LENIN, erner, Flores, Fo I mensile di storie, immagini, discussioni LIRE8.000
~ Biennale di Venezia UN SECOLO DI STORIA Biennale di Venezia Un secolo di storia Le formiche Una società alternativa NUOVI TITOLIIN LIBRERIA 000 z.s.::.,,,,,,, r De Chirico Il gruppo dei cinque Guido Reni ' , " I segreti dei codici I! tempo del lavoro
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EinaudiTascabili Per i lettori di oggi e di domani un catalogo prestigioso a disposizione della propria biblioteca ideale. Una storia di libri: romanzi, poesia, saggi, in una collana a prezzi econom1c1. Questo mese in libreria: Primo Levi, Se questo è un uomo e La tregua pp. 354, L. IO 500 Elsa Morante, Aracoeli pp. vn-328, L. IO 500 W. Least Heat-Moon, Strade blu pp. VII-509, 1. 14 000 Omero, Odissea pp. xv-716, L. 16 ooo con testo a fronte ThomasBernhard Amras Due fratelli « geniali e perturbati» e la loro tragica simbiosi: il romanzo che Bernhard defini il suo capolavoro. Traduzione di Magda Olivetti. «Nuovi Coralli», pp. 83, L. 12 ooo Einaudi NataliaGinzburg L'intervista L'ultimo lavoro teatrale di Natalia Ginzburg. « L 'interoista è la sua commedia piu densa, piu solida: è anche allo stesso tempo la piu disincantata e la piu ricca di compassione» (Masolino D'Amico). «Collezione di teatro», pp. xr-47, L. 7000 BrunoBarilli Capriccidivegliardo etaccuiniinediti (1901-1952) La frammentaria e folgorante autobiografia di uno scrittore eccessivo e feroce del nostro Novecento. A cura di Andrea Battistini e Andrea Cristiani. «Gli struzzi», pp. vr-355, L. 22 ooo JosephZoderer Ilsilenziodell'acquasotto il ghiaccio Una fuga tra realtà, visioni, sogno alla ricerca di un innamoramento. Traduzione di Magda Olivetti. «Supercoralli», pp. 112, L. 16 ooo Lautréamont IcantidiMaldoror Poesie.Lettere L'enigmatica «epopea della bestemmia», della crudeltà, del sarcasmo, dell'orrore e della comicità. A cura di lvos Margoni. «Gli struzzi», pp. xxxr-554, L. 26 ooo R.Gabetti•C.Olmo Alleradicidell'architettura contemporanea Il cantieree laparola I grandi terni del moderno attraverso una nuova lettura del Settecento e del primo Ottocento europei: dalla geografia agli spazi, dall' economia ai mutati codici urbanistici .. «Saggi», pp. xxrn-251 con 47 tavole fuori testo, L. 45 000 GiorgioCiucci Gliarchitettieilfascismo Architetturaecittà1922-1944 La storia, le idee e i progetti dei protagonisti del dibattito inaugurato negli anni venti e trenta, sul rapp'orto degli architetti con il regime fascista. «Pbe», pp. XXIV-222con 120 tavole fuori testo, 1. 24 000 LucianoAnceschi Gli specchidellapoesia Riflessione,poesia,critica Gli aspetti fondamentali della struttura della poesia nei saggi d'un filosofo al tempo stesso critico militante. «Paperbacks», pp. rx-222, L. 22 ooo RosolieA.David I costruttoridellepiramidi Un'indaginesuglioperaidelfaraone Giuristi, medici, scribi, artigiani, commercianti: dietro una straordinaria impresa architettonica la vita quotidiana della civiltà egizia. Traduzione di Liliana Zella. «Saggi», pp. XIII-251con II illustrazioni nel testo e 31 tavole fuori testo, L. 36 ooo Americanismo eriformismo Acuradi LeonardoPaggi Le implicazioni sociali e politiche ·dell'Europa del '92. «Nuovo Politc;:cnico»,pp. xx-434, L. 25 ooo
Direllore: Goffredo Fofi Direzione editoriale: Lia Sacerdote Collaboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Isabella Carnera d'Afflitto, Giancarlo Ascari, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Paolo Bertinetti, Gianfranco Bettin, Romano Bilenchi, Lanfranco Biruri, Franco Brioschi, . Marisa Bulgheroni, Marisa Caramella, Cesare Cases, Robeno Cazzola, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Oerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Albeno Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Del Conte, Stefano De Matteis, Riccardo Duranti, Bruno Falcetto, Marcello Flores, Giancarlo Gaeta, Fabio Garlibaro, Piergiorgio Giacché, Aurelio Grirnaldi, Giovanni Jervis, Filippo La Pona, Gad Lemer, Stefano Levi della Torre, Marco Lombardo Radice, Marcello Lorrai, Maria Madema, Luigi Manconi, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Robena Mazzanù, Paolo Mereghetù, Santina Mobiglia, Maria Nadotù, Antonello Negri, Maria Teresa Orsi, Cesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Giuseppe Pontremoli, Sandro Ponelli, Fabrizia Ramondino, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Robeno Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Joaqum Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Itala Vivan, Gianni Volpi, Egi Volterrani. Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche iconografiche: Barbara Galla Relazioni pubbliche: Miriam Corradi Esteri: Regina Hayon Cohen Produzione: Emanuela Re HaMo contribuito alla preparazione di questo nwnero: Filippo Azimonù, Eliana Bouchard, Franco Cavallone, Paola Costa, Rina Disanza, Paola Faloja, Giorgio Ferraci, Ebe Flamini, Enrichetta Frassineù, Giancarlo Gaeta, Carla Giannetta, Giovanni Giovannetti, Oaudio Groff, Lanfranco Mencaroni, Grazia Neri, Domenico Porzio, la redazione di "L'Unità", le case editrici Mondadori e Serra & Riva, la libreria Popolare di via Tadino 18 a Milano. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Tel. 02/6691132-66909;31 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (Ml) -Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA Mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo mno% Numero 42 - Lire 8.000 Abbonamenti arinuale: ITALIA: L. 65.000 da versare a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L 90.000 I manoscritti non vengono restituiti Si risporuk a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo stati in grado di rintracciare gli aventi dirillo, ci dichiariamo pronti a ollemperare agli obblighi relativi. LINEOA'OMBU anno VII ottobre 1989 numero42 IL CONTESTO 4 6 8 12 13 15 19 29 GadLerner Marcello Flores Gian Giacomo Migone Goffredo Foji Giovanni Mottura Pietro Polito Luisa Passerini Rocco Carbone Le catene del passato. Rossanda e Togliatti Est. La continuità impossibile Otto giorni a Mosca Nomenklatura PCI L'utopia contadina di Cajanov Né rossi né morti. Sul pacifismo in Bobbìo Immaginare l'immaginario. Una rassegna Ennìus Flaianus, satiro solitario RUBRICHE: Confronti (P .P, Portinaro sul Kafka di Anders, apag. 17;G. Turchetta su Anna e Bruno di Bilenchi, a pag. 24; P. Splendore sull'autobiografia di lsherwood, a pag. 26; F. Binni sui racconti di Hammet, a pag. 27), In margine (G. Cherchi a pag. 18), Scienza (G. Calamandrei su Rita Levi-Montalcini a pag.24), Memoria (A. Pajalich su Richard Rive, a pag. 31), Lettere (Un'associazione per Aldo Capìtini, a pag. 33), Promemoria a pag. 34. POESIA 74 108 Seamus Heaney *** STORIE 89 86 88 93 103 105 KoboAbe MagidTobia Andrea Berrini Augusto Frassineti Richard Brautigan JenoRejto INCONTRI 69 . Seamus Heaney SCIENZA 79 Karl R. Popper SAGGI 76 98 111 . Roberto Bertoni Augusto Frassineti Gli autori dì questo numero Poesie dal "Tao Te Ching" a cura di Pier Cesare.Bori L'inondazione Vostok va sulla Luna Avventurieri La pazienza ha un limite Due capitoli perduti di Pesca alla trota in America Altona La pausa per la riflessione a cura di Clara de Petris Il ruolo dell'autocritica nella creazione Su alcune poesie di Searnus Heaney Storia del Movimento di collaborazione civica La copertina dì questo numero è di Margherita Be/ardetti. Questa rivista è stampata su carta riciclata ..
