I ... LA PAUSA PER LA RIFLESSIONE Incontro con Seamus Heaney a cura di Clara de Petris Il 1989 è un anno importante per Seamus Heaney. Ha compiuto cinquant'anni e li ha festeggiati visitando Roma per laprima volta. Al Teatro Trianon ha letto le sue poesie per il pubblico romano, che affollava non solo la sala ma anche ilfoyer del teatro dove era stato sistemato uno schermo per perrnettere a tutti di seguire l'avvertimento: vedere e ascoltare il più celebrato poeta di lingua inglese, un irlandese dagli occhi allegri di fanciullo sotto una chioma precocemente incanutita. Heaney ha sgranato con voce calda e persuasiva versi intensi, taglienti come vanghe che affondano nello humus del suo tormentato Paese, l'Ulster delle cronache di quotidiana follia. Sorprendentemente, però, ha chiuso la sua performance romana con un sonetto ancora inedito in cui confessa di aver "aspettato fin quasi a cinquant'anni! per credere alle meraviglie. Come le girandole di lattai degli zingari. Tutto quel tempo prima che l'aria rasserenasse/ il tempo fosse radioso e il cuore ·sollevato." , E piena di divertita meraviglia è suonata la sua risata al telefono quando chi scrive si complimentava con lui il 3 giugno scorso per l'assegnazione della Cattedra di Poesia dell' Università di Oxford, antica di 281 anni. Un concorso sui generis, deciso dai laureati dell'ateneo oxonense che votano di persona, e perciò una delle poche occasioni in cui il giudizio del mondo accademico, che costituisce la maggioranza dei votanti, ha ancora unpeso notevole sul piatto della cultura "militante". L' elezione di Heaney ha interrotto la serie di poeti di estrazione accademica e ha segnato il ritorno alla grande "dinastia poetica" degli Auden, Graves, Blunden e Fuller. Sicuramente Heaney nelle due conferenze annuali che dovrà tenere per il prossimo quinquennio si misurerà con i grandi. · Annus mirabilis, dunque, il 1989 per Seamus Heaney che a Roma, lo scorso aprile, ha accettato di rispondere ad alcune domande. Ne è scaturito un autoritratto utile al lettore italiano, dal momento che la sua opera è ancora inedita nel nostro paese. Heanèy ha dibattuto, chiarito, spesso ironicamente chiosato i grandi temi della sua poesia: l'amore per l'Ulster contadino, il contrasto con la cultura inglese dominante, drecupero della matrice gaelica del suo inglese, i mae.striKavanagh e Hopkins, e infine la complessa eredità culturale cattolica e nazionalista. Heaney si è confrontato con la violenza dello scontro politico nell'Irlanda de/Nord, ceréando di dare ad essa una "amplificazione cosmica" con il recupero di una comune matrice europea, volgendosi a Dante che gli ha permesso di ripensare al problema della responsabilità nel confronto arte/politica. Nell'intervista Heaney parla dell'Italia; di Roma e della sua nuova determinazione di "abbracciare la lirica" manifestata nelle poesie più recenti. Risposte pensate per il pubblico italiano a cui il poeta si sente legato da affinità culturali che rendono la sua parola sciolta e sicura, senza paura di fraintendimenti sui pur complessi problemi affrontati. Ringraziamo la casa editrice Mondadori e in particolare i responsabili della collana "Lo Specchio" per la gentile autorizzazione a pubblicare testi che appariranno in quell'edizione, in altra traduzione. Nelle prime raccolte Death of a Naturalist (1966) e Dooi-into the Dark (1969) lei cede alfascino degli elementi, della natura, ma vista senza indulgenze bucoliche dalla sua gente, contadini della contea di Derry, nella loro faticçi quotidiana. Come ha preso forma il suo sentimento del luogo di origine? Il luogo mi è stato dato, ma sono venuto riformulandolamia coscienza di esso attraverso gli anni. Quando ho cominciatoa scrivere il mio paese d'origine evocava inme un sensodi sicurezza, era il locus amenus, il grembo, l'Eden. Sonocresciutoperdodici anni nella stessa casa, in una cu,lturaquasi neolitica,o perlo-· meno medievale - in termini antropologici: si usava la falce,si andava al pozzo per l'acqua, cose da affresco medievale.Quello che sarebbe stato mitico e primitivo, lì era vita di ogni giornoe in esso erano radicati i miei affetti e i miei ricordi. A vent'anni,dopo l'Università e la formazione letteraria ho presocoscienzadella natura arcaica del mio luogo di origine, e allo stesso tempomi sono reso conto che se avessi scritto di pozzi, di falci, di aratrie cavalli nell'ambito della tradizione inglese il mio lavorosarebbe rientrato nella convenzione della poesia pastorale. Sapevocheil mio mondo apparteneva al passato - avevo letto già Eliot,Auden e gli altri - ero tormentato perciò da una sorta di timidezza e di ostinataresistenza. Percepivo il mio mondocomearcaico,ma volevo restare fedelea esoo. Dopo quella prima fase in cui mi limitavo a contrapporre il miomondo a quello dellamodernità,sono passato a riformularlo in termini di dualismo, di contrapposizione. Già con Door into the Dark in cui aveva sviluppato il temaossessivo della torbiera, e cioè del bog, era passato dall' "io" al "noi" e il "noi" è la minoranza cattolica e nazionalista del/'Ulster. Nei primi anni Settanta quando gli scontri tra le due etnìe, cattolici eprotestanti, hanno preso a infuriare intorno al grande nodo dei diritti civili, con la raccolta Wintering Out( 1972) leiaffronta il tema della lingua primigenia, il gaelico, cancellatodai colonizzatori e dimenticato dai vinti. La nostra fattoria si chiamava "Mossbawn", che nel dialetto anglo-scozzese è "la casa del colonizzatore sull'orlo dellatorbiera", ma noi pronunciavamo "Moss bann", che in anglo-gaelicoè pressappoco "il muschio bianco d~la torbiera". Nel nomestesso del posto dove sono nato ho visto una metafora della cultura.divisa dell'Ulster. Ma all'idea della separatezza si accompagna sempre quella dell'attraversamento. Accanto allamiacasacorreva un ruscello che segnava un antico confine e attraversandolo ogni giorno si passava dal comune di Broagh a quellodi Anahorish, dalla diocesi tli Derry a quella di Armagh, il checomportava date diverse per la Prima Comunione e così via. Inqueglianni ho visto ìl mio Paese in termini di divisione, diNorde Sud,ina oggi vivo nel Sud e spesso vado nel Nord. Non credodi avermai lasciato il Nord mentalmente. Allo stesso modo ogni annopasso alcunimesi negli StatiUniti [Heaney èprofessore di oratoriae retorica ali' Università di Harvard, N.d.r.], ma noncrepodi lasciare mai l'Irlanda mentalmente, vado a Sud, a Nord, a Est;aOvest, faccio da ponte piuttosto che tagliare i ponti tra un luogoe l'altro, tra una cultura e l'altra. Quindi oggi mi sembra di averpresoco69
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