Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

esemplarmente certi tipici finali in "calando", nei quali, invece di puntare sulle tradizionali risorse d'intensificazione di cui dispone la chiusa, egli quasi spegnelastoria(come in/I capitano), o la chiude tanto bruscamente da farla sembrare lasciata a mezzo, troncata come per caso. Bilenchi trova la sua inconfondibile misura costruendo un universo narrativo in cui un' apparenza quasi d'idillio, fra chiusi affetti e contemplazione della natura, viene di continuo infranta dalla violenza e dalla tragedia (si veda Unmaresciallo motorista o Pomeriggio), e dalla stessa inquietante ambivalenza emotiva che viene progressivamente rivelata in ogni sentimento. Ma al contenuto drammatico viene poi appunto proibito il tono alto, tagliato dall 'implacabile dimesso delle forme, la cui scabra e quasi grigia essenzialità ricorda a tratti molto da vicino l'ultimo Svevo. La forza di Bilenchi sta poi nella capacità di far trapelare, all 'interno di un discorso tutto centrato sul privato, anche'la storia pubblica, ma tutta letta attraverso i segni che lascia sui singoli, senza alcuna forzatura ideologica. In questa chiave il fondo lontanamente verista del discorso si fonde senza residui con la ripresa della figura, tipica della grande letteratura occidentale moderna post-decadente daDostoevskij e Manna Svevo e Tozzi, dell'inetto a vivere, del personaggio anti-eroico e incapace di integrarsi pienamente all'universo della vita civile. Il protagonista bilenchiano, che spesso s'identifica col narratore, è così non meno un disadattato per una propria personale incapacità e quasi colpa, che il portatore di un punto di vista più profondo, di una critica, per quanto non razionalmente argomentata e quasi allo stadio larvale. Attraverso la sua prospettiva la vita sociale si rivela carica di esplicite o silenziose violenze, che si annidano nel destino ma più ancora negli uomini stessi, spesso celate sotto ipocrite legittimazioni morali. Basti pensare alle terribili figure di emargmati, come il figlio pazzo del medico di Una cena o lo scemo del villaggio di Pomeriggio, fino alla Maria dell 'omonimo racconto, che chiude il libro su una nota di cupezza enigmatica e senza spiragli, unico cedimento forse a un eccesso di carico patetico e ambiguamente allegorico. Più c'interessa il legame profondo che unisce la fisica emarginazione di questi personaggi di reietti al più sottile sentimento di esclusione che domina la voce narrante, che in essi si specchia come in sosia grotteschi e derisori. Se il protagonista di Conservatorio di Santa Teresa, uno dei grandi libri del nostro Novecento, partiva da questa condizione di esclusione per approdare faticosamente ad una crescita e a un 'iniziazione al vivere sociale, il Bruno del primo, memorabile racconto che dà il titolo al volume appena pubblicato resta invece bloccato in una sorta di infanzia protratta e senza sbocchi. Non solo, ma, rimasto orfano, egli troverà appiglio in banali argomentazioni moralistiche per fissare fuori del tempo il morboso rapporto con la madre, e soddisferà i suoi più profondi desideri inchiodandola ad una vedovanza e ad una solitudine definitive. Geloso e possessivo, Bruno, e con lui molti altri personaggi bilenchiani, si salvaguarda dal lutto e dall 'abbandoBilenchi al tempo di Anna e Bruno {arch. Giovannetti). no che ossessivamente teme impedendo all 'oggetto del proprio amore di vivere. E la gelosia, tanto priva di violenza fisica esplicita quanto moralmente crudele, è suscitata, un po' come in Proust, non solo dal presente ma anche dal passato delle persone amate, che si cerca di afferrare e quasi di spiare. Più in generale il sentimento di esclusione fa di frequente nascere situazioni esplicitamente voyeuristiche, con finestre o spiragli da cui guardare o essere guar - dati, o attraverso cui si ascolta furtivamente. Il gesto di guardare di nascosto ha poi come suo corrispettivo rigorosamente opposto e complementare quello di essere guardato da tutti, posto al centro di un'attenzione generalizzata che si tasforma in scherno: come in Un errore geografico. Insieme al legame morboso con la figura materna i protagonisti di Bi!enchi vivono anche, com'è facile intuire, un rapporto profondamente ambivalente col padre, che non costituisce mai un ideale di comportamento per