IL CONTESTO Le catene del passato Rossana Rossanda e la tradizione togliattiana GadLerner Nel corso degli ultimi dieci anni Rossana Rossanda ha avuto una parte davvero decisiva nella battaglia (persa, ma non del tutto, e comunque necessarissima) contro lo stravolgimento emergenziale dello stato di diritto. Facendosi molti nemici, non ultimi i dirigenti del Pci, ha rivendicato con ammirevole ostinazione una soluzione politica, oltreché il ripristino della civiltà giuridica, riguardo alle vicende delle formazioni armate. In parecchi hanno di che essergliene grati. Va detto che anche in questo impegno, che ho sentito comune, si coglieva da parte di Rossanda una lettura dei movimenti, e più in generale della storia degli anni Settanta, assai unilaterale o comunque diversa da quella di molti di noi che avevamo vissuto in prima persona l'esperienza del '77: non ci andava giù un' identificazione tanto enfatica quanto sbrigativa di quel movimento con la sua componente di Autonomia; il rifiuto della discriminante etico-politica sulla violenza; il riconoscimento alle Br di una sorta di funzione di rappresentanza sociale, oltre che di "distorta continuità" rispetto alla tradizione comunista. Tutte divergenze secondarie rispetto ali' impegno prioritario, purtroppo assai disatteso a sinistra, contro le aberrazioni dell'emergenza e contro la diffusa rimozione di una storia appena vissuta. Oggi quel diverso modo di relazionarsi con la "memoria" e con la "storia" viene bruscamente messo a fuoco dalle più recenti riflessioni che Rossanda va dedicando al Pci e alla sua personale identità di intellettuale comunista. Segnando un approfondirsi delle distanze, su cui vale la pena soffermarsi. È come se fossimo in presenza di una singolare inversione delle parti: per cui "Linea d'ombra" giunge a manifestare- pur con tutto il dovuto scetticismo - un suo interesse nei confronti del nuovo corso del Pci, provenendo da una cultura che comunista non è mai stata, proprio per le medesime ragioni che inducono Rossanda e il "Manifesto", in polemica con il nuovo corso occhettiano, a riscoprirsi togliattiani e a polemizzare con il Pci: accusato-quest'ultimo- di recidere con irresponsabile disinvoltura il rapporto con la sua cultura e le sue radici. Gli "eretici" del 1969 si ergono oggi a custodi dell'ortodossia? Detta così, naturalmente, è una forzatura. Ma pure vale la pena di riflettere sul crinale generazionale che - sconvolgendo i tradizionali schieramenti interni al mondo comunista - vede per la prima volta schierati insieme in difesa del togliattismo quelli del "Manifesto" e della sinistra ingraiana non solo con Cossutta, ma con parte della destra del Pci, da Bufalini aNatta a Macaluso aPajetta. , "Il Manifesto" sostiene che la svendita frettolosa della tradizione e della cultura del partito, operata dai suoi nuovi dirigenti quarantenni, si traduce immediatamente nella perdita della stessa connotazione anticapitalistica a esse collegata. . È il caso, allora, di sottolineare subito una differenza sostanziale fra questo tipo di critica e quella che fu, a suo tempo, la critica "anti-revisionistica" di sessantottina memoria: allora- seppur ammantata di citazioni dogmatiche, di ingenui richiami emme-elle ai testi sacri - la critica al Pci, come è già stato più volte notato, prendeva di mira sostanzialmente proprio il togliattismo, inteso come ideologia del doppio binario e della doppia ve4 Togliatti con la redazione torinese de "L'Unità" nel 1946. rità. Denunciando, come immediata conseguenza, il sottrarsi del- !' apparato comunista alle verifiche della democrazia di base e quindi l'estraneità del suo apparato burocratico ai movimenti. Oggi, ali' opposto, Rossanda e "il Manifesto" sembrano indicare nel controverso nesso Terza Internazionale - "via italiana al socialismo" l'elemento fondativo da preservarsi, per innestare su di esso il rinnovamento comunista. Tutto è cominciato con Gorbaciov e la riscoperta dell 'Urss. Quasi che la coraggiosa politica di movimento del nuovo segretario del Pcus, la perestrojka, la disperata reazione alla catastrofe del sistema sovietico, rilanciassero se non un "modello" quan-. to meno un "campo socialista" con cui identificarsi. Così il collettivo del "Manifesto", che negli anni Settanta aveva elaborato un'approfondita analisi di classe del capitalismo di Stato sovietico e degli interessi rappresentati dal regime del Pcus, frettolosamente ha preferito soprassedere, ritornando de facto a far propria la vecchia teoria dell'Unione Sovietica come "Stato socialista degenerato", ed esprimendo quindi di fronte alla nuova vitalità dei suoi dirigenti qualcosa di più che una sia pur forte solidarietà: ovvero una inedita, sostanziale identità con il "gorbaciovismo", in-, dicato e fatto proprio come forma'moderna del comunismo. Il passo successivo è venuto dopo la tragedia comunista di piazza Tien An Men. Una singolare coincidenza ha voluto che uscissero lo stesso giorno, venerdì 9 giugno, due riflessioni, entrambe appassionate, ma diametralmente opposte, su quell 'evento decisivo: l'analisi di Norberto Bobbio, volta a sottolineare co-
me la "catastrofe del comunismo storico" non significasse affatto di per sé la vittoria della democrazia liberale - lasciando irrisolta l'immensa, lacerante contraddizione dei tempi nostri, cioè quella fraNord e Sud del mondo, e lasciando quindi del tutto aperti i problemi su cui si era infranta la sfida comunista; e la riflessione tutta autobiografica di Rossanda sulla difficoltà di essere comunisti oggi. È un testo rivelatore, quest'ultimo. Alcune sue "cadute" ·narcisistiche, infatti, a mio parere non possono essere considerate un semplice problema di stile, un incidente letterario. Riflettono al contrario una sostanziale indisponibilità alla revisione critica del proprio percorso intellettuale, sicché diviene inevitabile ricorrere a una lettura di tipo estetico prima ancora che politico di unitinerario. Al punto che se dovessi scegliere una frase-chiave di quello scritto, indicherei questa: "Era bello essere giovani, povere, colte e comuniste, guardate con sospetto". Tutto lo sforzo pare rivolto cioè a rivendicare la propria personale coerenza, e la propria coscienza pulita, anziché a riflettere sui disastri che caratterizzano la vicenda del movimento comunista. La tesi di fondo, anche se mai esplicitata, pare essere la seguente: nonostante Stalin, nonostante la struttura antidemocratica del Pci, chiunque in Italia volesse schierarsi efficacemente dalla parte degli oppressi e della trasformazione sociale non poteva fare altro che stare con quel partito comunista, col partito comunista di Togliatti. Stare dalla parte giusta, inevitabilmente comportava anche sopportare le infamie dei regimi dell'est, l'invasione dell 