Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

SAGGI/FRASSINETI Mi è accaduto più volte di sedere attorno a un tavolo cui facevano corona esponenti qualificati di tutti gli enti e le associazioni di maggior prestigio in campo educativo e devo dire che vi si respirava un'aria niente affatto salubre, che non esisteva alcuna vera possibilità di dialogo, e che, nel grigiore generale, facevano spicco ogni tanto situazioni, affermazioni, battibecchi gustosi o agghiaccianti, vere ghiottonerie per un collezionista di note di costume. Ricordo una giovane assistente sociale che in uno di codesti incontri parlava a nome del servizio sociale di un grosso Ente di riforma. La sua relazione fu statisticamente ineccepibile, e l'elenco delle attività (corsi di scuola popolare, corsi di educazione degli adulti e simili) apparve addirittura imponente. Meno luminosa si fece la situazione, anzi addirittura tenebrosa, allorché mi azz'ardai a porre a quella persona alcune domande sui fini e sui risultati di tutto·ciò, sia riguardo agli utenti dei servizi culturali in discorso, sia riguardo ai rapporti fra costoro e gli organi e l'attività dell'ente di riforma. Non è che la risposta fosse non chiara o non abbastanza perspicua; è che l'interrogata si rivelò del tutto incapace di afferrare il senso della domanda, sebbene io provassi a riproporla in termini diversi e sempre più elementari. Alla fine, esasperata dal mio insistere, la brava ragazza non seppe far meglio che sciorinare l' elenco delle autorità presenti a non so quale rituale ricorrenza dell'ente, aggiungendo che al servizio sociale era stata conferita la medaglia. Altra tavola rotonda, altro luogo, altro consesso. Una brava e colta signora, di sani princìpi morali e religiosi, esponente provinciale di una grossa associazione femminile, illustra molto onestamente le sue difficoltà di educatrice. Le tabacchine, per le quali lavora, sono un pubblico difficile.·Come lavorano, cosa guadagnano si sa; e sono povere donne, assillate da problemi elementar1 di sopravvivenza; hanno il marito e i figli disoccupati o peggio ammalati; hanno bisogno'di tutto. Se frequentano il centro è solo o soprattutto perché sperano che a loro e ai loro famigliari ne venga qualche inunediato concreto sollievo. Impossibile con loro avviare un qualsiasi discere sui "princìpi" morali. Non è questo che si aspettano, non è questo che vogliono. Che fare? Per quanto quella mattina mi fossi proposto soltanto di ascoltare, mi parve, in presenza di una così fertile occasione di discorso, di dover dire la mia. E dissi (verità abbastanza ovvia) che in situazioni del genere il vero educatore degli adulti è il sindacalista o chi comunque accetti di svolgerne la funzione; perché il primo passo in tal caso, è sempre e semplicemente l'acquisto della coscienza dei propri diritti sociali, l'acquisto della fiducia di poter mutare la propria condizione, lo stimolo di un interesse concreto da altri condiviso, la solidarietà nella lotta con i propri compagni di sventura, e così via. La signora, che pure aveva onestamente posto la questione, apparve molto turbata da un simile corollario. E ancor più turbata, addirittura scandalizzata, appariva una sua più anziana collega, anch'essa colta e pia: una brava, mansueta e trepida "nonnina" delle tabacchine, pronta, io credo, a subire il martirio per la salvezza dell'anima di una soltanto di quelle sventurate commesse alle sue cure spirituali. Ebbene, anche questa nonnina volle dire la sua. Sveglia di mente, aveva ben capito il senso, del mio discorso, che si configurava, nel suo linguaggio timorato, come "istigazione alla lotta di classe"; pe'r cui, l'idea di insinuare nella mente di una tabacchina la speranza di un migliore destino, cioè la speranza di potere un giorno, poniamo, essere non più• una tabacchina, ma una patronessa, le appariva come un diabolico criminoso disegno. Infatti, messa alle strette, non trovò alle sue tesi miglior difesa di questa: che insomma, "qualcuno deve pur fare la tabacchina!" "Che fare?" mi chiesi io a mia volta. Uccidere la nonnina, oppure spiegarle, tentare, ancora, di spiegarle, che dietro il suo fare compunto e mansueto si nascondeva un ideale educativo supremamente forcaiolo e che infatti gli impiccati sono persone bene educate perché non sporcano i pavimenti? 102 Lasciai cadere il discorso. E questo lasciar cadere il discorso io credo sia il solo esito possibile di ogni tentativo (che pertanto giudico vano se non funesto) di instaurare rapporti di collaborazione organica in campo educativo, là dove non ne sussistevano le premesse ideali. Naturalmente il giudizio si fa meno severo quando si tratti di istruzione tecnica e professionale, più che di educazione in senso stretto, benché non sia pedagogicamente corretto, considerare istruzione ed educazione come due categorie distinte. Ma, per quel che riguarda il lavoro educativo che lo stato intenda svolgere a mezzo di associazioni e di enti qualificati, direi che, una volta istituite le graduatorie di competenza e di merito con criteri quanto possibile inununi da valutazioni politiche troppo contingenti (equi, che il dio degli eretici ci assista), una volta stabiliti e concordati gli scopi di massima dei programmi in armonia con i previsti interventi economici o comunque con le richieste e le necessità obbiettivamente accertate, lo stato dovrebbe rassegnarsi a lasciare che le cose vadano per la loro strada. Voglio dire che l'autonomia degli enti non dovrebbe subire alcuna limitazione, salvo per quel che riguarda il rispetto delle finalità generali dei programmi, il coordinamento strumentale delle iniziative, l'onesta amministrazione del pubblico denaro e, come limite ideologico, il rispetto dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica. Che poi, su queste basi oneste e chiare di autonomia ideale e metodologie, sia dovere di tutti e di ciascuno, organi dello stato, enti e persone, di promuovere rapporti quanto possibile estesi di collaborazione a tutti i livelli e su tutti i piani, sia riguardo alla reciproca informazione e all'utilizzazione delle esperienze di tutti, sia riguardo alla suddivisione dei compiti, sia, perché no? riguardo ai metodi e ai principi (ché, in questo caso, collaborazione significa organizzazione del libero dibattito delle idee), questo è un altro discorso. E direi che lo stato, in questi termini, quando cioè sia consapevole di rendere un "servizio" e non pretenda, lui, di "salvare le anime", ha una importante e insostituibile funzione da svolgere. ~ il Mulino CONTRAPPUNTI AUGUSTOFRASSINETI LOSPIRITO DELLELEGGI L'esilarante,pittorescoritratto delmondoburocratico, dallapennadiunodeipiùferocisatirici dellanostraletteratura Inlibreria novembre

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