Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

IL CONTESTO sta filosofico per porre in evidenza il carattere di assoluta novità della "nuova guerra", mentre negli anni successivi sembra quasi che, chiarita la "natura" della guerra, il suo interesse si sposti più sulle possibili vie della pace: di qui l'approccio giuridico e la crescente e incessante attenzione per il tema dei diritti dell'uomo. Infatti -come ha osservato Luigi Bonanate - se si volesse rinchiudere gli scritti internazionalistici di Bobbio in una sola formula, si potrebbe dire che essi vertono sulle cause della guerra e quindi sul modo di evitarla. Naturalmente non si tratta di fasi separate e distinte: temi e accenti della prima si ritrovano nella seconda; anticipazioni della seconda sono già nella prima. Tuttavia lo schema interpretativo qui proposto sembra trovare una conferma nella raccolta Il terzo assente. Nel primo capitolo Pace e guerra, che raccoglie scritti degli anni Sessanta, ad eccezione del saggio L'equilibro del terrore del 1983, Bobbio s'interroga sulla natura della "nuova guerra"; nel secondo Pace e diritto, che oltre a uno scritto del '63 Eguaglianza e dignità degli uomini raccoglie scritti degli anni Settanta e Ottanta: Disobbedienza civile (1976), / diritti del 'uomo eia pace (1982),Le nazioni unitédopoquarant' anni (1985), insieme con due inediti L'età dei diritti (1985) e La pace attraverso il diritto (1983), discute le vie della pace. La natura della guerra e le vie della pace Quanto alla natura della guerra, tema, come si è detto, già al centro del saggio Il problema della guerra e le vie della pace (1966), schematicamente la tesi di Bobbio è che la svolta nucleare del' 45 ha determinato una svolta quantitativa e qualitativa nella natura della guerra. Contrariamente alla guerra vecchia, che poteva risolversi nella vittoria o sconfitta di uno dei belligeranti, la guerra nuova, per l'enorme potenziale distruttivo delle armi nucleari, rappresenta una minaccia mortale per i belligeranti e per il "destino della terra". Le giustificazioni tradizionali della guerra vecchia (guerra giusta, come male minore, come male necessario, come bene) "non reggono alla prova della guerra nuova": pertanto "la guerra radicalmente annientatrice non può trovare alcuna sorta di giustificazione" (p. 24). In uno degli ultimi articoli Bobbio ha scritto che quel tragico 6 agosto 1945 "non aprì una nuova era" (pp. 218-220). In questa affermazione più che una contraddizione scorgerei l'amarezza del filosofo costretto realisticamente a constatare che neppure la minaccia dell'ultimo pericolo ha indotto gli uomini ad abbandonare la strada della volontà di potenza. Ne è unariprov a la dottrina cosiddetta della dissuasione (al centro del lavoro di Luigi Bonanate, La politica della dissuasione. La guerra nellapolitica internazionale, Giappichelli, Torino, 1971), discussa da Bobbio nel saggio L'equilibrio del terrore. Affermando e dimostrando che "il terrore non conosce equilibri", l'analisi di Bobbio è diretta contro gli ultimi, recenti tentativi di giustificare la necessità, addirittura il "potere taumaturgico" delle nuove armi. Si chiede Bòbbio - anzi chiede agli apologeti dell'equilibrio del terrore - "coni.e è possibile che dal massimo deimali sinora sperimentati, niente meno che·l •arma onnidistruggente, deriva il massimo del bene, la fine della guerra, la pace perpetua" (p. 60). Le pagine dove si dimostra che l'equilibrio del terrore non solo è irrazionale, ma è anche impossibile e inefficace, sono tra le più incisive del libro. Affidare alla "logicadell 'equilibrio del terrore" il destino della terra-sembradireBobbio-sarebbe un po•. con tutto il rispetto per i matti, come affidare la gestione di un ricovero di matti a un matto. Quanto alle vie della pace, la propensione di Bobbio va a quelle indicate dal pacifismo giuridico, che possono essere riassunte nella formula del grande filosofo austriaco Hans Kelsen: la pace attraverso il diritto. Se la guerra non può più in alcun modo essere giustificata, come renderla impossibile? "tra le risposte che si possono dare a questa domanda-risponde Bob bio nella Prefazione-di cui le due estreme sono l 'azione diplomatica, praticabile ma insufficiente, e l'educazione alla pace, più efficace ma meno attuabile, io ho dato la preferenza, per ragioni legate alla mia formazione culturale e per una naturale vocazione a ritenere che la virtù sia nel mezzo, a quella che guarda alla creazione di nuove istituzioni che aumentino i vincoli reciproci tra gli stati o al rafforzamento di quelle vecchie che hanno dato sinora buona prova" (p. 8). Tra le vecchie istituzioni "che hanno dato sinora buona prova" ce n'è una di più di quarant'anni, l'Organizzazione delle Nazioni Unite, che costituisce, per Bobbio, dopo il fallimento della Società delle ,Nazioni, "il primo grande tentativo di democratizzare il sistema internazionale" (p. 16 224). Bobbio ne tesse l'elogio (un articolo s'intitola In lode del 