---'----___.l .. «-.»-.·.-... 0. ■-.. 1w.. ~ W...·... W..- i-•-.-·.•.- 1.__:_______~• i ·111·1 i I l;I • •------ 36 37 38 40 41 43 44 47 49 53 56 57 58 59 61 63 EDITORIALI Gianni Canova Goffre,doFofi Alessandro Baricco Llultimo Moretti. Il cinema italiano senza comunicazione Benigni Show. Trionfo e frana di un comico Quanto cpsta la musica MUSICA Peppo Del Conte Lou Reed e New York: un poeta e la sua città Marcello Lorrai Cosa dice il Rai Claudio Agostani La continuità del flamenco nuevo Charles Mingus Let my children hear music • a cura di Fabrizio Bagatti BillyBragg ~a vita è lotta a cura di Giacomo Bore/la TEA_TRO Heiner Mii.ller Piergiorgio Giacché Maria Maderna Vito Pandolfi L'apocalisse come alternativa a cura di S. De Matteis, C. Groff, ecc. Sul teatro in America Latina Compagnie russe in Italia Alfabetizziamo le Puglie teatrali a cura di Stefano De Matteis CINEMA Gianni Volpi Aleksej German Piero Spi/a Paolo Mereghetti. Introduzione a German Compassione e dettagli a cura di Y. Gianikian e A. RicciLucchi Il cinema di Ritwik Ghatak Critica addio: contro la cinefilia Nella pagina precedente: l'Odin Teatret in Cile (foto di Tony D'Urso, 1988). Sotto: Nanni Moretti gira Palombella rossa. 36 SOLILOQUI E AUTOGOAL MORETTI(EILCINEMA ITALIANO) SENZACOMUNICAZIONE Gianni Canova C'è un singolare comun denominatore ternati~ (o nevrotico?) che lega tra loro film apparentemente tanto diversi come In una notte di chiaro di luna di Lina Wertrniiller, Tempo di uccidere di Giuliano Montaldo e Palombella rossa di Nanni Moretti, tutti presentati all'ultimo Festival di Venezia: l'orrore dell'altro· da sé. Nei primi due film si esprime in forma di fobia nei confronti del rapporto sessuale "contagiante" con individui di altre razze e altre culture, nel terzo come ostracismo oltranzistico nei confronti di tutto 'ciò che si configura come estraneo o diverso rispetto all'io ipertrofico del protagonista. In una notte di chiaro di luna e Tempo di uccidere rivelano, da questo punto di vista, una relazione sostanzialmente chiasmica: nel primo caso, un giornalista che si finge sieropositivo scopre di essere davvero affetto da Aids; nel secondo, sullo sfondo cartolinesco dell'Africa Orientale italiana del 1936, un soldato convinto di aver contratto la lebbra scopre in realtà di esserne immune. Singolare, in entrambi i casi, la "fonte" vera o presunta del contagio: una ballerina libanese nel film <klla Wertrntiller,un 'indigenaetiopeinquello di Montaldo. La criminalizzazione della promiscuità sessuale e razziale è furba e mediata, ma evidente: fa leva sui rigurgiti razzisti che fermentano nel ventre molle dell'Italia ricca e parvenue e si appresta - con la benedizione di stampa, Tv e Biennale di Venezia - a incontrare _ancheil consenso del publ;,licoinnome della rinascita del film/nazionale "di qualità". Un beli' esempio di cinema capace di essere presente al proprio tempo, e ai suoi umori. I peggiori. Diverso il caso di Moretti. E per vari motivi. I primi due sono film dichiaratamente di regime. Adottano u~o stile da telenovela patinata e razzolano volgarmente nell'atrofia del gusto che tutti ci coinvolge. Palombella rossa pretende invece di essere un'altra cosa. E, in parte, lo è. Ma, appunto, con inquietanti contiguità col cinema che pretende di combattere. Non abbiamo mai amato l'autarchia, né sul piano economicopolitico, né tanto meno su quello etico ed estetico. Moretti ne ha fatto invece, da sempre, la sua bandiera. E se all'inizio la usava come strumento di difesa contro la banalità e la stupidità del mondo e del cinema circostanti, a poco a poco l'ha trasformatane! megafono filmico di un solipsismo esasperato e narcisistico che urla il suo disprezzo per il mondo stando bene attento a chiamarsene fuori. Cinema savonaroliano, urlante, predicatorio e celentanesco (stupefacenti, per esempio, le affinità con Joan Lui), quellO' dell'ultimo Moretti sorprende per la totale aridità affettiva che lo pervade: incapace di un minimo gesto d'amor~ per un personaggio, un evento o un frammento di mondo che non coincida con la dilatazione parossistica del- !' io del protagonista, si colloca in · quel filone della cultura nazionale che ha prodotto un'infinità di poeti-vati, di aspiranti maftres à penser, di ultras di un moralismo spicciolo e aggressivo ma nella sostanza innocuo e consolatorio. Perché questo è il punto. L'ultimo Moretti, quello di La messa è finita e di Palombella rossa, è il sacerdote di fustigazioni mora 1stiche che non scandalizzano nessuno, non feriscono nulla, non turbffi1o aicunché. La presentazione di Palombella rossa a Venezia è stata, da questo punto di vista, quanto mai significativa. Doveva essere un film coraggioso, problematico, provocatorio. Invece nessuno s'è sentito provocato e il film è piaciuto a tutti, da "Il secolo d'Italia" a "Il Manifesto" passando per "La Repubblica" e la Rai. Nessun altro film della rassegna veneziana ha ricevuto un.consenso così unanime, massiccio, generalizzato. Tanto da suscitare il so~petto che il film abbia cessato, già dalla rassegna veneziana, di essere solo un film, per diventare piuttosto un fenomeno di costume, o un oggetto terapeutico (e rappacificante) nei riti sotterranei della società del
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