Linea d'ombra - anno VII - n. 42 - ottobre 1989

IL CONTESTO Chi si è dichiarato pronto a derogare dal principio ogni uomo un voto per il Sudafrica, per timore di un bagno di sangue ai danni della più civile razza del pianeta, non sembra disposto a farlo se il bagno di sangue dovesse colpire comunisti o altri storici nemici del capitalismo liberale; così come chi lo valuta un principio irrinunciabile per l'occidente sembra pronto a fare delle eccezioni in nome di passati e presunti meriti rivoluzionari. Se una cosa appare con chiarezza da una lettura sobria e disincantata degli avvenimenti sov.ietici, è che prendere partito tra coppie di valori e concetti che la tradizione ci ha consegnato come storicamente dicotomiche ed inconciliabili (tra centralismo e autonomia, tra democrazia localistica e rispetto degli interessi generali, tra identità nazionale giuridico-formale e senso di appartènenza ad una razza, etnia, cultura, religione, tra democrazia come dittatura della maggioranza e dispotismo come imposizione di regole che a volte suonano difesa dei deboli o dalle sopraffazioni) è ormai non solo impossibile ma cieco e dannoso. Quello che accade in Urss e nei paesi dell'Europa orientale, inoltre, induce a valutazioni e considerazioni altrettanto drammatiche e difficili da esprimere con coerenza e lucidità. Lì l'obiettivo per cui si lotta e si rischia è spesso nient'altro che la richiesta di voto, una richiesta per cui nessuno più, da noi, sembra disposto non già a morire ma neppure a spendere tempo ed idee. La noia e la depressione culturale e ideale su cui tanto si discetta alternativamente in tutte le avanzate democrazie europee, sembrano inesistenti in Urss, dove c'è miseria ma anche solidarietà, dove i disagi materiali occupano la maggior parte del tempo a disposizione ma sembrano anche stimolare partecipazione, voglia di cambiamento, ricerca e riscoperta di valori e conflitti che diano un senso alla vita e al futuro. Bisogna dedurne, col cinismo di chi è satollo, che moralmente è più salubre una società in cui gli ostacoli sono tanti e i desideri da realizzare molteplici, o bisogna accondiscendere al luogo comune che lega Popper ad Alberoni (e tutti quelli che ci sono in mezzo) secondo cui non c'è mai stato un mondo migliore del nostro occidente tecnologico e rinascimentale? Se una situazione rivoluzionaria è quella in cui non solo si modificano e trasformano con rapidità inusuale tutti i rapporti su cui si fonda una società, ma che permette di trasformare i valori, le credenze, il modo stesso di percepire la realtà, la Russia si presenta di nuovo, a settant'anni dall'Ottobre, con le stigmate di unarivoluzione in corso. Se non saremo capaci di osservarla anche noi con l'apertura, la curiosità, la spregiudicatezza che la situazione richiede, e ci arroccheremo invece nelle stolide certezze da cui siamo quotidianamente bombardati e in cui rischiamo di annegare senza accorgercene, l'unica speranza è che si abbia il buon gusto di tacere e non si attribuiscano le difficoltà e gli eventuali smacchi del rinnovamento in corso in Urss al non aver dato retta a chi identifica le proprie costose banalità con il pensiero di una impalpabile e sfuggente opinione pubblica. Otto giorni a Mosca a discutere del mondo dopo il comunismo · Gian Giacomo Migone Il tradizionale seminario sui rapporti Est-Ovest e sugli armamenti, organizzato dall'Università della California e da quella del Sussex, si è svolto quest'anno a Mosca grazie alla còllaborazione dell'Istituto per le relazioni internazionali del ministero degli Esteri sovietico. Ha assunto così un carattere particolare, anche perché Mary Kaldor - responsabile per l'Università del Sussex -ha concordato con gli ospiti sovietici la partecipazione, in qualità di relatori, di autorevoli personaggi dell'opposizione polacca e ungherese che si sono trovati a discutere attorno allo stesso tavolo con europei, sovietici e americani. Ecco il diario di quei giorni. 91uglio Siamo tutti alloggiati nel campus dell'Istituto di relazioni internazionali del ministero degli Esteri sovietico: il luogo in cui vengono addestrati abitualmente futuri diplomatici dei paesi del- !'Est e del Terzo mondo. Mi si dice che è la prima volta che vi sono ospitati degli occidentali. Camere semplici ma pulite, anche se mi fa sorridere l'idea delle reazioni di alcuni prestigiosi colleghi di mezza età ad una sistemazione così spartanamente studentesca. Chissà se anche Brzezinsky si dovrà accontentare di un lettino, una scrivania e una sedia. Mary Kaldor mi racconta la novità del giorno: poiché Geremek non poteva abbandonare Bush, in visita a Varsavia, ha provveduto a sostituirlo con Adam Michnik (le comunico che il Corriere ha già riportato la notizia). Il fatto è che i visti dei dissidenti richiedono l'ok delle rispettive ambasciate a Mosca- è questo il patto fra gli organizzatori - e quello dell'ambasciata polacca 8 tarda ad arrivare, malgrado Michnik sia ormai deputato al Parlamento. Siamo ora nella paradossale situazione in cui Michnik ha comunicato che viene lo stesso - ai polacchi non occorre visto sovietico- e il ministero sovietico cerca di convincere l'ambasciata polacca a lasciar fare. 10 luglio Giornata piena di avvenimenti che si conclude con un colpo di teatro. Ma cominciamo dal!' inizio. Questa mattina inizia il seminario. In effetti la libertà di discussione è stata totale. Dopo brevi saluti del responsabile sovietico (professor Yuri Dubinin), americano e inglese (Mary Kaldor) dell'iniziativa. Poi tocca a me tenere la prima lezione. Seguirà una lunga discussione, a botta e risposta, che durerà l'intera mattinata. Svolgo i miei soliti temi: la guerra fredda nasce con la spartizione dell'Europa tra le due superpotenze che si legittimal}Oa vicenda, contrapponendosi. Ne. consegue il regime a sovranità limitata che con diverse modalità - assai più pesanti ad Est- viene imposto ad alleati minori e satelliti. La contrapposizione nucleare viene usata strumenta)mente per determinare una emergenza permanente che serve a stabilire una disciplina politica e sociale interna ai due blocchi e ai suoi singoli componenti. È un'argomentazione che ha l'effetto, ormai collaudato, di irritare sia i sovietici che americani. I gorbacioviani ormai accettano una misura di responsabilità per la guerra fredda, ma non amano essere accusati di connivenza, sia pure oggettiva, con gli americani, e soprattutto rivelano qualche imbarazzo (per lo più accennato) di fronte ad un'analisi che delegittima governi ancora ad es-

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