'Ungheria, l'integralismo della cultura comunista. Eccetera eccetera. "Noi però eravamo nati nel tempo giusto e nel posto giusto, eravamo fuori dal peggio." ... "Il bisogno delle mani pulite è una ingenuità dei comunisti - gli altri neanche fingevano di averle, né si addossavano per questo tutte le colpe." Che dire, allora, di quelli che non ci stavano, e lasciavano il Pci? Troppe "miserande crisi d'anima" si risolvevano "perlopiù in un mucchietto di posti, incarichi, soldi". Il mantenimento, invece, di un rapporto con la base operaia e popolare del Pci, bastava a giustificare sul piano etico una scelta di schieramento. Chi non ci stava, quando non era un traditore, si limitava comunque a un ruolo di testimonianza impotente. È, questo, uno schema in base al quale finisce per trovare spiegazione se non il disprezzo quanto meno il disconoscimento nei confronti di tanti nobili percorsi intellettuali che a quel ricatto - stare con Togliatti per stare contro i padroni - non si piegarono. Senza per questo rinunciare a una propria identità rivoluzionaria o comunque di oppositori. Sia che si trattasse di figure estranee alla tradizione comunista (Raniero Panzieri, Aldo Capitini, Franco Antonicelli), sia che vi fossero interni (Umberto Terracini). Alla fine lo schema di Rossanda porta a sostenere che non si può essere anticapitalisti se non si è comunisti, se non si fa propria la concezione prima leninista e poi togliattiana della politica e del rapporto fra partito e masse. Sorvolando, fra l'altro, su quale fosse l'effettivo grado d'impegno anticapitalistico di Togliatti, e di che natura, invece, la sua costante attenzione al rapporto con la Dc. Si spiega così in termini puramente accidentali la stessa fuoriuscita del gruppo del "Manifesto" dal Pci. Che se ottusamente il vertice comunista non li avesse buttati fuori nel '69, è improbabile che quelli del "Manifesto" se ne sarebbero andati con le loro gambe. Lo lascia intendere la stessaRossanda in un articolo del 23 agosto scritto in polemica con i liquidatori di Togliatti: "Consideriamo una sorte fortunata che il Pci ci abbia allora liberati di sé. Questo fa di noi gente che può guardare, senza stracciarsi le vesti, al passato e al presente". IL CONTESTO Rossana Rossanda in una foto di Giovanni Giovannetti (G. Neri). Naturalmente sarebbe di per sé ozioso denunciare l 'appartenenza di un gruppo di intellettuali a una tradizione culturale, solo perché essa ci è estranea e l'abbiamo sempre criticata. Ma il fatto è che quella tradizione viene enfatizzata fino ad attribuirle caratteristiche omnicomprensive inaccettabili, come vedremo. Si nega infatti, e Rossanda lo ha fatto con un maggior rigore teorico su "Democrazia e diritto" - in uno scritto critico riguardo alla scelta del Pci di far propria la posizione di principio nonviolenta-che possa darsi oggi al di fuori della tradizione comunista altro che una:visione residuale del conflitto. La rimessa in discussione della concezione leninista della violenza, comporterebbe automaticamente-e davvero non si capisce il perchéla caduta dell'ipotesi conflittuale, ovvero - alla fin fine - l'acquiescenza allo stato di cose presenti. Tale affermazione, che comporta una netta presa di distanze teorica dalle forme di conflitto caratterizzanti i nuovi movimenti, dal femminismo all'ecologismo fino alla stessa lotta per l'affermazione dei diritti di cittadinanza, si fonda necessariamente su di una lettura che più sopra ho definito omnicomprensiva della tradizione comunista nel nostro paese. Non solo, ripensando agli anni Cinquanta, si dà per necessitata e inevitabile la scelta di campo compiuta allora. Ma rileggendo i decenni successi vi si assegna al Pci una funzione che non ha avuto affatto. Rossanda allude a una sintonia, se non addirittura a una consustanzialità, fra la politica del Pci e il dispiegarsi dei nuovi movimenti, che non trova riscontro nella realtà. Davvero mi pare innegabile che i conflitti e i movimenti degli anni Sessanta costituirono- in termini di connotazioni sociali, culture, linguaggi, modalità organizzative, obiettivi, dinamiche conflittuali - una drastica rottura con il togliattismo e la tradizione comunista. Non è sufficiente l'obiezione secondo cui tali movimenti avrebbero comunque prodotto l'effetto politico di rafforzare il Pci sul piano elettorale, organizzativo, di potere, di egemonia culturale. Questo è vero, ma non si spiega la successiva rottura, la prolungata incomunicabilità fra Pci e giovani, la sclerosi del movimento sindacale, senza riconoscere che il Pci fu un contenitore del tutto strumentale e provvisorio di quei movimenti, essendo la sua cultura fondamentalmente estranea a essi. Datare solo gli anni della "solidarietà nazionale", cioè alla seconda metà dei Settanta, la rottura del Pci con i movimenti e l' in5
IL CONTESTO crinarsi della sua base sociale, significa a mio parere incorrere in un errore di politicismo, rimuovere la precedente estraneità sostanziale del Pci alla rivolta studentesca, e dimenticare che gli stessi protagonisti delle lotte operaie si mossero su di una lunghezza d'onda tutt'affatto diversa, solo in seguito- e solo parzialmente, provvisoriamente - ricomposta nel movimento dei consigli di fabbrica. Insomma, è già negli anni Sessanta che il togliattismo va in crisi, prima an_corache la "catastrofe del comunismo storico" sancisca il venir meno di modelli e riferimenti internazionali. Da questo punto di vista, lo sforzo del "Manifesto" di coniugare insieme la tradizione comunista e le nuove culture emerse dai movimenti, che pure si è tradotto in una funzione importante di raccordo, oggi mostra tutti i suoi limiti. Perché, ad esempio, il femminismo, l'ecologismo e la cultura della nonviolenza che vanno acquistando un loro peso significativo all'interno del nuovo corso comunista, davvero sono inconciliabili con la concezione togliattiana della politica e dell'organizzazione. . E allora questa specie di ritorno al passato del "Manifesto" rischia di connotarsi come un'operazione ideologica, ovvero come l'inaccettabile intento di selezionare in base all'ideologia chi è di sinistra e chi no. Davvero non ne sentivamo il bisogno. La continuità impossibile Come guardare all'Est MarcelloFlores La cronaca dell'Unione Sovietica è stata dominata, negli ultimi mesi, dalle vicende costituzionali e da quelle relative alle manifestazioni, proteste, iniziative legate in qualche modo alla questione delle nazionalità. La formazione, nel Soviet Supremo, di un gruppoparlamentare di evidente tendenza radical-democratica, organizzatosi con lo scopo di accelerare il processo di rinnovamento iniziato da Gorbaciov con una congiunta azione dal basso e dentro le istituzioni, ha rappresentato una novità difficilmente contestabile. Quello che nessun commentatore