I "chierici" e il terrore Accanto a Capitini, un'altra fonte del pacifismo di Bobbio è Giinther Anders, l'autore di Essere o rum essere.Diario di HiroshimaeNagasaki, tradotto da Renato Solmi e pubblicato da Einaudi nel '61 con una prefazione di Bobbio, che ora apre col titolo Pace o libertà la raccolta Il terzo assente. Bobbio dedica il suo nuovo libro al filosofo austriaco dal quale - scrive - "ho tratto la prima ispirazione a occuparmi d~l problema della guerra nell'era atomica" (p. 11). Si può riferire anche ai lavori di Bobbio il giudizio da lui dato nel '61 a proposito del Diario di Anders. ScrivevaBobbio: il Diario "assume il suo carattere originale nella letteratura sull'argomento per aver fatto emergere con insolita energia il significato morale del problema e per il rigore, la coerenza, la chiarezza con cui lo pone e ci costringe a porlo" (p. 22). Di sapore "andersiano" sono anche i toni della seconda parte del libro. Qui sono raccolti nel capitolo Discorsi interventi pronunciati in occasioni diverse (convegni, celebrazioni, manifestazioni per la pace) tra il 1981 e il 1987, tranne il primo Non uccidere che risale al 1961; l'ultimo capitolo Articoli comprende gli interventi apparsi nel quotidiano "La Stampa" di Torino dal 1979 al 1988. Sia nei discorsi sia negli articoli Bobbio riprende, a tratti quasi divulga i temi affrontati nei saggi. Per l' occasione da cui sono scaturiti e il periodo in cui furono presentati- gli anni Ottanta che prima del recente disgelo, insieme al crescere e all'affermarsi dei nuovi movimenti pacifisti hanno visto una recrudescenza della guerra fredda che sembrava potesse portare 1'umanità sull'orlo dell 'abisso - in questi interventi prevale il taglio e il tono della denuncia. Anche se nel Bobbio degli ultimi tempi assume toni più drammatici e urgenti, scopo della sua riflessione "pacifista" - costantemente tesa tra indagine teorica e impegno pratico-è chiarire e definire le responsabilità dei potenti e il "dovere degli inermi". Dal secondo punto di vista, esemplare è il discorso Disarmatidi tutto ilmondo, pronunciato aMilano il 26 ottobre 1985 a conclusione di una manifestazione indetta per il quarantesimo anniversario dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Inermi ma non inerti: compito dei primi è trasformare l'avversione naturale, istintiva che il cittadino comune avverte per la guerra in volontà politica. Agli inermi, a coloro che non hanno potere, le cose stesse impongono un nuovo comandamento: "Disarmati di tutto il mondo, uniamoci". Gli interventi di questo periodo sono importanti soprattutto per un'altra ragione: in essi appare più evidente il collegamento tra il pacifismo di Bobbio e la sua cinquantennale riflessione sul rapporto tra politica e cultura (su questo tema si veda il libro di Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante. Politica e cultura nel pensiero di NorbertoRobbio, Bollati Boringhieri, TÒrino, 1989). Accanto a quello degli inermi, Bobbio s'interroga sul dovere dei "chierici", che non sono inermi, anzi dispongono del potere enorme della parola - un potere che può produrre e ha prodotto guasti più profondi delle armi stesse-ma che troppo spesso sono rimasti e rimangono inerti. Inoltre la storia delle giustificazioni della guerra è lì a dimostrare le loro responsabilità. L'ultimo anello di questa catena è la giustificazione dell'equilibrio del terrore. Qui la pacata riflessione si trasforma in sconcerto e indignazione. Senza mezzi termini, nell'articolo/ chiericie il terrore, dedicato alle responsabilità e ai doveri del "chierico" di fronte alla guerra e alla violenza, Bobbio scrive: "l'atteggiamento dell'uomo di cultura che, invece di svolgere il compito che gli è proprio, di combattere, dovunque si annidi la libidodominandi, la bramosia di potere, si prodiga nel