STORIE/FRASSINETI glie, un fiume, o addirittura il mare. E le indagini da me condotte - che non rendo di pubblica ragione per ovvi motivi di riservatezza- mi pongono in grado di affermare che non si tratta, qui, di una curiosità psicologica e tanto meno di un vezzo. L'immaturità generale in questa materia è tale che, se anche accada che un somaro maldestro o non abbastanza politicizzato si lasci cogliere, come suol dirsi, con le mani nel sacco, nessuno va più in là di una stupita constatazione del fatto. Recentemente tutti i giornali hanno riservato una dozzina di righe a un caso di rivolta cruenta di un somaro. Nessun commento, però, nessuna illazione, nessun tentativo di approfondire. E aggiungo: nessuna meraviglia di ciò da parte mia. La sordità della nostra classe dirigente alle istanze sociali è vecchia e tenace quanto l'abitudine dei somari di camminare sull'orlo degli abissi: quest'abitudine che è il segno palese di un reiterato millenario avvertimento, di una millenaria pazienza, di una millenaria mal riposta speranza. Chi mai si è chiesto, per esempio, se, anche per i somari, esista il problema della protezione dall'arbitrio e dalla ingordigia dei padroni, mediante leggi o contratti collettivi o che so io? E con le assicurazioni sociali come la mettiamo? I somari vittime di infortunio sul lavoro vengono dati al macello. In tutta la nostra storia un solo spiraglio di luce si registra, subito spento. E fu quando, in ima delle prime legislature del Regno d'Italia, un valoroso parlamentare, il cui nome e la cui opera furono poi cancellati dagli atti ufficiali, osò porre ali' ordine del giorno la questione dei somari. Per un banale errore di trascrizione sul quale la destra liberale, sempre pari a se stessa, si formalizzò con furore, la questione dei somari diventò la questione dei Sòmali. E fu così che l'Italia, invece di volgersi a forme di democrazia parlamentare moderna, aperta all'intelligenza dei problemi degli oppressi, si dispose a diventare, tradendo il patrimonioideale del nostro Risorgimento, una potenza coloniale. Per concludere, la risposta alla mia domanda non può essere che questa: la questione dei somari esiste e non mancherà di manifestarsi in modo esplosivo se chi ha mezzi e poteri per farlo non corra tempestivamente ai ripari. Intanto, si dovrebbe subito cominciare a far comprendere ai proprietari di somari, con adeguate iniziative culturali, con quale carica di dinamite stanno scherzando. E soprattutto dovrebbe evitarsi come la peste ogni manifestazione che abbia o sembri avere carattere di dileggio·nei confronti della categoria. Non credendo ai miei occhi, ho letto che a Napoli, per celebrare la vittoria di quella squadra calcistica contro la "Roma", un somaro - e mi si dice che non è la prima volta - è stato costretto a correre per il campo con un grappolo di petardi legato alla coda, fra i lazzi e gli sghignazzi di una folla scatenata. So bene che il cosiddetto "ciuccio" è l'emblema della squadra; ma questa non è una ragione; semmai un'aggravante. Ma che dire dello sfregio dell' "asino volante", che si ripete ogni anno in un paese della Toscana, in occasione di una ricorrenza religiosa? L'asino, appeso a una carrucola che scorre su di un cavo, vien fatto scendere nella piazza dal!' alto della torre civica. La misura del cinismo che presiede a certe nefandezze non sarebbe data tuttavia per intero se non si ricordasse che, su questa usanza barbarica, è stata coniata una volgare spiritosaggine, passata in proverbio: 96 O studiare per esser uomini, o in Empoli volar per Corpus Domini. Alla quale alternativa si dovrebbe rispondere che, per essere uomini di quelli Che vanno in visibilio alla vista di un onesto asino lavoratore messo alla berlina, non val proprio la pena di studiare. È necessario si sappia, in ogni caso, che fatti del genere son forme di follia suicida. Si danno, per la verità, dei casi esemplari di rapporti amichevoli tra padrone e somaro. Si tratta per lo più di padroni semplicemente non cattivi - o anche cattivi, ma non troppo, relativamente a tutti gli altri- e di somari non ancora inaspriti da un eccesso di soprusi. Basta poco, allora, per far presa sull'animo sensibile di un somaro. E valga per tutti l'esempio di quell'asino, del quale anche i giornali hanno parlato, benché con la solita superficialità, e che, nell'imminenza dei funerali del padrone, rompendo la cavezza che lo teneva all'anello, volle inserirsi nel corteo fra la bara e i parenti. Inutilmente si tentò poi di lasciarlo fuori dai cancelli del cimitero: si fece largo di forza e non si lasciò ricondurre nella stalla finché la bara non fu coperta di terra. Simili fatti io trovo che dovrebbero essere riportati nei testi di storia delle scuole elementari, con più spicco di quel che si (accia per la storia dell'Impero romano; e non già per consolidare il mito reazionario del "buon padrone", bensì per lumeggiare come si conviene la gentilezza e l'intelligenza dei somari, i quali, esattamente come noi, son capaci di tutto nel bene come nel male. Non credano pertanto i nostri governanti di poter aggirare bellamente le difficoltà incalzanti dell'ora creando un qualsiasi Ente Nazionale Somari, parassitario e paternalistico, o di poter distrarre gli asini dalle loro sacrosante rivendicazioni dando fiato alle trombe europeistiche; a meno che non sia bene in vista nel Foto di Fosco Maraini (da Civiltà contadina, De Donato 1980).
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