ha avuto l' onestà di puntualizzare, è che il processo di democratizzazione in Unione Sovietica non solo non può avvenire attraverso la semplice introduzione dei meccanismi della democrazia parlamentare, ma, ove ciò avvenisse, sarebbe destinato semplicemente al fallimento. Quello di cui non si ha forse piena coscienza, e che Moshe Lewin ha ben messo in evidenza in LaRussia in unanuovaera (Bollati-Boringhieri1988), è che i mutamenti profondi che hanno conosciuto in Urss le forme di una rivoluzionedall'alto, sono avvenuti sulla base di mutazioni materiali e sociali che non potevano più essere gestite con il sistema stalinian-brezneviano. Non è stata dunque una richiesta di democrazia - pur se questa esisteva evidentemente nel corpo sociale e si manifestava puntualmente - a mettere in moto la perestrojka e la glasnost, ma la contraddizione, per parafrasare termini marxisti, tra lo sviluppo delle forze produttive e della realtà sociale ed il sistema politico ed istituzionale esistente. Secondo una modalità che richiama con forza, pur in un contesto storico assai diverso, l'esperienza europea e russa del dispotismo illuminato. Per metterla ancora più chiaramente, ed in modo ovviamente schematico, occorre dire con chiarezza che la sconfitta storica del comunismo non può coincidere, come vorrebbe un'opinione pubblica totalmente succube all'ideologia neoliberale dominante, con la vittoria della democrazia: perché è una sconfitta che nasce dalle contraddizioni interne, ed in cui il ruolo di ideologie esterne può solo essere parziale e strumentale. La situazione di Gorbaciov sembra paradossalmente opposta a quella in cui si trovò Lenin, anche se i due dirigenti sembrano accomunati da uno stesso duttile e determinato realismo. Lenin aveva alle spalle un'ideologia ed uri programma che sembravano rispondere ad ogni esigenza, ma doveva scontare un'arretratezza economica e strutturale eccessiva per il fine propostosi (il socialismo), pagando a caro prezzo il fallimento della prevista e necessaria rivoluzione europea. 6 Gorbaciov non ha alcun preciso programma, e la forza della sua posizione sembra risiedere nella spinta di una società e di un'economia ormai troppo cresciute per il sistema e nel radicale mutamento di prospettiva che irapporti internazionali devono attuare se si vuole salvare l'umanità e la terra da catastrofi non troppo lontane. IIpunto di partenza di Gorbaciov, come era stato quello di Lenin, risiedeva dunque in una valutazione della realtà mondiale. Per il capo bolscevico la fiducia nella imminente rivoluzione mondiale, per il leader sovietico la convinzione che la salvezza dell'umanità e delle prossime generazioni può fondarsi soltanto su un reale e completo superamento delle contrapposizioni e dei blocchi creatisi nel Novecerito tra i differenti sistemi socio-politici e le diverse ideologie. Gorbaciov, in sostanza, ha suggerito che le evoluzioni ed i mutamenti, necessari ovunque, avvengano tenendo presente la tradizione, la storia e la concreta realtà di ogni paese, evitando rotture e capovolgimenti improvvisi. Solo un miope ed imbelle attardarsi a valori e mentalità ormai estranei alla situazione esistente (e che tuttavia son ben lungi dallo sparire, soprattutto in chi trasmette ideologie e produce i luoghi comuni della psicologia collettiva) può illudersi di ridurre questo complesso processo di mutazione storica ad una tardiva resa dei conti tra sistemi ed ideologie che sono ormai ugualmente sorpassate e obsolete. Non sono dunque la libertà e la democrazia che finalmente prorompono nel cuore stesso del totalitarismo da esse sconfitto, ma è l'aprirsi di un nuovo orizzonte che non serve a nes-. suno delineare e raccontare con tratti e categorie vuote, buone per fare la storia ma incapaci di pensare e interpretare il presente. II dissolvimento- lento e tutt'altro che automatico- del sistema degli stati socialisti, e la dimostrata incapacità della dottrina e del pensiero comunista di identificarsi e rispondere ai nuovi e vecchi bisogni di una società migliore, pongono all'ordine del giorno la creazione di nuovi orientamenti, programmi,. proposte, idee per affrontare i problemi esistenti nell'ottica del nuovo millennio, non del vecchio. E ciò non può certo avvenire con la ug-. giosa e sterile rimasticatura di categorie ottocentesche e di un pensiero indebolitosi fin quasi allo sfinimento. Se l'uscita dal comunismo è una necessità storica, un'esigenza altrettanto reale è quella di ridefinire le problematiche della libertà e dell'uguaglianza in modo del tutto nuovo, non più sulla falsariga dell' orizzonte quarantottesco (1848), ma affrontando le nuove questioni sul tappeto, molte delle quali riemergono in tutta la loro dramma-
ticità proprio dagli avvenimenti in corso in Unione Sovietica. Forse per la prima volta da tempo, si avverte motivo di soddisfazione di fronte alle dichiarazioni di incertezza e di confusione (che non vuol certo dire mancanza di idee-guida o di valori da propugnare), mentre diventa sempre più intollerabile la vuota sicumera di chi ha una risposta pertutto, di chi incasella prontamente ogni nuovo problema nei formalismi barocchi di una astratta e· formale razionalità. Le preoccupazioni, ad esempio, espresse da Juri Afanasiev al congresso radicale alla vigilia del Plenum sulle nazionalità che affronterà nei prossimi giorni il soviet Supremo, pur se non accompagnate da alcuna rieetta, e forse proprio per questo, sono apparse il segno di un modo di fare politica in disuso ormai da tempo anche presso i più radicali alternati visti ed oppositori nostrani. Mentre anche da noi si inizia, con ritardi e reticenze, a parlare di razzismo, basterebbe forse elencare tutti i problemi che sono racchiusi nella questione nazionale che travaglia oggi l'Unione Sovietica per capire come sia più facile dare risposte sbagliate che imboccare la strada giusta. A cosa bisognerebbe infatti che le autorità sovietiche orientassero la loro azione per ricevere il plauso dei maestri di democrazia che infestano i mass-media come cavallette? Ai principi di autonomia o a quelli della democrazia maggioritaria, al richiamo giuridico ai confini sanciti da trattati riconosciuti da tutti o al riconoscimento realista di una realtà che ha ormai cinquant'anni quando non parecchi di più? Al diritto di chi ha vinto la guerra - come è avvenuto del resto per i paesi del blocco orientale e per i figli prediletti dell'occidente postbellico (Germania, Italia, Grecia, Turchia) o al bisogno attuale di rapporti internazionali improntati al pacifismo e alla collaborazione? Come dipanare, in aggiunta, le differenti componenti (etnica, culturale, economica, sociale, istituzionale, religiosa, simbolica) che tutte insieme contribuiscono a formare la questione nazionale, e il