Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

CINEMA . Si potrebbe forse obiettare che questa forsennata autoreferenzialità che porta a privilegiare certe meta-evoluzioni come in passato potevano essere stati il kitsch o il camp, sono un frutto quasi obbligato di questi anni postmoderni, anni senza storia dove il passato è soltanto quello prossimo e si guarda indietro per incapacità a guardare avanti. Ma se così fosse si dovrebbe leggere in quelle critiche una maggior consapevolezza storica, un riferimento, che so, alla situazione produttiva, ali' evoluzione del "sistema spettacolo" in corso almeno negli Stati Uniti. E invece se una caratteristica è costantemente assente dal bagaglio critico è proprio quella del ruolo dei sistemi di produzione. Un esempio? Mentre tutti sono pronti a innalzare peana alle qualità d'autore di Clint Eastwood nessuno s'è mai preoccupato di analizzare (ma neanche di sottolineare) quella anomala situazione per cui Eastwood ha promosso a registi dei suoi film un suo ex associato (James Fargo), un suo ex stuntman (Buddy Van Horne), un suo ex sceneggiatore (Richard Tuggle), per non parlare della sua ex compagna, Sondra Locke. Certo, tutto questo ha molto meno a che fare con la "politique des auteurs" che con il ruolo sempre più diffuso di registi yesmen (e quindi con la modificazione dell'idea stessa di regista), ma chi l'ha detto che la critica debba occuparsi solo dei •primi e non dei secondi? • Il problema è che questa cosiddetta cinefilia ha la memoria molto corta, corta e limitata quanto certe conoscenze della storia del éinema che magari sanno citare a memoria tutti i dialoghi di Fantozzi e le sue boia te pazzesche, ma non hanno mai visto La corazzataPotemkin di Ejzenstejn. Viene come il dubbio che certe memorie si siano formate prendendo troppo sul serio il sogno che la televisione diventasse l'archivio del cinema, mentre invece è archivio solo di quel cinema che le è funzionale. E così è molto più facile trovare critici che conoscono a memoria la filmografia di Gigi eAndrea piuttosto che quella di Dreyer, o che hanno visto più film di Antonio Margheriti che di David Wark Griffith. Ma senza arrivare a questi eccessi, basterebbe sottolineare che quasi tutti i cantori del cinema di genere e delle sue variazioni critiche rarissimamente citano e fanno riferimento a film precedenti agli anni Cinquanta e Quaranta. La crisi di Hollywood (che poi sempre a Hollywood si torna e si parte, con fin troppo chiara sineddoche) deve possedere un qualche magico potere se il panorama critico sembra muoversi solo attraverso le sue coordinate. Posso solo augurarmi che un giorno o l'altro, qualcuno di questi sopraffini teorici scopra che esiste anche altro, che so, un Tod Browning. E allora vedremo insieme a cosa si riduce l'originalità di un Tobc Hooper o di un Wes Craven (e mi limito a citare quei registi che hanno dimostrato di avere qualcosa di personale da dire ...) Vale solo la pena di aggiungere che questa mancanza di memoria cinematografica (e di cultura cinematografica), che è sicuramente una delle caratteristiche della cinefilia attuale, ha il suo omologo speculare nel tentativo di costruirselo questo passato cinematografico, per cui anche l'ultimissimo dei registi deve avere un qualche tratto capace di far riferimento a questo o quel maestro. Vanzina si ostiua a farcommediole? Ecco che spunta l'ombra di Frank Capra. Salvatores manda quattro sciamannati in giro su una jeep? Come si fa a non nobilitarlo con una bella citazione dal Sorpasso? Certo, questa non è una caratteristica esclusiva dei critici cinematografici. Tra le ambizioni più ingenue di ògni critico militante (come scriveva Paolo Milano) c'è quella di "scoprire un autore sconosciuto e straordinario, o, meno romanticamente, segnalare un esordiente di notevole promessa". Ma è tipica del critico cinefilo quello di trovare pezze d'appoggio nel nome di qualche grande maestro del passato, tanto più grande quanto più è usato a sproposito. Non ho forse detto che la cinefilia è la capacità di ritrovare stili e qualità d'annata? E allora usiamola 66 questa capacità, non vergognamocene, non siamo avari di parole. Cosa c'è di meglio che strillare in piena pagina "è subito capolavoro!" Farà piacere a chi l'ha diretto, ma anche un po' a chi l'ha scoperto. Ecco allora che le caratteristiche di questa nuova cinefilia prendono pian piano consistenza, e rivelano una sostanziale povertà di vedute e una magniloquenza di battute, ma soprattutto ne stravolgono quelle che originariamente erano le sue caratteristiche. Perché dalle recensioni e dagli articoli si respira un'aria sostanzialmente televisiva, dove in nome della globalità dell'universo spettacolo si è attivato un processo univoco, che ha assimilato categorie e discorsi della televisione per trasferirli al cinema, trasudando peraltro una spocchiosa ignoranza. Non è un caso che dietro a queste idee ci siano allora nomi e. luoghi più mitici che reali, regno del punto esclamativo e della maiuscola. Non c'è Hollywood ma il mito di Hollywood, pieno di quei valori che ognuno si diverte a metterci, dove la storia è ridot;.- ta ad alcuni spezzoni di storia, l'ideologia è banalizzata in un contenutismo schematico e puerile, la sociologia è ingabbiata dentro a mode e tic. Se ne è .accorto lo stesso Ditector's Guild of America di come, da dieci anni a questa parte, siano cambiate troppe cose e che la figura del regista (non dico dell'autore) stia svanendo. Se ne sono accorti gli stessi interessati (che solitamente sono gli ultimi a razionalizzare certe modificazioni striscianti) e nel novembre dell'anno scorso hanno organizzato un seminario per capire come mai il loro ruolo sia scivolato da una funzione sostanzialmente creativa a una più esecutiva e imprenditoriale. E non se ne sono accorti i critici (almeno gli italiani) che per loro funzione dovrebbero capire proprio questo. Provincia di Milano Assessorato alla cultura INCONCERT C.so XXII Marzo 32, Milano DOMENICA 19 NOVEMBRE ore 21 ,

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