i personaggi-figli, e anche narrativamente resta sempre in secondo piano. E dal troppo stretto ed esclusivo legame con la madre discendono anche quelle difficoltà di un normale contatto con i coetanei, che sono espressione di un controverso rapporto con la vitalità fisica, dolorosamente temuta, e soprattutto col sesso, che di questa stessa vitalità è l'espressione più profonda e misteriosa, più temibile proprio perché carica di oscure promesse di felicità. Alla stessa logica appartiene anche la figura, tipica della letteratura dell'inettitudine, del compagno odiato e amato, antagonista e modello, invidiato proprio per la sua capacità di vivere e soddisfare i propri desideri, e integrato nel mondo a tal punto da poterne trasgredirne serenamente le regole. È questo il tema dominante della serie di Mio cugino Andrea, ma significativamente ambivalente anche il rapporto tra i due amici rivali Franco e Remo in Il capitano. In questo modo l'autore fa anche sì che la solitudine dei protagonisti non desti in noi alIL CONTESTO cuna immedesimazione patetica: essa infatti è non solo spesso infantilmente esibita e caricata di insensati vittimismi, ma pure gravida di rancore, di "risentimento", individuale e sociale. Si veda per esempio il contorto risentimento e l'inettitudine del narratore di Un delitto, i cui tratti fanno pensare alle Memorie del sottosuolo, mentre l'assassino protagonista pare una sorta di Raskolnikov senza filosofia, tutto stretto alla brutalità della vita materiale. Del delitto, e della contaminazione, di matrice dostevskiana, di narrazione realistica e moduli "giallistici", Bilenchi si serve anche per minare alla base le nostre tranquille certezze, mostrandoci bene fino a che punto la più efferata violenza abiti in ciascuno di noi: come la morbosa partecipazione alle vicende criminose della cronaca nera, nonché gli orrendi propositi di giustizia sommaria del "popolo" rivelano in modo inquietante. Per cogliere la specificità del linguaggio dello scrittore di Colle Val d'Elsa è anche necessario accostare, ai personaggi umani, la straordinaria attenzione alla campagna e ai suoi vari aspetti, e il pathos persino che accompagna il trascolorare della natura sotto il mutare del tempo, con una partecipazione tanto intensa e composta quanto intima e contenuta nei modi espressivi. E questo anche dove, come nella serie Una città, la soggettivizzazione del paesaggio è più forte e più si avvicina, nel rilievo sobriamente mitizzante dato alla ciclicità delle stagioni e delle ore del giorno, ad un'estrema ripresa di moduli simbolistici, sia pure ambientati, omeglio straniati, in un contesto realistico, o per lo meno fortemente oggettivante. Il fatto è che Bilenchi, nel suo estremo pudore stilistico e umano, alla fine lascia intendere di aspirare ad una qualche forma di proiezione mitica delle sue rappresentazioni. E l'immedesimazione col ciclo eterno delle stagioni, che concilia storia e natura, finisce così per assomigliare nel profondo al tentativo, disperato e ambivalente ma insieme unica chiave di possibile felicità, di mantenere il contatto con la figura materna, di restare cioè al di qua della storia. Persino la rappresentazione di un universo sociale di matrice contadina, violento quanto si vuole ma infine ricchissimo di solidarietà e di valori non fittizi, non sfugge alla stessa logica. Anche a questo universo infatti la scrittura tenta di conferire, al di là della consunzione e della morte, una dimensione forse non eterna, ma almeno provvisoriamen.te al riparo dall'erosione del tempo.con laconsapevolezzainsiemedellainesorabile provvisorietà e limitatezza di questa operazione e della sua assoluta necessità. La vocazione letteraria, più volte dichiarata, ma non allo scopo di affermare una mistificata superiorità, bensì, tutt' alcontrario, per confermare la condizione di marginalità dei protagonisti, riporta certo a un desiderio di immobilità che è un esorcismo contro l'irruzione del trauma. Ma in questo desiderio impossibile, e se si vuole persino infantilmente pauroso, sta uno dei "segreti" (una parola cara aBilenchi) della sua letteratura, capace, come qui, di consegnare miracolosamente al presente, per l'esile tramite della lettura, "i piccoli avvenimenti" di un mondo che inesorabilmente se ne va. 25

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