cui peso relativo è completamente diverso in Moldavia o nel Baltico, in Georgia o in Uzbekistan? Siamo sicuri che basti richiamarsi a principi di autonomia e democrazia per risolvere questo groviglio che è l'immagine anticipata e più genuina di un mondo ormai modificato da nuove migrazioni e nuove convivenze coatte, dalla perdita e ricerca di identità collettive e dal tramontare e risorgere di ideologie, irrazionalismi, fanatismi e superstizioni di massa che surrogano e cementano una disgregazione sociale sempre più acuta? Hanno diritto le zone più avanln alto: Stalin padre dei popoli, fotomontaggio sovietico degli anni Trenta. Sotto: minatori polacchi in una foto di Caio Garrubba. IL CONTESTO zate (sia in termini economici, di benessere, ma anche di cultura e tradizioni) di pretendere l'autonomia? E perché non anche quelle che potrebbero rischiarè di ingrossare le aree della miseria e del fanatismo religioso? Si è certi che i più progrediti baltici saprebbero difendere i diritti delle minoranze slave meglio di quanto avviene in Georgia e in Uzbekistan, dove si propone contraddittoriamente che si conceda democrazia a maggioranze che son pronte a calpestare ed opprimere le più svariate minoranze cui la geografia e la storia, la genetica e la demografia hanno dato in sorte di sopravvivere od installarsi? 7
IL CONTESTO Chi si è dichiarato pronto a derogare dal principio ogni uomo un voto per il Sudafrica, per timore di un bagno di sangue ai danni della più civile razza del pianeta, non sembra disposto a farlo se il bagno di sangue dovesse colpire comunisti o altri storici nemici del capitalismo liberale; così come chi lo valuta un principio irrinunciabile per l'occidente sembra pronto a fare delle eccezioni in nome di passati e presunti meriti rivoluzionari. Se una cosa appare con chiarezza da una lettura sobria e disincantata degli avvenimenti sov.ietici, è che prendere partito tra coppie di valori e concetti che la tradizione ci ha consegnato come storicamente dicotomiche ed inconciliabili (tra centralismo e autonomia, tra democrazia localistica e rispetto degli interessi generali, tra identità nazionale giuridico-formale e senso di appartènenza ad una razza, etnia, cultura, religione, tra democrazia come dittatura della maggioranza e dispotismo come imposizione di regole che a volte suonano difesa dei deboli o dalle sopraffazioni) è ormai non solo impossibile ma cieco e dannoso. Quello che accade in Urss e nei paesi dell'Europa orientale, inoltre, induce a valutazioni e considerazioni altrettanto drammatiche e difficili da esprimere con coerenza e lucidità. Lì l'obiettivo per cui si lotta e si rischia è spesso nient'altro che la richiesta di voto, una richiesta per cui nessuno più, da noi, sembra disposto non già a morire ma neppure a spendere tempo ed idee. La noia e la depressione culturale e ideale su cui tanto si discetta alternativamente in tutte le avanzate democrazie europee, sembrano inesistenti in Urss, dove c'è miseria ma anche solidarietà, dove i disagi materiali occupano la maggior parte del tempo a disposizione ma sembrano anche stimolare partecipazione, voglia di cambiamento, ricerca e riscoperta di valori e conflitti che diano un senso alla vita e al futuro. Bisogna dedurne, col cinismo di chi è satollo, che moralmente è più salubre una società in cui gli ostacoli sono tanti e i desideri da realizzare molteplici, o bisogna accondiscendere al luogo comune che lega Popper ad Alberoni (e tutti quelli che ci sono in mezzo) secondo cui non c'è mai stato un mondo migliore del nostro occidente tecnologico e rinascimentale? Se una situazione rivoluzionaria è quella in cui non solo si modificano e trasformano con rapidità inusuale tutti i rapporti su cui si fonda una società, ma che permette di trasformare i valori, le credenze, il modo stesso di percepire la realtà, la Russia si presenta di nuovo, a settant'anni dall'Ottobre, con le stigmate di unarivoluzione in corso. Se non saremo capaci di osservarla anche noi con l'apertura, la curiosità, la spregiudicatezza che la situazione richiede, e ci arroccheremo invece nelle stolide certezze da cui siamo quotidianamente bombardati e in cui rischiamo di annegare senza accorgercene, l'unica speranza è che si abbia il buon gusto di tacere e non si attribuiscano le difficoltà e gli eventuali smacchi del rinnovamento in corso in Urss al non aver dato retta a chi identifica le proprie costose banalità con il pensiero di una impalpabile e sfuggente opinione pubblica. Otto giorni a Mosca a discutere del mondo dopo il comunismo · Gian Giacomo Migone Il tradizionale seminario sui rapporti Est-Ovest e sugli armamenti, organizzato dall'Università della California e da quella del Sussex, si è svolto quest'anno a Mosca grazie alla còllaborazione dell'Istituto per le relazioni internazionali del ministero degli Esteri sovietico. Ha assunto così un carattere particolare, anche perché Mary Kaldor - responsabile per l'Università del Sussex -ha concordato con gli ospiti sovietici la partecipazione, in qualità di relatori, di autorevoli personaggi dell'opposizione polacca e ungherese che si sono trovati a discutere attorno allo stesso tavolo con europei, sovietici e americani. Ecco il diario di quei giorni. 91uglio Siamo tutti alloggiati nel campus dell'Istituto di relazioni internazionali del ministero degli Esteri sovietico: il luogo in cui vengono addestrati abitualmente futuri diplomatici dei paesi del- !'Est e del Terzo mondo. Mi si dice che è la prima volta che vi sono ospitati degli occidentali. Camere semplici ma pulite, anche se mi fa sorridere l'idea delle reazioni di alcuni prestigiosi colleghi di mezza età ad una sistemazione così spartanamente studentesca. Chissà se anche Brzezinsky si dovrà accontentare di un lettino, una scrivania e una sedia. Mary Kaldor mi racconta la novità del giorno: poiché Geremek non poteva abbandonare Bush, in visita a Varsavia, ha provveduto a sostituirlo con Adam Michnik (le comunico che il Corriere ha già riportato la notizia). Il fatto è che i visti dei dissidenti richiedono l'ok delle rispettive ambasciate a Mosca- è questo il patto fra gli organizzatori - e quello dell'ambasciata polacca 8 tarda ad arrivare, malgrado Michnik sia ormai deputato al Parlamento. Siamo ora nella paradossale situazione in cui Michnik ha comunicato che viene lo stesso - ai polacchi non occorre visto sovietico- e il ministero sovietico cerca di convincere l'ambasciata polacca a lasciar fare. 10 luglio Giornata piena di avvenimenti che si conclude con un colpo di teatro. Ma cominciamo dal!' inizio. Questa mattina inizia il seminario. In effetti la libertà di discussione è stata totale. Dopo brevi saluti del responsabile sovietico (professor Yuri Dubinin), americano e inglese (Mary Kaldor) dell'iniziativa. Poi