IL CONTESTO Le catene del passato Rossana Rossanda e la tradizione togliattiana GadLerner Nel corso degli ultimi dieci anni Rossana Rossanda ha avuto una parte davvero decisiva nella battaglia (persa, ma non del tutto, e comunque necessarissima) contro lo stravolgimento emergenziale dello stato di diritto. Facendosi molti nemici, non ultimi i dirigenti del Pci, ha rivendicato con ammirevole ostinazione una soluzione politica, oltreché il ripristino della civiltà giuridica, riguardo alle vicende delle formazioni armate. In parecchi hanno di che essergliene grati. Va detto che anche in questo impegno, che ho sentito comune, si coglieva da parte di Rossanda una lettura dei movimenti, e più in generale della storia degli anni Settanta, assai unilaterale o comunque diversa da quella di molti di noi che avevamo vissuto in prima persona l'esperienza del '77: non ci andava giù un' identificazione tanto enfatica quanto sbrigativa di quel movimento con la sua componente di Autonomia; il rifiuto della discriminante etico-politica sulla violenza; il riconoscimento alle Br di una sorta di funzione di rappresentanza sociale, oltre che di "distorta continuità" rispetto alla tradizione comunista. Tutte divergenze secondarie rispetto ali' impegno prioritario, purtroppo assai disatteso a sinistra, contro le aberrazioni dell'emergenza e contro la diffusa rimozione di una storia appena vissuta. Oggi quel diverso modo di relazionarsi con la "memoria" e con la "storia" viene bruscamente messo a fuoco dalle più recenti riflessioni che Rossanda va dedicando al Pci e alla sua personale identità di intellettuale comunista. Segnando un approfondirsi delle distanze, su cui vale la pena soffermarsi. È come se fossimo in presenza di una singolare inversione delle parti: per cui "Linea d'ombra" giunge a manifestare- pur con tutto il dovuto scetticismo - un suo interesse nei confronti del nuovo corso del Pci, provenendo da una cultura che comunista non è mai stata, proprio per le medesime ragioni che inducono Rossanda e il "Manifesto", in polemica con il nuovo corso occhettiano, a riscoprirsi togliattiani e a polemizzare con il Pci: accusato-quest'ultimo- di recidere con irresponsabile disinvoltura il rapporto con la sua cultura e le sue radici. Gli "eretici" del 1969 si ergono oggi a custodi dell'ortodossia? Detta così, naturalmente, è una forzatura. Ma pure vale la pena di riflettere sul crinale generazionale che - sconvolgendo i tradizionali schieramenti interni al mondo comunista - vede per la prima volta schierati insieme in difesa del togliattismo quelli del "Manifesto" e della sinistra ingraiana non solo con Cossutta, ma con parte della destra del Pci, da Bufalini aNatta a Macaluso aPajetta. , "Il Manifesto" sostiene che la svendita frettolosa della tradizione e della cultura del partito, operata dai suoi nuovi dirigenti quarantenni, si traduce immediatamente nella perdita della stessa connotazione anticapitalistica a esse collegata. . È il caso, allora, di sottolineare subito una differenza sostanziale fra questo tipo di critica e quella che fu, a suo tempo, la critica "anti-revisionistica" di sessantottina memoria: allora- seppur ammantata di citazioni dogmatiche, di ingenui richiami emme-elle ai testi sacri - la critica al Pci, come è già stato più volte notato, prendeva di mira sostanzialmente proprio il togliattismo, inteso come ideologia del doppio binario e della doppia ve4 Togliatti con la redazione torinese de "L'Unità" nel 1946. rità. Denunciando, come immediata conseguenza, il sottrarsi del- !' apparato comunista alle verifiche della democrazia di base e quindi l'estraneità del suo apparato burocratico ai movimenti. Oggi, ali' opposto, Rossanda e "il Manifesto" sembrano indicare nel controverso nesso Terza Internazionale - "via italiana al socialismo" l'elemento fondativo da preservarsi, per innestare su di esso il rinnovamento comunista. Tutto è cominciato con Gorbaciov e la riscoperta dell 'Urss. Quasi che la coraggiosa politica di movimento del nuovo segretario del Pcus, la perestrojka, la disperata reazione alla catastrofe del sistema sovietico, rilanciassero se non un "modello" quan-. to meno un "campo socialista" con cui identificarsi. Così il collettivo del "Manifesto", che negli anni Settanta aveva elaborato un'approfondita analisi di classe del capitalismo di Stato sovietico e degli interessi rappresentati dal regime del Pcus, frettolosamente ha preferito soprassedere, ritornando de facto a far propria la vecchia teoria dell'Unione Sovietica come "Stato socialista degenerato", ed esprimendo quindi di fronte alla nuova vitalità dei suoi dirigenti qualcosa di più che una sia pur forte solidarietà: ovvero una inedita, sostanziale identità con il "gorbaciovismo", in-, dicato e fatto proprio come forma'moderna del comunismo. Il passo successivo è venuto dopo la tragedia comunista di piazza Tien An Men. Una singolare coincidenza ha voluto che uscissero lo stesso giorno, venerdì 9 giugno, due riflessioni, entrambe appassionate, ma diametralmente opposte, su quell 'evento decisivo: l'analisi di Norberto Bobbio, volta a sottolineare co-
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