Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

IL CONTESTO Ennius Flaianus, satiro solitario Disegno di Federico Fellini. Si prova una certa impressione, a vedere il primo volume delle Opere di Ennio Flaiano (Scritti postumi) nella collana dei Classici Bompiani per le attente cure di Maria Corti e Anna Longoni; una strana sensazione, a vedere riuniti in un unico libro, con tanto di note, bibliografie ecc. dei testi che per la loro stessa natura sembrano prestarsi più ad una lettura frammentaria, minima, rapsodica. Come se si aprissero dei cassetti che si era abituati a vedere in disordine, e d'un tratto li si scoprisse ordinati, il loro contenuto cartaceo disposto simmetricamente da amorevoli mani. Doveva capitare, prima o poi, che qualcuno tentasse di dare a Flaiano un posto, costruito sa misura, nello scaffale della grande biblioteca delle nostre patrie lettere riservato agli autori del Novecento a noi più prossimo, a quello che, con una formula un po' pleonastica, ma che rende in qualche modo l'idea, si potrebbe chiamare "Novecento contemporaneo". Anzi la cosa, rispetto ad altri (la Morante,Parise) èarrivatacon un po' di ritardo dalla morte del diretto interessato, nel 1972. In compenso, ci sono autori che hanno subito la medesima operazione pur essendo ancora vivi e vegeti. La nostra Letteratura, insomma, ha bisogno di Flaiano. Ci sarebbe forse da chiedersi se Flaiano abbia davvero bisogno della nostra Letteratura, o fino a che punto, ma questo è un altro discorso, e poi, non bisogna andare tanto per il sottile. Quello che conta, alla fine, è la possibilità di leggere la sua opera nella sua integrità, e il volume Bompiani ce la offre.L'iniziativa editoriale assolve bene il suo compito. Ognuno, poi, può fare le sue scelte, predisporre le sue antologie a uso personale. Ma ci sono anche altre considerazioni da fare. Viviamo in anni in cui c'è un gran bisogno di consuntivi. Il fatto che il '900 stia per finire porta inevitabilmente - e questo è un bene .,---ariflettere sulla tradizione letteraria italiana del nostro secolo. I modelli che fino a qualche decennio fa (fino a qualche anno fa) sembravano, vincenti, segnare una linea di ricerca piena di novità e originalità segnano il passo, specie per quel che riguarda la narrativa. I progetti vengono meno, la linea espressionistica, per fare l'esempio più evidente e "nobile" è finita, nella sua massima carica, con Gadda (Pizzuto è pur sempre un epigono). D'altra parte, la voracità attuale dell'industria culturale difficilmente permette di intuire che qualcosa di nuovo c'è nell'aria: i narratori, in genere, prosperano più per questione di bilanci editoriali che per loro effettiva ragion d'essere. Se assumiamo il presente come punto di riferimento più importante, se ci si rriette, insomma, in un'ottica "militante" (la parola è molto brutta, ma non ce ne soRocco Carbone no, al momento, di alternative), la tradizione alla quale guardare è un'altra. È, con buona probabilità, la tradizione di quegli scrittori che "tendenza" non ne hanno mai fatta, perché non era nelle loro intenzioni. Di quegli autori che Progetti di rinnovamento radicale (la P maiuscola è d'obbligo) non ne hanno voluti avere, ma che con quello che hanno scritto forse qualcosa di nuovo l'hanno detto. Di quei signori che insomma, per tutte queste ragioni, fino ad ora non hanno mai fatto "tradizione", eccentrici loro malgrado, irregolari ma non per vocazione. Tra questi, l'autore di Un marziano a Roma c'è senz'altro. Flaiano scrittore, in vita, ha sempre dovuto fare i conti con la sua attività di soggettista e sceneggiatore, e questa doppia immagine lo ha sottoposto spesso a discriminazioni da parte degli "addetti ai lavori" (ragionieri delle lettere). O Cinema o Letteratura, sembravano dire, tutte e due le cose no, non vanno d'accordo. Ma è pur sempre una questione di generi, e, per quanto spurio, tutto ciò che si può radunare sotto la definizione di "scritture per il cinema" ne rappresenta uno, da un punto di vista letterario. Sono molte le pagine in cui Flaiano si interroga su questo suo strano ruolo, il suo atteggiamento sembra ambivalente. C'è da una parte, specie negli ultimi anni, un rifiuto netto del mondo cinematografico, rifiuto soprattutto di ciò che riguarda il cinema come industria; ma si tratta di una presa di posizione non su una forma espressiva, quanto sul degrado della cinematografia da possibile arte a prodotto, appunto, preconfezionato e servito al pubblico in tutte le salse: "I rapporti tra Cinema e Letteratura potrebbero essere gli stessi, tutto sommato, che tra Letteratura e Edilizia. Perché dovrebbero essere molto dissimili? Il Cinema è un'industria, o almeno tutti vorrebbero che lo fosse, dimenticando che le poche opere belle del cinema italiano, quelle che hanno fatto parlare dell'esistenza di un cinema italiano, sono state fatte contro l'Industria, contro i produttori, e soprattutto contro il pubblico." (La solitudine del satiro) Ma il lavoro di Flaiano a fianco di Fellini, Antonioni e altri ha anche un valore diverso, che si avvicina in modo più diretto alla sua attività di scrittore "in senso stretto", di uno scrittore attento, sia pure da una posizione distante, ai "fatti di costume" dell 'Italia del secondo dopoguerra, ai tanti vizi e alle poche virtù del popolo italiano. Per Flaiano, il cinema è stato una sorta di osservatorio privilegiato, perché la sua ironia e il suo spirito dissacratorio, ma terribilmente serio ("In questi tempi I'unico modo di mostrarsi uomo di spirito è di essere seri. La serietà come solo umorismo accettabile") potesse farsi largo. Uno strumento imperfetto, ma anche un modo di riflettere (di essere costretti a riflettere) sui propri tempi. In questo senso, i rapporti tra cinema e letteratura hanno per Flaiano un'importanza rilevante all'interno del suo orizzonte letterario, e molte delle sue pagine più belle hanno a che fare con il mondo dei cinematografari, di Cinecittà, di "attori generici" così simili ai tipi reali. "Tutti vedono le cose del mondo meglio del cinema. Ma il vantaggio del cinema è che fa vedere ancora le cose del mondo". La scrittura di Flaiano non tende in genere, nella sua cifra più attiva, ad organizzarsi in consolidate dimensioni narrative. Il suo primo e ultimo romanzo, Tempo di uccidere, è un'eccezione, an29

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