far concorrenza ai potenti per escogitare giustificazioni, assoluzioni, o non richieste difese delle loro azioni, ha già avuto un nome. Si chiama 'tradimento dei chierici' " (p. 200). Più volte Bobbio ha richiamato l'attenzione sui sarcasmi dei "chierici" per i pacifisti e i democratici. Nella storia del pensiero abbondano le giustificazioni della guerra. Si potrebbe fare una vera e propria antologia di citazioni esemplari affermanti addirittura il valore etico della guerra. Tralasciando la recente apologetica del terrore, come non ricordare i conservatori Croce, Pareto e Sorel ma anche i democratici e pacifisti Kant e Proudhon; i positivisti Comte e Spencer e l'idealista Hegel; il teocratico De Maistre e il nazionalista Gentile; fino ali' esistenzialista Heidegger (si legga il saggio di Domenico Losurdo Heideggere laguerra di Hitler, "Storia e problemi contemporanei", n. 1, 1988) e i farneticanti Corradini, Marinetti, Prezzolini, Papini. È tempo che nuove indagini portino alla luce che nella filosofia classica e contemporanea, accanto alla tradizione della filosofia della guerra, sono rintracciabili le linee IL CONTESTO alternative di una tradizione di filosofia della pace. Limitandosi al Novecento, in Italia penso a figure come Edmondo Marcucci e Aldo Capitini; in Europa a Giinther Anders e Bertrand Russell; fuori d'Europa naturalmente a Gandhi. Per uscire dal labirinto Si può riassumere il pacifismo di Bobbio in una sola formula sintetica? Richiamando una antica e nota polemica (tanto citata quanto poco studiata) si può osservare che il pacifismo di Bobbio non è risolvibile nella posizione di Karl Jaspers riassunta nella formula: "meglio morti che rossi", né in quella opposta riferita a Bertrand Russell: "meglio rossi che morti". Forse nel caso di Bobbio, si può coniare una nuova formula: "né rossi né morti". Sullo sfondo, mi verrebbe da dire nelle pieghe della storia, Bobbio sembra lasciar intravedere la possibilità di una terza via tra terrore atomico e totalitarismo: la nonviolenza. A più riprese egli si è chiesto: la nonviolenza è un'alternativa. E, accostando i vari luoghi in cui ne discute, la risposta più plausibile sembra essere questa: non lo è; non lo è ancora, ma può diventarlo se noi lo vogliamo. Coloro che perseguono l'ideale della società n,onviolenta sono gli obiettori di coscienza, cioè coloro che non accettano nessuna giustificazione della guerra. Per gli obiettori di coscienza non esistono guerre giuste: la guerra non è né un male minore, né un male necessario, né un fatto inevitabile: la guerra è un male assoluto. Già nel '66, in quello che rimane il suo più importante saggio su questi temi, Il problema dellaguerra e levie dellapace, Bobbio aveva indicato come possibile via per uscire dal labirinto, la "pratica del] 'obiezione di coscienza", intesa come "una testimonianza reale della conquista della pace attraverso una riforma morale, una specie di prefigurazione di un'umanità liberata dalla guerra per ragioni religiose o morali" (Il ed. 1984, p. 90). È una via incerta. Ma da Bobbio abbiamo appreso che è sì la via più efficace e insieme la meno attuabile, ma anche che è l'unica per non finire come pesci nella rete. CONFRONTI . Proe controKafka secondoGuntherAnders PierPaolo Portinaro Fra le interpretazioni "filosofiche" del]' opera di Kafka che negli anni bui del nostro secolo maturarono fra le carte di alcuni grandi pensatori costretti all'emigrazione (Walter Benjamin, Theodor W. Adorno, HannahArendt), quella di Giinther Anders ha avuto, nel Kafka e Felice Bauer nel 1917. complesso, minore fortuna. Se così è stato, ciò va senza dubbio imputato all'isolamento intellettuale e all'orientamento anti-accademico del suo autore, ma anche al fatto che qui, più che in altri casi, 17
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