SCIENZA/POPPER tra le chimere della fantascienza. Questi ricercatori ricercavano per amore de la ricerca, come un cacciatore caccia per l'amore della caccia; e non della selvaggina che ucciderà. Questi fisici, o forse meglio questi "cosmologi", animati dallo spirito espresso dal Faust di Goethe, "cercavano di scoprire quali avrebbero potuto essere le forze che conservano l'unità dell'universo". Vecchio sogno dell'umanità: sogno di poeti e di filosofi. Si ritrova questo genere di speculazione cosmologica in tutte le civiltà antiche. In Grecia, nei poemi di Omero (Iliade, VIII, 13-16) e di Esiodo (Teogonia, 720-725). C'è ancora qualche ricercatoree naturalmente molti dilettanti - che crede che le scienze della natura si.accontentino di mettere insieme dei fatti, fors_esemplicemente in vista della loro utilizzazione nell'industria. lo non sono di questo parere. Per me la scienza affonda le sue radici nei miti poetici e religiosi, e nell'immaginazione umana che è sempre alla ricerca di una spiegazione di noi stessi e del nostro universo. La scienza procede dal mito sotto il pungolo della ragione critica, e questa forma di critica si ispira a sua volta a una certa idea della verità; alla ricerca della verità e alla speranza che la verità sia accessibile. Infatti le domande fondamentali che guidano lo spirito critico sono: può esser vero questo? È vero questo? Il che 1. mi riporta alla mia prima affermazione: la poesia e la scienza hanno una sola e medesima origine nel mito. La mia seconda affermazione può essere enunciata così: si possono distinguere due tipi di spirito critico, l'uno che discerne l'aspetto estetico e letterario e l'altro l'aspetto razionale delle cose. Il primo conduce dalla mitologia alla poesia; il secondo dalla mitologia alla scienza, o, per essere più precisi, alla scienza della natura. Il primo apprezza la bellezza del linguaggio, l'intensità del ritmo, lo splendore e il vigore delle immagini, la tensione ~rammatica e la sua forza di persuasione. Questo aspetto dello spirito conduce alla poesia, prima alla poesia epica e drammatica, poi alla lirica, e con essa alla musica classica. La ragione critica, viceversa, porta a domandarsi se la favola è vera: se il mondo si è realmente evoluto nel modo che si dice; se è stato creato davvero come racconta Esiodo, o forse come è detto nella Genesi. Sotto la pressione di queste domande, il mito diventa cosmologia, scienza dell'universo, del nostro ambiente immediato; e si trasforma in una scienza fisica e naturale. La mia terza affermazione dice che persistono numerose tracce di un' origine comune tra la musica e la poesia da un lato, e la scienza e la cosmologiadall' altro. Con questo non pretendo affatto dire che ogni poesia sia mitica per.essenza e che ogni scienza sia cosmo-. logica. Ciò che voglio dire, semplicemente, è che nella poesia come nella scienza, la creazione dei miti gioca ancora un ruolo di primo piano - si pensi al Jedermann di Hofmannsthal. Molto semplicemente, i miti sono i nostri modi di provare, mediante il potere della nostra immaginazione nalve, a comprendere meglio noi stessi e il nostro mondo. Buona parte della poesia, come anche della scienza, può definirsi ancora ogg~un tentativo naif, ispirato dall'immaginazione, di spiegarci la nostra presenza al mondo. La poesia e la scienza -e quindi anche la musica- sono parenti prossimi: tutte e tre procedono dallo stesso sforzo per penetrare il mistero della nostra origine e del nostro destino, come quello dell'origine e del destino dell'universo. Queste tre affe1mazioni possono essere considerate come ipo80 tesi, benché per quanto riguarda la poesia greca, e più in particolare la tragedia, la fonte mitica delrispirazione appaia indubitabile. Per quanto riguarda la storia delle origini della filosofia naturale, le tre ipotesi di lavoro hanno dato prova della loro fecondità. Nel dominio dell'arte come in quello della scienza, l'Occidente è debitore della Grecia antica. Quest'origine comune non impedisce, tuttayia, che differenze essenziali separino questi due domini. In campo scientifico vi è progresso: ciò è dovuto al fatto che la scienza ha una mèta. La scienza è la ricerca della verità, e la mèta del processo scientifico è di avvicinarsi il più possibile alla verità. Anche in campo artistico ci possono essere degli obiettivi, e nella misura in cui la stessa mèta viene perseguita per un periodo abbastanza lungo, si può parlare talvolta di progresso artistico. Per molto tempo l'imitazione della-natura fu una mèta per la pittura e la scultura, benché si possa dubitare che sia mai stata l'unica mèta. Qui si può sempre parlare di progresso, per esempio nel trattamento dell'ombra e della luce, o in quello della prospettiva. Ma questi giochi non sono mai stati i soli moventi nell'arte. E le più grandi opere d'arte ci colpiscono spesso per tutt'altre ragioni che la maestria dell'artista sul piano tecnico e delle procedure indefinitamente perfettibili. Si_èconstatato e sottolineato spesso che non esiste un progresso generale nell'arte. Il primitivismo ha forse insistito un po' troppo su questo punto. Una cosa è sicura: là dove vi è progresso - e beninteso anche declino- ciò non può avvenire che sul piano delle facoltà creative individuali dell'artista. • Ogni artista deve imparare la propria arte - anche un genio incredibile come Mozart. Ogni artista, o quasi, ha seguito le lezioni di un maestro. E tutti i grandi artisti traggono insegnamenti dalla propria esperienza, dal proprio lavoro. Oscar Wilde ha detto: "L'esperienza è il nome che ciascuno dà ai propri errori". E John Archibald Wheeler, il grande fisico e cosmologo, aggiuryge: "Tutto il nostro problema è commettere i nostri errori il più presto possibile". Il mio commento su questo punto è che è nostro dovere scoprire i nostri errori, e trarne'gli insegnamenti del caso. ·Persino Mozart ha ritenuto di dover apportare dei cambiamenti radicali a certe sue opere - come il primo Quintetto per archi in si bemolle maggiore, un'operagiovanile-permigliorarle. I suoi capolavori più puri hanno visto la luce negli ultimi dieci anni della sua breve esistenza, tra i ventiquattro e i trentacinque anni, dal 1780 circa al 1791. Ciò mostra bene tutto quel che egli ha dovuto imparare praticando l'autocritica, e con quale rapidità. Resta ugualmente incredibile che abbia potuto scrivere Il ratto dal serraglio all'età di venticinque-ventisei anni, e Le nozze di Figaro a trent'anni. Però è a Beethoven che devo il titolo del mio discorso: "Il ruolo dell'autocritica nella creazione artistica e scientifica"; o più esattamente lo devo a una visita di molti anni fa a una mostra dei Quaderni di appunti di Ludwig van Beethoven, organizzata dalla Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna. Questi Quaderni sono delle testimonianze eloquenti del ruolo dello spirito critico nella creazione artistica in Beethoven, del suo incessante rimettere in questione le proprie invenzioni musicali, e per le correzioni spesso impietose che apportava a idee scritte di getto. Una capacità autocritica implacabile, che ci aiu-
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