tocca a me tenere la prima lezione. Seguirà una lunga discussione, a botta e risposta, che durerà l'intera mattinata. Svolgo i miei soliti temi: la guerra fredda nasce con la spartizione dell'Europa tra le due superpotenze che si legittimal}Oa vicenda, contrapponendosi. Ne. consegue il regime a sovranità limitata che con diverse modalità - assai più pesanti ad Est- viene imposto ad alleati minori e satelliti. La contrapposizione nucleare viene usata strumenta)mente per determinare una emergenza permanente che serve a stabilire una disciplina politica e sociale interna ai due blocchi e ai suoi singoli componenti. È un'argomentazione che ha l'effetto, ormai collaudato, di irritare sia i sovietici che americani. I gorbacioviani ormai accettano una misura di responsabilità per la guerra fredda, ma non amano essere accusati di connivenza, sia pure oggettiva, con gli americani, e soprattutto rivelano qualche imbarazzo (per lo più accennato) di fronte ad un'analisi che delegittima governi ancora ad es-
si alleati. Gli americani, se sono di destra, come il rappresentante della Rand corporation, a loro volta non amano che si parli di sovranità limitata in Occidente, mentre quelli di sinistra, pure presenti (per di più dell'Università della California), si rifanno alla storiografia revisionata che attribuisce a Truman quasi tutta la responsabilità della guerra fredda. Invece, ungheresi e polacchi aggiungono particolari piccanti all'analisi della presa di potere sovietica nei loro rispettivi paesi. Céchi e tedeschi dell'Est non partecipano quasi alla discussione. Insomma, si determina una curiosa dialettica che contrappone europei dell'Ovest e dell'Est a sovietici ed americani, anche se la dialettica tra costoro è vivace. Nella sessione pomeridiana, introdotta dalla professoressa Alla A. Yaz'kova dell'Istituto economico del sistema socialista mondiale (così si chiama, letteralmente), scoppia la diaspora tra IL CONTESTO che se ne lamentano vivacemente. Ciò che colpisce è la varietà e la vivacità dei dissensi tra sovietici. Anche se sono presenti le vecchie tesi, questa pluralità di posizioni riscatta ampiamente la glasnost. Lo stesso scenario si ripete in forma ancora più tesa dietro le quinte del seminario. Durante la colazione nella mensa studentesca scoppia un altro incidente, mentre si attende con qualche ansia l'arrivo di Michnik nel tardo pomeriggio. Arriva una turista céca che porta una relazione scritta da Jaroslav Sàbata. Professore universitario, Sàbata è un me!Tlbro illustre e cofondatore di Charta 77, il principale movimento di opposizione in Cecoslovacchia. Egli era stato invitato ufficialmente al seminario ma non è riuscito a raggiungere Mosca a causa dell'opposizione del governo del suo paese. Tuttavia attraverso questo stratagemma, è riuTorre 2 ~ ~i San Nicola ,Mausoleo di Lenin Monumento al Soldato Ignoto \ \ 5 , \ \ \ ; : \ . ' \ ' •Torre del Salvatore ,, . ' Torre della · Posto di guardia Torre Kutaf'ja-,_ entrata e us · Aleks " Piazza Rossa hl? Torre [y\±:B::òl'I 0/'i d)6 Borovic .:v.:.-'!!t 15- \ ~J ·A--~-~ .. ; ~ .) ) "','I ja r~~ . ~ r/"'", c":}'7 . ~ (: t' j re dell'acqu~~,rfl~r(> 0 , trt1111111'"" n.,""\"Y t ,, .,,u•~~~ -==-.:§=" ----=· ~ ('3J~'-j-- I ~~' \ I Torre Tajnickaja Moscova ~'-<- 0 14 Pianta del Cremlino (Arch. Garzanti). i sovietici. Infatti, la Yaz'kova si rifa alla storiografia di sinistra americana, per distinguere tra origini e sviluppo della guerra fredda. Pur dichiarandosi ripetutamente antistalinista, la relatrice sostiene che è Hiroshima, con il conseguente ricatto nucleare americano, a far scoppiare la guerra fredda a cui pure i sovietici successivamente avrebbero contribuito accelerandone gli sviluppi. Subito Yuri Dubinin che presiede le si contrappone con alcuni rapidi interrogativi. Com 'è possibile che i crimini di Stalin non abbiano avuto alcuna influenza sullo scoppio della guerra fredda? Viene ulteriormente incalzata dal professor Istvan Rév, illustre sociologo di Budapest, che le fa notare come, nel dopoguerra, i comunisti provenienti da Mosca siano riusciti a ottenere l'arresto del leader comunista dell'interno. Insomma, gli intrighi stalinìani nei paesi dell'Est sono ben anteriori alla svolta del 1947. Interessante la discussione sulle fonti storiche sovietiche. Malgrado l'argomento sia stato duramente dibattuto al Congresso della nazionalità, a proposito del protocollo Ribbentrop-Molotov, gli archivi sovietici restano chiusi anche gli studiosi locali scito a farci avere la sua relazione scritta. Malgrado qualche nervosismo degli ospiti sovietici, si raggiunge un faticoso compromesso: Sàbata non potrà essere rappresentato dalla sua inviata, ma il suo intervento sarà letto e discusso nel seminario. Dopo la fine della seduta pomeridiana, si prepara l'arrivo di Michnik da Varsavia, reduce dall'incontro con George Bush. Come ancora spesso capita in questo paese - ma non solo in questo - quando la diplomazia si inceppa si trasforma in una sorta di burocrazia dei minuti dettagli. Poiché Michnik è soltanto un osservatore - tale è il compromesso negoziato da Mary Kaldor - la macchina dell'istituto non potrà prelevarlo. A questo punto con Mary Kaldor e un 'altra partecipante inglese decidiamo di rinunciare al banchetto ufficiale per accogliere Michnik all'aeroporto. i sovietici acconsentono ad accompagnarci perché la macchina ufficiale deve ricevere Mient-Jan Faber, pastore protestante e leader del movimento pacifista olandese, il più grande del mondo in proporzione alla popolazione. Mient-Jan arriva e sconcerta ulteriormente i nostri ospiti rifiutandosi di rientrare in istituto con la macchina per unirsi alla piccola delegazione che riceverà Michnik. Nel frattempo apprendiamo che Michnik è sul volo da Var9
