Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

ticità proprio dagli avvenimenti in corso in Unione Sovietica. Forse per la prima volta da tempo, si avverte motivo di soddisfazione di fronte alle dichiarazioni di incertezza e di confusione (che non vuol certo dire mancanza di idee-guida o di valori da propugnare), mentre diventa sempre più intollerabile la vuota sicumera di chi ha una risposta pertutto, di chi incasella prontamente ogni nuovo problema nei formalismi barocchi di una astratta e· formale razionalità. Le preoccupazioni, ad esempio, espresse da Juri Afanasiev al congresso radicale alla vigilia del Plenum sulle nazionalità che affronterà nei prossimi giorni il soviet Supremo, pur se non accompagnate da alcuna rieetta, e forse proprio per questo, sono apparse il segno di un modo di fare politica in disuso ormai da tempo anche presso i più radicali alternati visti ed oppositori nostrani. Mentre anche da noi si inizia, con ritardi e reticenze, a parlare di razzismo, basterebbe forse elencare tutti i problemi che sono racchiusi nella questione nazionale che travaglia oggi l'Unione Sovietica per capire come sia più facile dare risposte sbagliate che imboccare la strada giusta. A cosa bisognerebbe infatti che le autorità sovietiche orientassero la loro azione per ricevere il plauso dei maestri di democrazia che infestano i mass-media come cavallette? Ai principi di autonomia o a quelli della democrazia maggioritaria, al richiamo giuridico ai confini sanciti da trattati riconosciuti da tutti o al riconoscimento realista di una realtà che ha ormai cinquant'anni quando non parecchi di più? Al diritto di chi ha vinto la guerra - come è avvenuto del resto per i paesi del blocco orientale e per i figli prediletti dell'occidente postbellico (Germania, Italia, Grecia, Turchia) o al bisogno attuale di rapporti internazionali improntati al pacifismo e alla collaborazione? Come dipanare, in aggiunta, le differenti componenti (etnica, culturale, economica, sociale, istituzionale, religiosa, simbolica) che tutte insieme contribuiscono a formare la questione nazionale, e il cui peso relativo è completamente diverso in Moldavia o nel Baltico, in Georgia o in Uzbekistan? Siamo sicuri che basti richiamarsi a principi di autonomia e democrazia per risolvere questo groviglio che è l'immagine anticipata e più genuina di un mondo ormai modificato da nuove migrazioni e nuove convivenze coatte, dalla perdita e ricerca di identità collettive e dal tramontare e risorgere di ideologie, irrazionalismi, fanatismi e superstizioni di massa che surrogano e cementano una disgregazione sociale sempre più acuta? Hanno diritto le zone più avanln alto: Stalin padre dei popoli, fotomontaggio sovietico degli anni Trenta. Sotto: minatori polacchi in una foto di Caio Garrubba. IL CONTESTO zate (sia in termini economici, di benessere, ma anche di cultura e tradizioni) di pretendere l'autonomia? E perché non anche quelle che potrebbero rischiarè di ingrossare le aree della miseria e del fanatismo religioso? Si è certi che i più progrediti baltici saprebbero difendere i diritti delle minoranze slave meglio di quanto avviene in Georgia e in Uzbekistan, dove si propone contraddittoriamente che si conceda democrazia a maggioranze che son pronte a calpestare ed opprimere le più svariate minoranze cui la geografia e la storia, la genetica e la demografia hanno dato in sorte di sopravvivere od installarsi? 7

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