IL RUOLO DELL'AUTOCRITICA NELLA CREAZIONE Karl R. Popper traduzione di Stefano Velotti Nel mio mestiere, ho come oggetto principale un tema astratto: il problema della conoscenza e, più in particolare, della conoscenza scientifica. Inoltre, in un mondo, in cui è diventata regola, tra gli intellettuali, far professione di pessimismo se si vuole essere sulla cresta dell'onda, io sono un uccello raro, un ottimista. Per quanto mi riguarda, credo che la nostra epoca valga quanto un'~tra; e, in ogni caso, la sua reputazione è peggiore della realtà. E trascorso un quarto di secolo dal giorno in cui tenni una conferenza, il cui titolo può sembrare oggi ancora più provocatorio di allora: "Storia del nostro teìnpo: prospettiva di un ottimista". Non demorderò. Da diversi anni i nostri intellettuali si sono strettamente attenuti al principio che la nostra pseudo-cultura non è altro che un'industria bassamente commerciale, che è "kitsch" e volgare. In tutti i prodotti che quest'industria mette sul mercato sotto le sembianze di cultura, i pessimisti ne scorgono solo la degenerazione - o, peggio, l'assenza di gusto. Ma un ottimista vede anche l'altro lato della medaglia: milioni di dischi e di cassette che diffondono le più belle opere di Bach, Mozart, Beethoven e Schubert - i più grandi musicisti di tutti i tempi - vengono vendute grazie a quell'industria; e il numero di coloro che hanno imparato a conoscere e ad amare questi grandi musicisti e le loro musiche meravigliose è incalcolabile. · È vero che sarebbe difficile controbattere ai pessimisti quando ci accusano di diseducare quasi volontariamente i nostri figli abituandoli allo spettacolo di crudeltà e di violenza offerto dai film in televisione. E purtroppo si potrebbe dire altrettanto della letteratura contemporanea. Il mio ottimismo mi spinge a constatare, tuttavia, che a dispetto di tutti i nostri tentativi di favorire la propagazione della violenza, al mondo c'è tanta gente pacifica e cortese. A dispetto di tutto ciò che possono raccontare i pessimisti sugli orrori abominevoli della nostra epoca- talvolta non senza ragione-, resta un buon numero di persone che sono felici di essere vive. I pessimisti deplorano il declino della morale e della politica, il disprezzo dei diritti dell'uomo che credevamo acquisiti, e hanno ragione. Ma hanno sempre ragione di imputarne la colpa alla scienza e alle sue applicazioni tecnologiche? Certamente no. E l'ottimista ribatte che la scienza e la tecnologia hanno apportato una discreta prosperità ai popoli europei e americani, mentre la spaventosa miseria e le sofferenze del secolo precedente abbandonavano vaste regioni del mondo. Non ho qna fede cieca nel progresso, né in una qualsiasi legge del progresso. Nella storia dell'umanità ci sono alti ebassi. Una grande ricchezza può accompagnarsi a una degenerazione dei costumi. Un'epoca di fioritura artistica può coincidere con un declino della carità e della fraternità umane. Più di quarant'anni fa ho pubblicato qualche riflessione contro il culto del progresso e l' influenza nefasta della moda e del feticismo modernista per le ar- . ti e per le scienze. Non è trascorso molto tempo da quando eravamo invitati a celebrare questo culto del progresso e del modernismo. Oggi la moda è cambiata e veniamo invitati a dar sfoggio di pessimismo culturale. Ciò che vorrei dire ai nostri pessimisti, è che nel corso della mia lunga esistenza non ho visto soltanto dei passi indietro, ma anche dei segni molto evidenti di progresso. Non voler ammettere che la nostra epoca possa avere qualcosa di buono, significa essere ciechi e accecare gli altri. Trovo nefasto che intellettuali influenti e rispettati passino il loro tempo a cercare di convincere la gente che la loro vita è un inferno: ciò non solo ha l'effetto di renderli inquieti- che in sé non sarebbe un male-, ma di renderli infelici. Li si priva della loro gioia di vivere. Beethoven, che ebbe tanti motivi d'infelicità nella sua vita privata, conclude la sua opera con un Inno alla gioia ispirato a Schiller. Beethoven visse in uri'epoca di speranze libertarie deluse. La Rivoluzione francese era sprofondata sotto il Terrore e l'Impero napoleonico. La Restaurazione di Metternich soffocò l'idea di democrazia e inasprì l'antagonismo di classe. La miseria delle classi popolari era spaventosa. L'Inno alla gioia di Beethoven è un'ardente protesta contro la lotta di classe che divide l'umanità: "streng geteilt" dice Schiller; ''frech geteilt" corregge Beethoven in un passaggio in cui il coro si scatena. La divisione non è più soltanto brutale, è arrogante. Eppure Beethoven ignora \a lotta di classe, non conosce che l'amore per l'umanità. Quasi tutte le sue opere si concludono su una nota di consolazione, come la suaMis- . sa Solemnis, o in uno spirito di esultanza, come le sinfonie e il Fide/io. Molti dei nostri artisti contemporanei hanno ceduto alla propaganda pessimista contro la nostra cultura. Credono sia loro dovere dipingere un mondo atroce, o quello che considerano un periodo particolarmente atroce della nostra storia, con dei colori atroci. È vero che alcuni dei più grandi artisti del passato hanno agito così - penso per esempio a Goya. È un bene che la società sia sottoposta alla critica, ed è necessario che questa critica turbi profondamente le coscienze. Ma la critica è vana se si profonde in lamentazioni; deve piuttosto essere un appello alle risorse che permettono di doqiinare la sofferenza - come nelle Nozze di Figaro, dove l'autore non risparmia le sue critiche alla società del tempo, ma vi nasconde un significato più profondo. Un messaggio grave e colmo di dolore; ma anche di gioia e di vitalità debordante. Il tema delle mie riflessioni verte sul ruolo dell'autocritica nella creazione artistica e scientifica: e non è senza relazioni con ciò che ho detto sul pessimismo culturale. Sia pur brevemente, vorrei evocare almeno alcune delle somiglianze e delle differenze tra l'attività creatrice dei grandi scienziati e dei grandi artisti, se non altro per combattere la propaganda condotta dai nostri pessimisti contro le scienze fisiche e naturali - un argomento più attuale che mai. · I grandi artisti hanno in testa una sola idea: il loro lavoro, il lavoro che hanno in cantiere. È il vero senso dell'espressione: "lavorare per amore dell'arte", che vuol dire: per l'amore dell'opera d'arte che si sta facendo. Lo stesso vale per i grandi scienziati. È un grave errore credere che l'impulso che anima i "filosofi della natura", come si diceva un tempo, sia da rintracciare nelle applicazioni della scienza. Né Planck, né Einstein, né Rutherford, né Bohr sognavano per un solo momento di ricavare un'applicazione pratica dalla teoria atomica. Al contrario, proprio nel 1939 erano convinti che ciò fosse impossibile. Relegavano quest'idea 79
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