Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

IL CONTESTO che se felice, ed è anche, in qualche modo, il debito che lo scrittore paga a quegli anni dopo la seconda guerra quando gli imperativi categorici sembravano essere, appunto, Neorealismo e Romanzo, Romanzo e Neorealismo (un debito, del resto, tutto particolare, che coincide con l'eversione da quei canoni). Flaiano ha bisogno di divagare, di annotare giornalmente, di prendere appunti su tante cose;su tutto e tutti: i viaggi, la noia, il traffico, Roma ... Ma la suggestione del diario non è mai, in questi casi, ingenua, non rappresenta in nessun modo una scelta di seconda battuta, un giocare al ribasso: c'è al contrario, in tale predilezione, un atteggiamento del tutto consapevole sul possibile ruolo di uno scrittore alconfronto con i propri tempi. Se l'autore del Diario degli errori, nelle sue note sparse e implacabili, cerca di non "prendersi sul serio", è perché non sopporta gli scrittori che "sul serio" si prendono davvero, quelli che partecipano a convegni e dibattiti e che hanno sempre qualcosa di molto utile da dire. L'unico modo plausibile (moralmente accettabile) di essere scrittore è quello di far finta di non esserlo, di riconoscere i propri limiti uno per uno, elencandoli: i Grandi sono a!1dati via, tranne qualche più che rara eccezione (è il caso dell'ammiratissimo Gadda), al loro posto una folla tanto anonima quanto rumorosa. La scelta della notazione quotidiana, deljournal è, da questo punto di vista, una necessità; si tratta di una sorta di scrittura clandestina dove si consuma una grande passione letteraria. Flaiano è scrittore colto, sia quando cita, di passaggio, Leopardi o Gide, sia (ancdra di più, direi) quando scrive degli autobus di Roma o del delirio mortificante della folla che si riversa per le strade all'indomani di una vittoria calcistica, giacché in questi ultimi, felicemente frequenti casi la sua capacità dissacratoria e ironica trascende sempre la cronaca, è un "occhiale indiscreto" che si fissa sui particolari del presente ali' apparenza insignificanti, ma che al contrario sono saturi di senso, formano una geografia della realtà alla quale ci si può avvicinare soltanto con gli strumenti della letteratura, di una letteratura che sa guardare oltre il suo naso. Per Flaiano, gli usi e costumi dell'Italia del dopoguerra formano un immaginario che è già d_iper sé sufficiente per uno scrittore, gli basta per tutta una vita. E un immaginario che non ha bisogno di "romanzi", ma di pagine e paginette messe lì, un giorno dopo l 'altro, e che alla fine potranno, d'accordo, formare un libro, ma non è questo l'importante: "A me la pagina bianca fa paura. Sono portato alla nota, allo schizzo giornaliero, alle cose che dopo formeranno un volume. Ma di questo non mi curo, l'essenziale è che t'abbiano fatto soffrire una vita. È lafaute à Jules Renard: si legge il diario e alla fine si rimane sconvolti: 'Dio mio, siamo tutti morti'." Flaiano è scrittore inattuale. La sua posizione nei confronti di ciò che attrae la sua paziente penna è per questo sempre duplice, vicina e lontana allo stesso tempo. Il presente "insensato" che appare nei suoi scritti, un presente ritagliato da notizie di giornali, incontri al bar, discussioni tra amici e conoscenti, è spesso una metafora, un modo di allontanarsi da quella realtà per poi, di ritorno, conoscerla meglio, dire come stanno effettivamente le cose. La "solitudine del satiro" è allora il solo atteggiamento possibile, e la scrittura satirica l'unica chance. Flaiano ha sempre bisogno di confrontarsi con i suoi classici, che appaiono, qua e là, tra gli argomenti più disparati. D'altra parte, la sua satira non è mai condiscendente né conciliante, cela sempre, al fondo, un atteggiamento da moralista nel senso, appunto, più "classico" della parola. Il Diario degli errori è la prova forse più felice di un atteggiamento del genere, giacché il presente quotidiano che emerge da queste pagine di zibaldone viene chiamato quasi sempre a rispondere a domande e interrogativi che vanno al di là di esso, e che toccano direttamente le ragioni e i motivi di una letteratu30 ra. Si tratta, in genere, di interrogativi molto seri, per i quali l'antidoto dell'ironia è necessario (meglio non lamentarsi); ma è un' ironia non tende mai a smussare i contrasti, è un modo accattivante di parlare di cose molto serie occupandosi di cose apparentemente moltò poco serie. È difficile immaginare Flaiano fuori dei confini della nostra lingua. Egli, nei suoi appunti, è sempre consapevole della particolarità di una lingua "che va inventata", adattata sempre alle proprie esigenze. Quando sostiene che il difetto degli scrittori italiani è quello di voler "scrivere bene", constata in realtà la presenza di una tradizione che è sempre stata ostile a quella categoria di autori alla quale dichiara, ironicamente, di appartenere, la categoria degli "scrittori minori satirici" così poco frequenti nelle nostre recenti lettere. Meglio, allora, confrontarsi con i classici, e con altri tempi. In un'intervista del 1973, poco prima di morire, l'autore dell'Autobiografia del Blu di Prussia così si confessa: "Una volta una scrittrice mi citò in un suo libro, e nella traduzione inglese lo scrittore inglese tradusse il mio nome in Ennius Flaianus, credendo che questo Ennio Flaiano fosse uno scrittore latino. Dopo qualche mese ci incontrammo in una trattoria di Roma, ci presentammo e lui rimase molto male, naturalmente, perché non pensava che questo antico scrittore vivesse ancora. Tuttavia, fummo d'accordo che certi caratteri della mia persona, un certo modo di vivere, gli davano ragione. lo forse non ero di quest'epoca, non sono di quest'epoca. Forse appartengo a un altro mondo: io mi sento più in armonia quando leggo Giovenale, Marziale, Catullo. È probabile che io sia un antico romano che sta qui ancora, dimenticato dalla storia, a scrivere cose che altri hanno scritto molto meglio di me: cioè, ripeto, Catullo, Marziale, Giovenale". Flaiano non ha mai voluto mettersi "al passo coi tempi". In questo, probabilmente, risiede tutta la sua attualità (un'attualità inattuale). Leggendolo, oggi, non si può fare a meno di capirlo. Non sbagliava di certo. '· Flaiario nel '61 (Agenzia RomassPress Photo).

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