LA PAZIENZA HA UN LIMITE Augusto Frassineti Figure come quella di Augusto Frassineti (Faenza, 1911-Roma, 1985) sembrano fatte apposta per ricordarci le dimensioni di un'altra Italia (Norberto Bobbio si limitò a definirla anni fa conmolta nettezza, compilando alcuni medaglioni di personaggi emblematici, un'Italia civile.forse l'unica Italia civile possibile), che fa da singolare contrasto con quella caciarona, malfida, godereccia, andreottiana, craxiana.formigoniana e neo-papalina dei nostri anni. Un abito mentale in apparenza sereno e pulito, nel profondo venato tuttavia di sottili e sotterranee intelligenze, loportò quasi naturalmente a militare nelle file del Partito d'Azione, afrequentare organizzazioni politiche e culturali variamente eterodosse come la salveminiana ADESSPI, lo stesso Movimento Salvemini alla morte dello storico pugliese, movimenti culturali d'avanguardia come il Gruppo '63, oltre a partecipare alla fondazione di propri come il Movimento di collaborazione civica. Fu anche collaboratore di Lussu al Ministero del Lavoro durante la breve ed unica parentesi in cui la sinistra fu al potere col governo Parri nell'immediato dopoguerra. Ma, cacciata ben presto l' intera sinistra radicale dall'alleanza intessutasi attorno a De Gasperi ed al partito americano, Frassineti vegetò a lungo, prima dell'anticipata pensione, al medesimo Ministero del Lavoro, percorrendo a ritroso tutta la carriera ministeriale verso, come egli stesso disse di sé, "una progressiva promozione ai gradi inferiori". Il privilegiato osservatorio offerto dalla burocrazia dei ministeri e dagli infiniti postulanti da quelli variamente foraggiati gli offerse tuttavia il destro di fissarne i tipi in quel delizioso pamphlet, una vera e propria work inprogress manipolata fra il 1948 ed il 1973, cheftJrono i Misteri dei ministeri. Qui Frassineti si rivela l'impareggiabile esperto di una nuova scienza, la ministerialità, da lui medesimo inventata non diversamente dalla patafisica di un] arry o dalle macchine ironiche e inutili di unArp e di un Picabia o ancora dalle regole fatte di sole eccezioni di un Campanile. Le vesti grottesche e seriose di questo insondabile ed incomprensibile mondo sono inserite dallo scrittore romagnolo, ora con gesto divertito ora con partecipazione sgomenta, nell'ambito di una disciplina dalle soluzioni immaginarie che lascia noi stessi a metà strada fra il sorriso divertito e lo sconcerto tout court kafkiano. La pagina di Frassineti, così aerea efelice e pungente e umanamente comprensiva, rappresenta un unicum abbastanza straordinario nel pesante clima neorealista dell'Italia del secondo dopoguerra. L'abile gioco intessuto fra un divertissement letterario felice e grottesco, e l' allegoria dolorosa di sègno per l'appunto kafkiano, dà il timbro a tutta quanta la sua produzione, accostandola, per affinità elettive ma anche per .incontri di lavoro, alle opere dei tanti eterodossi della nostra tradizione, da Capitini aSalvemini, daErnesto Rossi a Maccari, daF o aM anganelli. È perciò del tutto naturale che dopo le pagine L'unghia dell'asino (1961), di Un capitano a riposo (1963), di Tre bestemmie uguali e distinte( 1969), oltre alle pagine teatrali de Il tubo e il cubo (1966) ed agli aforismi di Tutto sommato (1985), una sorta di lascito culturale informa di spiccioli sberleffi. lasciati in punto di morte; è del tutto naturale, si diceva, che q~sti eterodossi egli li andasse a cercare anche nel passato e oltralpe. E questo infatti il senso più autentico della sua attività di traduttore nella quale impegnò i suoi ultimi anni di vita, a cominciare dal Gargantua nel 1982 (del quale si ebbe anche una versione in musica dovuta ad Azio Carghi su libretto di Frassineti), per continuare col Romanzo dei comici