'ONU) e nel saggio Le Nazioni Unite dopo quarant'anni ne analizza la storia e le prospettive, senza tacerne i limiti che le impediscono di assumere il posto del "Terzo assente". Numerose pagine sono dedicate al tema del Terzo. Da un lato per uscire dall'equilibrio del terrore occorrerebbe che i due grandi rinunciassero alla loro forza per affidarla a un potere comune, un terzo al di sopra delle parti, che avesse l'autorevolezza e la forza per dirimere i conflitti internazionali; dall'altro non s'intravede sulla scena della storia un soggetto con simili caratteristiche. Come Terzo possibile, Bobbio guarda alle Nazioni Unite, Terzo al di sopra delle parti; all'Europa, Terzo tra le parti; alla Chiesa, alle chiese, ai movimenti religiosi e pacifisti, Terzo contro le parti. Tuttavia egli conclude che al momento attuale non si è ancora formato il Terzo auspicato: per l'impotenza delle Nazioni Unite; per le divisioni dell'Europa; perché "le varie forze variamente spirituali sono almeno sino ad ora soltanto una testimonianza o un preannunzio di un mondo diverso" (p. 217). Ma, se è certamente sconsigliabile affidare le vie della pace agli apologeti del terrore, in ogni caso è poco prudente lasciarle solo in quelle degli stati (I' azione diplomatica). Le vie della pace sono anche nelle nostre mani: degli "inermi", come vedremo, e soprattutto in quelle degli "uomini di buona volontà" (I 'educazione alla pace). Uomini di buona volontà sono coloro che danno vita alle "forze variamente spirituali" che lavorano per la pace. Rivolgendosi a Guido Ceronetti, scettico sulle intenzioni dei movimenti per la pace, Bobbio osserva: "Quando incontro per la strada due persone che litigano, se sono animato da buoni propositi, non perdo tempo a cercare di sapere chi ha ragione e chi ha torto. Tento di separarle. So in partenza che hanno ragione tutte e due (e per questo litigano) e a furia di aver ragione rischiano di ammazzarsi". Questo è lo stato d'animo dei pacifisti: nella stragrande maggioranza essi sono "persone in cui la volontà di separare i due litiganti è superiore al desiderio di sapere chi dei due ha ragione. Tanto più che in questo caso a differenza di una rissa di strada, il litigio può finir molto male anche per coloro che stanno a guardare" (p. 204). Dal punto di vista dell'educazione alla pace, significativo è il nesso stabilito tra movimenti per la pace e movimenti per i diritti dell'uomo. "Procedendo di pari passo - afferma Bobbio - si rafforzano a vicenda. La pace è la condizione sine qua non per una efficace protezione dei diritti dell'uomo e nello stesso tempo la protezione dei diritti del! 'uomo favorisce la pace" (p. 96). In effetti dovrebbe essere evidente che i diritti dell'uomo -dal diritto alla vita ai diritti di libertà; fino al diritto a vivere dignitosamente-sono minacciati, oltre che, ovviamente, dallo stato di guerra effettivo, dal solo stato di guerra potenziale. Nel particolare accento sul tema dei diritti dell'uomo, sono da sottolineare altri due motivi. Primo.L'avvenire della pace è strettamente connesso con quello della democrazia. Il processo di democratizzazione del sistema internazionale procede di pari passo con quello di democratizzazione all'interno degli stati, in quanto un potere comune al di sopra delle parti è tanto più possibile quanto più sono omogenee le forme di governo degli stati che ne fanno parte. Non a caso il primo articolo per la pace perpetua di Kant recita: "La costituzione civile di ogni Stato deve essere repubblicana". Secondo. L'altro ~motivo riporta Bobbio a uno dei suoi temi prediletti: la filosofia della storia. Il rapporto tra filosofia della storia e diritti dell'uomo è esaminato nel saggio L'età dei diritti: lo sforzo di proteggere i diritti dell'uomo, estenderli ad altri soggetti e svilupparne l'ambito, "può essere interpretato come un segno premonitore (signum prognosticum) del progresso morale dell'umanità" (p. 115). Guardando "oltre", nella stessa linea dei movimenti per la pace e dei diritti dell'uomo, si muovono i movimenti nonviolenti. Sono fautori di un'altra storia mossa da un•altra etica, l'etica del dialogo, contrapposta alla storia attuale segnata dai demoni della volontà di potenza. Se per il filosofo-profeta (Capitini) l'ideale della nonviolenza rappresenta il "varco attuale" della storia, per il filosofo-scienziato (Bobbio) è "il momento utopico di queste pagine" (p. IO). Irrealismo di Bobbio emerge anche dalla sua analisi della nonviolenza, quando, argomentando la desiderabilità della società nonviolenta, ne segnala la difficile realizzabilità. Tuttavia, è proprio quando si accosta ali' ideale della nonviolenza che a volte pare smettere l'abito dello scienziato per quello del riformatore, consapevole che il passaggio dal regno della violenza a quello della nonviolenza richiede il vero "salto qualitativo": il passaggio dalla riforma delle istituzioni al rinnovamento dell'uomo.

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