IL CONTESTO savia e che altri settori della burocrazia sovietica, vicina a Gorbaciov (che, non a caso, ha adombrato la possibilità di un viaggio di Walesa a Mosca) ne hanno favorito l'arrivo. Comprendiamo che il nervosismo sovietico intorno a questo arrivo è determinato dalla tensione che regna nei rapporti con le ambasciate dell'Est. Tanto per ravvivare ulteriormente la situazione, se ve ne fosse bisogno, quelli di Solidarnosc e i loro amici di Mosca hanno organizzato un ulteriore colpo di scena. Al festival del cinema in corso a Mosca, Andrzej Wayda - presidente della giuria - ha organizzato la sua conferenza stampa in un oratorio che, guarda caso, coincide con l'orario di arrivo di Michnik. Il quale arriva, ci saluta allegramente, bacia la mano a Mary Kaldor con cavalleria polacca, per poi precipitarsi a raggiungere il palcoscenico che il suo amìco Wayda gli ha così sapientemente preparato. Al palazzo ove ha sede il festival del cinema, l'atmosfera è febbrile, e la sala a scalinata è stracolma, ricorda quella di un' assemblea sessantottina, con aspiranti attrici étlposto delle studentesse. Michnik viene presentato da Wayda, è balbu:;z:iente anche brillante, mi dicono, perché non capisco niente: parla in polacco e viene tradotto in una lingua che mi sembra pure polacca, ma che è russa. Parla liberamente, inutile dirlo, ma con rispetto nei confronti delle riforme di Gorbaciov. Dopo un'ora sospende la con- . ferenza stampa, mentre noi rientriamo in istituto, Faber è stanco dopo il viaggio, e noi vogliamo assicurarci che la stanza per Michnik sia pronta. Sono quasi le due del mattino, scrivo queste righe mentre attendo che l' or:i.Michnik bussi alla mia porta per farsi dare la chiave della sua stanza che mi è stata affidata dai nostri ospiti sovietici (il portone della foresteria è aperto e non sorvegliato, nella Mosca di Gorbaciov). 11 luglio Mi sveglio presto e constato che Michnik non è arrivato nel corso della notte. Che fine avrà fatto? In realtà nulla di misterioso; scopriremo che è stato ospitato da Bernard Guetta, corrispondente di Le Monde, che per molti anni è stato a Varsavia. Arriverà puntualmente per la sessione pomeridiana del seminario in cui è previsto che parli. È stato scelto quel momento perché sarà Mary a presiedere e, dunque, non potranno esserci sorprese. La mattina è dedicata alle riforme economiche della perestrojka. La discussione è interessante perché è stato predisposto quello che di fatto sarà un contraddittorio tra Valdimir Popov, giovane economista radical-riformista - costoro in Unione Sovietica vengono definiti di sinistra, anche se sono di tendenza liberale e talvolta liberista, mentre gli ortodossi sono la destra- e il ministro consigliere dell'ambasciata austriaca, Martin Seideck. Successivamente Franz Koessler della televisione austriaca mi spiegherà che Seideck è un uomò assai influente da molti anni a Mosca, prima come rappresentante della Credit Anstalt, incaricato dei rapporti commerciali e persino amico personale di Waldheim. Infatti, si svilupperà un vero e proprio scontro. Popov spiega che bisogna andare avanti in maniera spedita con le riforme: occorre abolire le imprese agricole statali, liberalizzare il mercato, trovare crediti per finanziare il tutto, produrre ciò che è possibile per il consumo interno, tagliando le spese militari. Seideck gli fa notare che i sovietici non riusciranno a pagare i loro debiti. Usa come esempio la loro capacità di espor,tare in Austria le loro automobili che finiscono per non essere competitive, malgrado i loro bassi costi di produzione, perché hanno alcuni pezzi che devono essere sostituiti sul mercato- di arrivo, e ciò avviene a costi altissimi, comprando singoli pezzi che, quanto meno, dovrebbero essere acquistati in blocco. Popov è bravo, intelligente, entusiasta. Tuttavia deve sudare parecchio, soprattutto nel momento in cui l'attacco nei suoi con10 fronti si fa concentrico. Popov aveva detto: "A ciascuno secondo le sue capacità". Mary Kaldor obbietta che sulla sua tessera del Labor party c'è anche scritto: "A ciascuno secondo i suoi bisogni". Faccio colazione con Furio Cerutti, filosofo della politica di Firenze, e con un curioso personaggio sovietico. Egli è evidentemente abituato a parlare con gli occidentali e a soddisfare le loro curiosità anche se l'impressione che proietta è di scetticismo: Gorbaèiov è un accidente della storia - era l'unico giovane disponibile dopo la morte dei tre vecchi: Breznev, Andropov, Cernenko, essendo Romanov notoriamente alcolizzato. Non ha una sua base di potere, essendo un provinciale'. Non è vero che il Kgb lo ha sostenuto (Andropov è un mito), la nomenklatura è opportunista, anche se riceve da lui tolleranza per i propri peccati. C'è corruzione e soprattutto distanza dalla gente perché chi dovrebbe provvedere non ne condivide i problemi, imbevuti come sono i dirigenti dei propri privilegi. La stessa posizione di Gorbaciov sarebbe fortemente indebolita a causa della sua crescente impopolarità: il popolo russo sta materialmente peggio ed è sempre più intollerante delle promesse di Gorbaciov a cui non corrisponderebbero i fatti. Le libertà accontentano gli intellettuali ma riguardano poco la gente comune. È un messaggio di sfiducia che rasenta il cinismo e che tradisce un atteggiamento essenzialmente conservatore. , Nel pomeriggio arriva Michnik puntuale a condividere il ruolo di relatore con il professor Kravcencko dell'istituto ospitante e con Jonathan Stee!, il corrispondente del Guardian chiaramente èntusiasta della perestrojka di cui elenca le novità politiche, a cominciare da un nuovo capo del Kgb che ha incontrato ali 'uscita del hearing del Soviet supremo al cui controllo è ormai sottoposta la sua organizzazione e che non ha esitato a rivelargli la storia del suicidio del marinaio americano spia sovietica. Michnik legge un breve intervento assai diplomatico e lusinghiero per la perestrojka di cui sottolinea i benefici per il dissenso polacco e l'effetto acceleratore che ha determinato sulle riforme del suo paese. "Gli articoli sull'Unione Sovietica che cominciavano ad apparire nella stampa ufficiale polacca (Trybuna Ludu) dicevano cose che a mala pena riuscivamo a dire in quella clandestina". La parte più emozionante del discorso di Michnik è un lungo elenco, puntigliosamente scandito, di scrittori russi dissenzienti che hanno influenzato e talora, ispirato l'opposizione polacca. I nostri ospiti sovietici assistono ormai pacificati - poi · Michnik ci dirà che ha negoziato un incontro con il Cc sovietico -e faranno dichiarazioni favorevoli sul suo intervento alla corrispondente della France presse. E ciò malgrado Michnik abbia concluso, delineando le diverse alternati ve che si aprono di fronte alla Polonia, con la premessa che "communism is no good for Poland". Michnik è un oratore rapido e brillante. Usa la sua baie buzie per sottolineare un punto o dare enfasi a un interrogativo. Le alternative sono, secondo lui, una democrazia di tipo europeo (occidentale) oppure "una soluzione conforme alle nostre radicietniche'', che si ispiri alla "democrazia diretta". Nella discussione sollevo questo secondo punto. Il problema è delicato perché non voglio certo attaccarlo di fronte ai sovietici. Perciò premetto che mi ritengo un cattolico di sinistra e, quindi, conosco bene le tentazioni integraliste insite in un 'azione politica dei cattolici, non mediata da tradizione e istituzioni liberal-democratiche. Michnik non elude il problema ma rincara la dose, segnalando il pericolo di quello che chiama un khomeinismo bianco inPolonia, che potrebbe nascere in seguito ad una modernizzazione forzata. Tuttavia, aggiunge, non sono io a inventarmi il problema: dovremo·trovare una mediazione tra la democrazia occidentale e la nostra cultura.