di campagna del secentista francese Paul Scarron nel 1982, ancora col diderottiano Nipote di Rameau nel 1985, per finire con l'opera poi rimasta incompiuta e uscita ora (Einaudi 1989) per la cura di Barbara Piquet, L'arte di fare fortuna, unfelice ed irriverènte ma non fortunato libello di un rabelaisiano francese, Béroalde de Verville, sepolta ad intermittenza negli scaffali dei bibliofili o negli enfers delle biblioteche pubbliche. (Giuseppe Anceschi) Dei due testi che seguono, il primo è apparso nel volume L'unghia dell'asino (Garzanti 1961), menJre il secondo, del 1965, è inedito e ne dobbiamo il recupero alla gentilezza di Ebe Flamini, animatrice con Frassineti e Cecrope Barilli del Movimento di collaborazione civica sin dagli anni della sua fondazione. Ringraziamo sentitamente la signora EnrichettaFrassineti per averci concesso di poterli pubblicare. Esiste una "questione dei somari"? Prima di rispondere, si consideri che le campagne ed i centri ·agricoli della Sicilia, della Sardegna e di gran parte dell'Italia centro-meridionale, nonché delle zone montuose del restante territorio, sono serviti, quanto a mezzi di trasporto, da quadrupedi appartenenti quasi tutti alla benemerita categoria. Cosa accadrebbe, mi chiedo, se i somari italiani si ponessero in blocco e di botto, sul piano inclinato della noncollaborazione? Potrebbero il governo e la civica solidarietà apprestare mezzi sufficienti per fronteggiare la paralisi paurosa che ne seguirebbe? Io penso di no. E, dal momento che esistono segni rimarchevoli dai quali par lecito inferire che anche fra i somari, a causa dell'incuria geperale e millenaria, vadano facendosi strada le ideologie classiste, mi sembra che qualcuno, specie fra chi è investito di responsabilità di governo, dovrebbe cominciare a riflettere. Intanto, se i segni di cui parlo non sono fantasie, se veramente anche fra gli asini si comincia a pensare e ad agire in termini di lotta di classe, ciò significa - e la prova non potrebbe essere più luminosa-che la strada battuta dal centro democratico per ridurre all'osso l'estrema sinistra è una strada sbagliata, e che l' ottimismo suscitato da certi spostamenti dell'elettorato sindacale nel settore metalmeccanico non ha un fondamento gran che solido. È vero che i somari non hanno diritto di voto. Ma non è molto tempo che anche le donne si trovavano in tale condizione di inferiorità; mentre oggi, se vogliamo avere il coraggio di ammetterlo, votano esattamente come noi, ed essendo esse più numerose si può dire che noi uomini siamo alla loro mercè. Se poi si risale un poco nel tempo, è facile vedere che, oltre agli attributi politici, le donne si consideravano prive di molti altri attributi, civili, morali ed intellettuali, che poi hanno mostrato di possedere in misura anche superiore alla nostra. Se siamo stati presi di contropiede e ci troviamo in difficoltà, ciò è dunque dovuto al facile andazzo prevalso nei tempi passati, all'esserci adagiati senza il minimo sospetto, da veri citrulli, nei luoghi comuni più frusti, tramandati da società primordiali e barbariche, quando la caccia e la pesca- le sole fonti di sostentamento della specie - erano monopolio virile. Sui somari, io credo che la massima parte degli Italiani diplomati e laureati nutra illusioni retrive non meno di quelle che ci han procurato tanti dispiaceri con le donne. E il risultato potrebbe essere lo stesso, con la differenza che, trattandosi di una frattura sociale assai più profonda, il prezzo dell'assestamento su nuove posizioni sarebbe di gran lunga più elevato. Altro che diritto di voto! I pregiudizi dell'opinione pubblica - specie italiana - sui somari hanno alla base la convinzione tradizionale promossa dal 93
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