Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

SAGGI/FRASSINETI Del resto tutti sappiamo benissimo che cosa succede, oggi come ieri, a un somaro in vena di lattughe, specie se a coglierlo sul fatto sia il padrone delle lattughe e non suo. Sia detto dunque una volta per tutte che l'eclettismo dietetico del somaro, la sua frugalità avvilente-e non "edificante" come vorrebbe l'ideologia padronale e borghese - non discendono da una pretesa attitudine del nobile animale alla ingestione indiscriminata di qualsiasi materia végetale; sibbene da un lavorio di secoli e secoli di riflessione critica, dalla presa di coscienza di uno stato di necessità. Il somaro, per lande desolate, rosicchia avaramente il cardo d'ordinanza, sognando orti solinghi e tenere lattughe cui sia dato di accedere a cuor legg~ro. E si può essere certi che il giorno del redde rationem, milioni e milioni di tonnellate di cellulosa indigerita peseranno sul piatto della bilancia con ben altra autorità che la spada di Brenno. · Dal secolo XIV ai nostri giorni, la letteratura encomiastica asinaria, nell'area della civiltà cristiana, presenta una densa fioritura. Ma, a parte Giordano Bruno, si cercherebbe invano una testimonianza di pensiero che fuoriesca dal clima zuccherato e farisaico, del quale il Nettesheim, benché persona invisa all 'Inquisizione, è senza dubbio il più autorevole esponente, e che coinvolge, spiace ripeterlo, anche il. poeta iberico di cui dicemmo, benché sul piano degli affetti privati non si possa dubitare della sua sincerità. · Soltanto un genio di altissima e tempestosa statura morale, soltanto uno sterminatore di pregiudizi come Giordano Bruno, poteva essere in grado, come fu, di assumere anche in questo campo (sia pure di sfuggita e senza trarne le necessarie illazioni sociologiche) una chiara posizione di rottura, gettando a un tempo le basi dell'immanentismo moderno e quelle di una corposa realistica impostazione nello studio della psicologia del somaro. E vale senza dubbio la pena di fermarci a riflettere alcun poco su questa sua parabola, che ne riassume efficacemente il pensiero. "Era un tempo che il leone e l'asino erano compagni; ed andando insieme in pellegrinaggio, convennero che, al passar de' fiumi, si tranassero a vicenna: com'è dire, che una volta l'asino portasse sopra il leone, e un'altra volta il leone portasse l'asino. Avendo, dunque, ad andar a Roma, e, non essendo a lor servigio né scafa né ponte, gionti al fiume Garigliano, l'asino si tolse il leone sopra: il quale natando verso l'altra riva, il leon, per tema di cascare, sempre più e più gli piantava le unghie nella pelle, di sorte che a quel povero animale gli penetrarono in sin ali' ossa. Ed il miserello, come quel che fa professione di pazienza, passò al meglio che poté, senza far motto. Se non che, gionti a salvamento fuor de l'acqua, si scrollò un poco il dorso, e si svoltò la schiena tre o quattro volte per l'arena calda, e passaron oltre. Otto giorni dopo, al ritornare che fecero, era il dovero che il leone portasse l'asino. Il quale, essendogli sopra, per non cascar ne l'acqua, coi denti afferrò le cervice del leone; e ciò non bastando per tenerlo su, gli cacciò il suo strumento - o, vogliam dire, il... tu m'intendi - per parlare onestamente, al vacuo, sotto la coda, dove manca la pelle: di ma_nierache il leone senù maggior angoscia che sentir possa una donna nelle pene del parto, gridando: 'Olà, olà, oi, oi, oi, oimè! olà traditore!' A cui rispose l'asino in volto severo e grave tuono: 'Pazienza frate! mio: vedi che io non ho altr'unghia che questa d'attaccarmi.' E cossì fu necessario che il leone soffrisse ed indurasse, sin che fusse passato il fiume." Io non amo atteggiarmi a profeta di sventure, ma dico a tutti coloro che han sempre fatto, e fanno, la parte del leone: "State attenti, signori: il Garigliano è davanti a voi, e vi sarà giocoforza passare. A buon rivederci, dunque su l'altra sponda." Storia del Movimento di collaborazione civica AugustoFrassineti Qualche anno fa, una mattina, nel Castello Caetani di Sermoneta, sede del nostro Centro Residenziale, ricevemmo la visita di un Ispettore scolastico. Era la solita visita regolamentare di controllo, trattandosi quella volta di un Corso parzialmente sovvenzionalo dal Servizio Centrale per l'Educazione Popolare: era la solita visita, ma non era il solito Ispettore. Il solito fspettore, avendo vinto un concorso ed essendo ultimo in graduatoria, era stato inviato accortamente in Alto Adige. Questo nuovo Ispettore non lo avevamo mai visto, e come_poi fu chiaro, non aveva mai sentito parlare di noi. La sua informazione, in fatto di forme non tradizionali di insegnamento, comprendeva, come limite estremo, i Corsi di Scuola Popolare. Lo ricordo bene, mentre attraversava il grande cortile del Castello, incespicando nelle sporgenze di roccia e guardandosi attorno spaesato e diffidente. Certo, l'ambiente era per lui del tutto desueto e, come sede di scuola, assai stravagante. Tanto più che in quei giorni una parte dell'illustre maniero era occupata da una troupe cinematografica, ed erano ben visibili in giro i relitti cospicui di una battaglia dei tempi di Carlo V. Ma 98 devo dire che il nuovo Ispettore era proprio -e sùbito tale ci apparve - una delle persone meno propense ad accogliere lietamente le novità della vita, benché fosse uomo di carattere mite. Era sui sessant'anni, napoletano. Somigliava un po' a Benedetto Croce. Vestiva con proprietà e portava la lobbia grigia un po' di traverso. Ci venne incontro con l'aria di chi chiede simpatia: possibile che proprio lui, alla sua età, con tutta la sua modesta ma onorata carriera, dovesse incorrere in simili affronti? La cordialità con cui si vide accolto da Cecrope Barilli e dame, sembrò rassicurarlo un poco. Ma la tenuta di lavoro di Barilli (calzoni di velluto a costa larga, non proprio freschi di stiratura, camicia azzurra americana con il colletto sbottonato, maglione di mohair, larghissimo e lungo fin sotto le natiche) lo rimise in sospetto, e si lasciò condurre nell'interno con animo, credo, non troppo diverso da quello di Don Abbondio quando saliva al castello, ipnotizzato dall'Archibugio dell'Innominato. Né le cose migliorarono poi, benché Barilli, molto civilmente e con chiarezza didattica, cercasse di famigliarizzarlo per gradi con la natura

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