Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

_________________JIIII ·J 11· J il l!I • -~------------------ non è molto italico, evidentemente, se i due esempi "migliori" che ci vengono in mente così tanto si somigliano: tra gli sproloqui di Fo, che mai ci piacquero salvo che nel Mistero buffo e che, quando più politici, ci sono sempre parsi di una demagogia insopportabile e ricattatoria, e qu_ellidi Benigni c'è meno distanzad· quel che si possa pensare, solo che venendo molto dopo, quelli di Benigni ci sembrano ancora più vacui e risibili. Barzellettacce e battutacce idiote o ignobili, al passo con gli aspetti più generalizzati e ritardati (nel senso proprio di ritardati mentali) della satira politica di questi anni, in qualche modo "forati:iniani" (proferisco un insulto e so di farlo). Nellli seconda parte trionfa il satiro, e si parla di piscia e merda e cazzo e fica e culo, con voluttà bambinesca. Ciò nonostante, almeno a tratti, il Benigni di una volta riciccia, e ha qualcosa di provocatorio ed eccessivo che rion è solo merdoso. In questo settore rientrano le cicalate sulla religione, passate dalFaccio un esempio. LaRai tiene in piedi quattro orchestre sinfoniche (Torino, Milano, Roma e Napoli). Hanno una loro stagione regolare, appaiono (rarissimamente) in televisione, partecipano a eventi.speciali, ogni tanto vanno in tournée. Messe insieme collezionano 40 miliardi di deficit al1' anno. Nel piano di risanamento Rai c'è ovviamente un capitolo che le riguarda. Si dice che le vogliano ridurre a due ..Si dice che a sparire saranno quella di Torino (cioè la migliore) e quella di Napoli. Si dice, poi si smentisce, poi si torna a dire, e avanti così da mesi. Intanto gli orchestrali (parlo di Torino) finiscono in pensione e nessuno pensa ll rimpiazzarli stabilmente, preferendo sostituirli con contratti a termine: un sistema pulito per far morire un'orchestra di lenta emorragia. A Torino, sulla faccenda, si è molto discusso e ancora lo si continua a fare. Non garba molto l'idea di farsi ~cippare di un'orchestra che oltre a essere una buona orchestra è anche uno dei polmoni più importanti della vita musicalecittadina. Ciò nondimeno, con un realismo che non smette di sbalordirmi, si tende a condividere le preoccupazioni della dirigenza Rai, si finisce per ammettere che effettivamente 40 miliardi non so38 l'osteria contadina al Pantheon romano e alle soirées fiorentine, e nel passaggio perdendo ogni carica dissaqante. Gli italiani devono ancora liberarsi di un plurisecolare e controriformista, cattolicissimo prudere bestemmiatori o, e Benigni l'ha capito e ci marcia. La stessa alternanza e giustapposizione - dall'uno all'altro, ma senza mischiare, almeno per ora - del sesso e dell'anale col sacro -l'avev amo trovato nel film di grande successo Il piccolo diavolo (di inesistente regia e di parrocchiale coglionaggine interrotti solo da due rifacimenti di stranoto ma sempre efficace avanspettacolo). Ci sono lampi, ricordi, brandelli, furiette subito rientrate dentro un tradizionalismo maschilismo che viene dalla nostra più bieca e fonda provincia, che sembrano farsi strada in questo logorante tour de force del!' ignominiosa scempiaggine, attimi subito negati quasi che Benigni si vergognasse ormai delle sue passate voglie eversive. Nella terza parte Benigni chiede al pubblico un tema su cui improvvisare, ma francamente o non era la sera buona o il sistema delle associazioni mentali del Benigni è andato in tilt, e il risultato era di una noia sconcertante. Sull' Appennino, sopra Anghiari o nei maggi si vedeva e sentiva ben di meglio (e forse si vede e si sente ancora oggi, se televisioni e enti turismo non se ne sono accorti e padroncini non hanno sponsorizzato). Quei rimandi, quelle deviazioni, quegli incisi, quel perdersi dentro la propria bava che spesso sono stati il segno più originale, "scoperto" e simpatico della comicità verbale di Benigni, qui girano a vuoto, si rifanno il verso, si impappinano nelle reti della propria soddisfazione svergognata e sventurata, e il delirio perde il filo, la dissociazione la vince sull 'associazione, il balbettio sulla burchiellata. In tutto questo: il pubblico. Osannante, con una compulsiva voglia di ridere che si scatena non appena chi è sul palco dice Andreotti, dice pisello. Benigni gioca solo più duro di altri, l'attesa non QUANTO COSTALAMUSICA Alessandro Baricco no bruscolini, si conviene con grande &ensodi responsabilitàchequalche taglio bisognerà pur farlo, ci si chiede perché sempre aTorino e si finisce per consolarsi cullandosi nel benefico effcqo della magica paroletta: lo sponsor. Chissà che si trovi lo sponsor. Ora: la vicenda solleva due ordini di interrogativi: uno più specifico che riguarda l 'atteggiamento della Rai di fronte al particolala tradisce e la ingrandisce, vicino ormai aquell' inosabile che in anni lontani solo su un misero palcoscenico di avanspettacolo napoletano mic.apitòdi vedere, del comico che per far ridere si tira giù le brache e mostra il culo: ma quello non aveva altri mezzi e Benigni li ha avuti e li avrebbe. Questo pubblico dai riflessi condizionati, venti-quarantenne e "di sinistra" (!), pròletario e impiegatizio, pacifico e grassoccio, si ama ed ama chi è come lui; e Benigni fa di tutto per contentarlo, mentre appena ieri, faceva molto per sconcertarlo, spiazzarlo, punzecchiarlo. In questi anni l'obbligo di ridere sembra aver coinvolto tutti, e gli obiettivi sono sempre-gli stessi, sempre più generici e insulsi e le armi per colpirli sempre le stesse, sempre più sceme e avvilenti. Mai si erano viste, in questo paese, risate più complici, satirizzatori più sosia dei satirizzati, figli della identica cacca. Emi perdoni Benigni se gli rubo una parola che nessuno saprà mai usare altrettanto bene di lui. re problema delle orchestre e un secondo, più generale, che metta in causa il rapporto tra denaro pubblico e cultura. Liquido il primo, su cui non ho dubbi, per poi ragionar del secondo, su cui ho solo dubbi. La Rai è un servizio pubblico. Poiché la televisione è ormai il totem indiscusso del villaggio globale, la funzione di un simile servizio pubblico è decisiva: in qual-

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