Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

è la richiesta base, il minimo comun denominatore. Una seconda si profila quasi imperiosamente, non appena si approfondiscano i modi di presentare e studiare l'immaginario. Sorge presto un certo disagio a vederlo trattato come un oggetto definito, una cosa dai contorni stabili e fissi, un magazzino pieno di oggetti da ca~ talogare. Questo rischio è presente negli studi di storia delle mentalità: lo si vede affiorare continuamente nelle opere dei tre storici su citati, che quasi sempre lo evitano, attenti come sono agli elementi di genesi, ai caratteri di incompletezza, agli aspetti di ipotesi nelle loro ricerche. le Goff fa anche un tentativo sul pianb metodologico per chiarire il problema, quando nell'introduzione distingue tra immaginario, simbolico, ideologico e rappresentazione intellettuale. La sua proposta è certamente utile e meriterebbe di essere sviluppata. Amonte di essa direi che si dovrebbe porre una vecchia distinzione lacaniana tra immaginario e simbolico, dove l'immaginario manteneva qualche carattere ripetiti~ vo, ereditato, quasi meccanico., mentre il simbolico connotava il piano dove il soggetto si costituisce distinguendo soggettivo e oggettivo. Questo è in effetti un problema di fondo, se non il problema: come trattare l'immaginario, il quale ha intrinsecamente alcuni aspetti cosali (come d'altra parte le mentalità, e prima ancora le rappresentazioni collettive), senza irrigidirlo a cosa, senza reificarlo. Rispetto a tale questione, non ci sono finora soluzioni metodologiche soddisfacenti. Nella pratica ci si può accontentare quando la cosalità è sciolta da una critica che mostri sia le derivazioni delle immagini da altre sia il loro rapporto con il contesto sociale e culturale. Un'impresa del genere incontra in primo luogo l'ostacolo additato anni fa da Evelyne Patlagean, quando si chiedeva come gli studiosi storico-sociali possano tracciare le linee tra immaginario e reale per un certo periodo o un certo fenomeno, quando essi stessi sarebbero in grave imbarazzo a indicare dove passi quel confine per quanto li riguarda direttamente. Patlagean sosteneva allora, con acutezza, che la risposta può venire soltanto dall'esame, più attento di quanto si sia fatto negli ultimi decenni, delle connessioni profonde tra aspetti culturali e aspetti psicologici di un'epoca, compresa la nostra. Molti spunti in questa direzione mi pare si possano ritrovare nella bella raccolta sui sogni nell'antica Grecia, curata da Giulio Guidorizzi. Fin dall'introduzione il curatore propone ipotesi di ricerca importanti sul rapporto tra sogno e funzioni culturali, che coinvolgono una doppia riflessione sul presente e sul passato. Alcuni dei saggi più interessanti contenuti nella raccolta esplicitano variamente tali indicazioni, come l'interpretazione psicoanalitica data da Georges Devereux al sogno delle Erinni nelle Eumenidi di Eschilo, o le letture che del libro dei sogni di Artemidoro fanno Dario del Corno e Hans Bender, e dei Discorsi sacri di Elio Aristide fa Salvatore Nicosia. L'intero libro è gradevolissimo da leggere, oltre che interessante e ricco di sollecitazioni in molti sensi; raccolta insieme organica e aperta, in modo da rispettare la natura molteplice dell'immaginario. Un esempio di immaginario cosificato sta invece nell'opera firmata collettivamente da Willy Pasini, Claude Crépault e Umberto Galimberti, e in realtà costituita da due parti: quella sull' immaginario in sessuologia clinica è scritta dai primi due autori. Devo premettere che non posso e non voglio mettere neanche lontanamente in discussione le loro competenze professionali. Sono tuttavia molto perplessa di fronte a termini e concetti da loro usati, giacché mi pare che il loro stesso linguaggio tenda a reificare ciò di cui parla: "l'immaginario erotico può essere definito come la facoltà che l'essere umano ha di autoerotizzarsi mentalmente attraverso la creazione di fantasmi. Sul piano strutturale, può essere considerato l'equivalente di una zona erogena intrapsichica". Conviene avvertire che sto citando una traduzione, ma non credo che la pietrosità del linguaggio sia dovuta a questo. Esistono un "immaginario erotico maschile" e uno femminile; esiste IL CONTESTO "l'immaginario degli omosessuali"; "fra le donne omosessuali, i fantasmi sentimentalizzati sembra siano i più diffusi. Vengono poi i fantasmi orogenitali ... e i fantasmi di oggettivazione visiva". Proprio qualcosa del genere temevo quando accennavo al rischio di trattare l'immaginario come un magazzino di'cui dover classificare i contenuti. Nella seconda parte Galimberti tenta vanamente di salvare baracca e burattini, in un saggio dove invita ad andare oltre l'immaginario, sia quello "dei prudenti", sia quello "normalizzatore". Il suo tentativo appare in patente contraddizione non solo col saggio che precede, ma anche poco pertinente all'oggetto. Non dovevamo parlare di immaginario? Avevo comprato il libro attratta da tale sostantivo in primo luogo, in secondo dall'aggettivo "sessuale" e forse anche, in terzo, dal nome del terzo autore. L 'attrazione è stata lacanianamente illusa/delusa. Qualche osservazione interessante nello scritto di Galimberti-ma avevamo già letto Bataille, a suo tempo - è dispersa frettolosamente in una rassegna mito-antropologica. Si può immaginare un insieme più meditato su questi temi; fortunatamente ci resta infatti l' immagiBozzetto per KingKong. 21

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