questi oppositori chiedono più democrazia nel sindacato: quindi(?) sono di sinistra. D'altronde usano un linguaggiomolto più anticomunista vecchio stile, che in Polonia può anche assumeredei connotati molto sgradevoli: quindi sonodi destra. Ma gli oppositori esprimono anche una posizione di difesa degli interessioperai: quindi sonodi sinistra. In quantoanticomunisti,sono anche inclini a usare un linguaggio liberista: quindi (??) sono di destra. Come si vede, non è ancora facile usare categorie classiche qi destra e di sinistra in Polonia (non lo è mai, a ben riflettere). E letteralmente possibile sentire la stessa persona usare al mattino un linguaggio sindacalista, e liberista alla sera. Questo non vuol dire che questa distinzione non possa crearsi, anche in poco tempo. Vuol dire che Solidarnosc è una specie di CLN nel periododella Costituente, con tutte le complicazioni che ne derivano. Vuol anche dire che, per il momento, è meglio usare categorie come "fondamentalisti" e "conciliatori" che, in quanto derivanti dalla storia religiosa, sono forse più efficaci nel descrivere la intrinseca ambiguità politica della situazione polacca. Un non-evento Da un certo punto di vista la svolta polacca potrebbe sembrare semplicemente l'ennesima fase del ciclo lotte-repressioneconcessioni-finanziamentioccidentali iniziato nel 1956. Ci sono però due fattori che sono effettivamente nuovi. Innanzitutto Solidamosc è stata legalizzata. Tutto il sindacato è stato legalizzato, non solo i "conciliatori". Di fatto (anche se sono ancora dejure) esisteadesso in Polonia una piena libertà di associazione,per la destra storica come per i neoanarchici. Esiste ancora la censura (soprattuttoper quanto riguarda i rapporti con l'Unione sovietica) ma il governo Mazowiecki ne prevede l'abolizione. Il secondo aspetto che rende diversa questa fasedel ciclo po10 - , \ " • > !!tt -:~ t:· ' ' ,~'"½ o';. " ✓ " ' ! " , ,,, "Laprimavolta/ puoi scegliere/ scegli/ Solidarnosc." liticoinPolonia è il consolidamento del settore privato. L' esis za di un settore privato in un paese comunista non è una novi neanchenella DDR. Il problema è stato piuttosto quello della tura di questo settore, che finora (in tutti i paesi comunisti) sempreseguito la legge di Aaslund, secondo cui l'attività ec mica nei paesi comunisti fluttua a un livello basso, essendo ci camente soggetta alle oscillazioni tra l'incoraggiamento e la pressione.Jacek Rostowski stima che il settore privato dia pazionea quasi un terzo delle forze di lavoro (3,9 milioni in coltura e 1,6 milioni nei settori extra-agricoli); la percentuale redditi derivanti dal settore privato oscillerebbe tra il 38% e 45,2 %. ( 4) Questo fattononsignifica che l'economia polacca debbaaffrontareproblemi, a cominciare da quelli delle infras ture; spiega però come sia possibile trovare a Varsavia anche incremento della ricchezza privata, congiunto a un dramma · peggioramento dello squallore pubblico. Vuol dire anche e conflittidi interessi sonodestinati ad aumentare, ma anche a biare aspetto. Una vecchia paura: la paura del popolo I risultati delle elezioni polacche non hanno attirato molta tenzione, solo in parte per la tragica concomitanza con la~ di piazza Tien An Men. Rispunta però, in molti osseryaton_( voltaanche in Polonia) unavecchia paura, comune al liberali timidoe al tardo giacobinismo: la paura del popolo. C?sa v . no fare questi polacchi, ora che possono votare per chi vogh non c'è il pericolo di unaVandea vittoriosa, che travolga Poi nel nazionalismo clericale?Nel corso di una discussione o siaMosca, un osservatorepolacco ha addirittura prospet~to il ricolo di un khomeinismo bianco, che potrebbe nasce~e _m se. toa unamodernizzazioneforzata. (5) I moti vi per quesb umon no in parte comprensibili, in parte no. Per anni questa A~gs~ l'intellighenzia di tutto il mondo è stata utilizzata per grnsbfi re lo stalinismoe i suoipostumi. Adesso, per la prima volta inq sto dopoguerra, i polacchi hanno votato, e non hanno votato unLe Pen polacco, non hanno votato neanche per la ?es~~ ca polacca (che, sia detto per inciso, combattè contro 10~1sb un po' più costanza della maggior parte delle forze pobuche ropeedi destra e di sinistra).Non hanno neanche votato per le fi mazionidemocristiane appoggiate-<la G lemp e da~a CDlJ_. no votatoper CLN polacco, che in questo senso è ti ~otopiù a nistra che sia mai stato espresso da un elettorato etmcamente lacco. Guardiamo quel che sta accadendo nel resto dell'E orientale. InUngheria non si è votato (o meglio, c'è stata una ni-elezionein undistretto, nellaquale è stato eletto un prete.)N
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