12 luglio È al centro della nostra discussione il discorso di Gorbaciov a Strasburgo che è stato letto con disattenzione dalla stampa occidentale, interpretato in chiave di ulteriore innovazione. In realtà Gorbaciov ha posto dei limiti alla sperimentazione consentita in est Europa - avvicinandosi al cuius regio eius religio - anche se ha ribadito il principio del non intervento. Il punto è: cosa capita se i due principi entrano in conflitto, come potrebbe facilmente capitare in Polonia, tanto per citare l'esempio più scontato. 13 luglio Quando scendo dalla mia stanza, questa mattina, nello spiazzo di fronte alla foresteria dove siamo alloggiati si verifica una curiosissima forma di conta. Ufficialmente la giornata è libera, il seminario è sospeso e gli organizzatori hanno predisposto un torpedone perun giro turistico dei partecipanti. Il fatto è che è stato contemporaneamente organizzato da alcuni dei partecipanti una discussione del documento di Sàbata presso l'Istituto economico per IÒstudio del sistema socialista mondiale (e dico poco), presieduto da Bogomolov, uno dei principali innovatori tra i collaboratori di Gorbaciov. C'è una conta, non esplicita ma politicamente assai significativa: da una parte del cortile si raggruppano i turisti, prevalentemente americani (gli ospiti sovietici giustamente si riposano); dall'altra, coloro che vogliono discutere il documento di Sàbata, in un'altra sede, ugualmente ufficiale, perché il "nostro" istituto non ha ammesso la presenza della rappresentante di Sàbata. Non. a.caso siamo tutti europei, dell'Ovest e dell'Est. Si è formata una solidarietà naturale tra europei occidentali e gli europei dell'Est più riformisti, mentre gli americani sono più distaccati, dialogano direttamente con i sovietici e talora quelli più conservatori invocano una seconda Jalta per mettere ordine nella confusione, anche se premettono che è bene non chiamarla s~condaJalta pernon offendere la nostra suscettibilità (di europei). Effettivamente di confusione ad Est ce n'è molta, anche se in senso positivo (si potrebbe chiamarla un'esplosione di pluralismo, come questo paese non l'ha mai conosciuto, dopo secoli di tirannia zarista e staliniana). Quella che dovrebbe, forse solo nella nostra immaginazione, essere una relazione clandestina, non solo si svolge in un istituto ufficiale quanto quello che normalmente ci ospita, ma ha luogo a un lungo tavolo, a cui sono presenti due esperti sovietici di economia cecoslovacca, campeggiano una bandiera sovietica e - per l'occasione---'- una cecoslovacca, è relatrice una "turista" cecoslovacca inviata da Sàbata che ci legge il suo documento. Sàbata ha scritto cose di grande interesse. Nella prima parte del documento analizza il processo di democratizzazione in atto in europa orientale e si pronuncia a favore di una federazione democratica di repubbliche sovietiche, autonome ma non indipendenti (come \/Orrebbero molti nei paesi baltici). La seconda parte è tutta dedicata ai rapporti, cruciali secondo l'autore, tra l'Urss e le due germanie. L'importanza della sua presa di posizione consiste nel fatto che un leader dissidente di un paese che storicamente ha ogni motivo di temere la Germania (oltre che l'Unione Sovietica) si pronuncia a favore della sua unificazione. Naturalmente egli colloca tale evento nel contesto di un 'Europa unita e pacifica. Ciò nonostante provoca la reazione di Michnik che qualifica come irresponsabili quegli storici polacchi, che in un convegno a Cracovia, hanno sostenuto la stessa tesi, mentre si limita a chiamare il documento di Sàbata-che definisce suo amico personale - "utopico". Alcuni di noi (Faber - che evidentemente ha superato passaIL CONTESTO Un brindisi di Gorbaciov (foto Sygma/G. Neri). ti timori olandesi della Germania- e chi scrive) argomentano che anche i tedeschi hanno diritto ali' autodeterminazione e che, se non si elimina la divisione e l'attuale statuto giuridico della germania, resta la legittimazione dell'insediamento delle due superpotenze in Europa centrale. Ma Michnik non ci sente da questo orecchio. Gli ungheresi, alla ricerca di analogie con l'esperienza e le procedure seguite dal loro paese, si chiedono se in Germania est gli intellettuali del partito sono stati autorizzati a preparare delle alternative tecniche allo status quo. Qualcuno risponde che sì e che la Ddr sul punto di adeguarsi al nuovo corso, ma con "le modalità che sono tipiche" di quello Stato (cioè, con ordine e disciplina). Per il resto tutti i partecipanti dell'est ripetutamente difendono il principio del non intervento sovietico non solo nei confronti dell'Ungheria e della Polonia, ma erga omnes. Ciò fa scoppiare una delle discussioni più emotive e più confuse di questi giorni. Mary Kaldor e Mient-J an Faber sostengono che non si può fare dell'intervento o, quanto meno, della non interferenza un feticcio: non vogliamo, dicono, che si interferisca dappertutto a favore della democrazia. In particolare viene citato il caso della Romania. Da·parte mia faccio notare che Gorbaciov è come un papa riformatore che ha difeso i teologi progressisti, ammettendoli al concilio, ma che non può reprimere i conservatori; che il principio di non intervento non favorisce la democrazia nel resto dell'Est, ma garantisce l'Ungheria e la Polonia (e gli ungheresi confermano); che, soprattutto, bisogna distinguere tra la pressione dell'opinione pubblica, compresa, quella dell'Est, e l'invocazione dell'intervento di una superpotenza che, sia pure per fini lodevoli, determina pericolosi precedenti. Gli altri fanno notare che la non interferenza sovietica di fatto rafforza i gruppi dirigenti conservatori in alcuni paesi dell'Est che considerano un'interferenza ogni dialogo con il loro dissenso interno (che di fatto è ciò che sta avvenendo in questi giorni a Mosca). Insomma, una bella discussione. Ne esco con un 'impressione contraddittoria: da una parte siamo riusciti a smuovere le acque (dei rapporti tra sovietici e dissidenti) ma dall'altro, al di là delle buone intenzioni, vi è il rischio di un'involontaria arroganza degli europei occidentali che spezzano il pane della democrazia ai loro fratelli dell'Est, sovietici riformatori compresi. insomma, è d1ffici1e·trovare un equilibrio. 11
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