Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

IL CONTESTO ~- Morilyn vista do Gonzoles. nazione, sebbene certe letture tendano a spegnerla. L'ultima battuta introduce un problema di non poco momento: quali differenze ci saranno tra i vari derivati di immagine? Io stessa mi ero permessa di ipotizzare, in un saggio contenuto nel fascicolo di una rivista dedicato a Identità femminile e,:violenza politica, una differenza di significato tra "immaginazione" e "im-- maginario" utile ai fini della prospettiva storica sugli ultimi vent'anni. Avendo là studiato.la funzione dell'immaginario nell'esperienza di dieci donne implicate nel terrorismo italiano di sinistra, e trovandomi di fronte il problema della continuità/rottura tra quel fenomeno e i movimenti del '68, mi pareva indispensabile distinguere/collegare i due termini rispetto a quello specifico contesto. L'ipotesi del senso comune, che l'immaginazione del '68 si fosse gonfiata in delirio e allucinazione nel terrorismo, mi sembrava del tutto inadeguata. Preferivo proporre l'ipotesi di una caduta dell'immaginazione dalla sua capacità di modificare l'esistente (grazie al doppio carattere di distanza da esso e di lucida critica dello stesso) e contemporaneamente di un processo di letteralizzazione e impoverimento dell'immaginario condiviso tradizionalmente dalla sinistra, con l'abolizione dei confini tra teoria e prassi e l'irrigidimento dei caratteri ripetitivi e ossessivi. Tale ipotesi presuppone una differenza tra l'immaginazione, come facoltà attiva e creatrice, e l'immaginario, come repertorio alternamente rinnovabile o cristallizzato. Sono convinta che queste e altre variazioni di senso siano da indagare molto più profondamente e da mettere alla prova di ipotesi storiografiche concrete. In simile futura indagine dovrebbero esser salve l'elasticità dell'immaginario sia la sua storicità. Per questo sono insoddisfatta della formulazione che trovo nel libro di Attilio Mangano, a proposito dell '"irruzione dell'immaginario" nella politica. Se capisco bene, l'irruzione può essere o innovativa, come quella intorno al '68, o regressiva, come quella del "post-moderno effimeronichilista". Di tutto ciò non mi piace quello che mi pare essere un presupposto implicito, l'esistenza di un immaginario carsico che ogni tanto irrompe nella storia; esso risulta insufficientemente storicizzato da un lato, mentre dall'altro non si capisce il suo rapporto con "l'immaginario politico" della sinistra, di innegabile "rigidità". Condivido l'esigenza che Giorgio Galli avanza nella Prefa22 zione di tracciare linee di distinzione nella mappa della regione che stiamo esplorando, più accidentata di quanto molte versioni semplificate vogliano darci a intendere. La proposta di Galli, riprendere la diversa definizione di "immaginario" e "immaginale" data da Cazenave e Auguet, è ancora insufficiente, o comunque è solo un esempio; da qui la ricerca da intraprendere è ampia e profonda. Basta scorrere le dieci pagine dedicate ai composti di "immagine" - ancora una volta ricorro al Battaglia, ma lasciando la scelta delle citazioni alla creatività di ciascuno- per trovare una ricca gamma di termini e significati in quella lingua italiana che sarebbe auspicabile parlassimo e scrivessimo. Posso ricordare qualche esempio: immaginabile, immaginabilità, immaginale, immaginamento (bello), immaginante, immaginanza, immaginariamente, immaginativo, immaginato, immagina tura, immagineria, immaginevole, immaginiere (bellissimo), immaginifico, immaginismo, immaginoso. Tra i dispregiativi non posso tralasciare il grazioso "immaginazioncella" appioppato dal Carducci all' Aleardi per denigrare le sue "liste di endecasillabi e settenari". Per finire, vorrei rinviare l'eventuale lettore a tre bei libri di figure, come si conviene al nostro tema. Il primo per età - ma si presenta in edizione riveduta e aggiornata - è lo stupendo libro di Giuliano Briganti. Non solo per le figure, ma per la sua tesi, che a me suona.ammaliante, la connessione profonda tra le trasformazioni stilistiche del tardo Settecento e la rivoluzione psicologica, tra il dispiegarsi della pittura dell'immaginario e la scoperta dell'inconscio. Libro di grandi scoperte per gli storici della soggettività, ma di meravigliosa lettura e visione per tutti. Critiche non ne posso avere, cioè non mi sento di mettermi a far le bucce a un libro del genere. L'autore stesso ha indicato, nella nota alla nuova edizione, la sua aspirazione a "una maggiore chiarezza, semplicità e leggerezza" di scrittura. Ecco sì, ho compreso quell 'aspirazione seguendo i percorsi del testo; ma capisco anche che è nato così, in un periodo che per l'autore fu di attraversamento del profondo, con le sue tortuosità e il suo buio. Mi permetterò invece un'osservazione critica al libro di Dijkstra sull'immagine della donna tra otto e novecento. In generale vorrei dirne bene, non solo per l'abile alternanza di immagini .ediscorso, non solo per l'apporto alla storia delle donne, ma anche per la capacità fondativa che l'autore dimostra. Pezzo a pezzo ricostruisce, contro pregiudizi e ignoranze, il quadro di un immenso immaginario misogino, svela fini nascosti, collega manifestazioni in campi diversi. Resta da obiettare che l' interpretazione procede talvolta a senso unico, dimostrando ostinatamente sempre lo stesso assunto. Per esempio, rispetto alla rassegna di immagini sconvolgenti e avvincenti del capitolo su "Ginandrismo e genetica. Amanti della bestialità. Leda, Circe e le fredde carezze della Sfinge", mi sembra un po' riduttivo insistere soltanto sulla tesi che il femminile venga così equiparato al bestiale e al degenerato. Ci sono altre parti dell'opera che articolano il rapporto tra denigrazione del femminile e conquiste delle donne; ma mi piacerebbe veder declinata più spesso la dialettica tra positivo e negativo all'interno delle stesse immagini considerate. Ho l'impressione che a ciò sia di ostacolo un·certo moralismo presente in molto pensiero femminista, non senza alcuni meriti (acutizza lo sguardo e fomenta giuste indignazioni. Ma talvolta ce ne si può spogliare). L'ultima tappa della mia rassegna riguarda l'immagine del treno in centocinquant'anni di storia delle ferrovie, ovvero "la vicenda italiana dell'immaginario ferrato", come dice nell 'introduzione il curatore Piero Berengo Gardin. Anche qui il linguaggio presenta qualche pesantezza e contorsione. Ma lasciamo perdere. Veniamo al punto, il quale è incontestabilmente il seguente: le immagini stavolta sono fotografie. E neanche tanto fotografie che. solletichino la fantasia del favoloso (tranne alcune della carrozza reale del 1929), quanto immagini del contesto sociale in cui il

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