Linea d'ombra - anno VII - n. 41 - settembre 1989

Disegno di David Sèher. Insomma: se davvero oggi i giornalisti possono scegliere se promuovere il consenso o i consumi, l' advertising alla Giuliano Ferrara che il giovedì sera invita a guardare Mike Bongiorno e a diffidare di Gambarotta appare l'alternativa più lungimirante. Perché si ha l'impressione che la prcxluzione di ideologia sia da tempo ridondante e il mercato del consenso particolarmente saturo. Gli editori dovranno pure accorgersi che siamo tutti convinti della necessità del libero mercato, della centralità dell'impresa e della sacralità del profitto e che gli irriducibili costituiscono un target talmente trascurabile da consigliare drastici tagli agli investimenti nel settore e una più razionale utilizzazione degli addetti. E si potrebbe forse ipotizzare che sia proprio un crescente senso di obsolescenza e di supetfluità a spingere questi ultimi sulla strada deir esagerazione e della gaffe (anche Bèniamino Placido ha ironizzato sugli apologeti ultra ideologici del quiz televisivo), ad abbandonare le tecniche persuasive più soft a favore di forme scopertamente propagandistiche quali l'appello, l'invettiva, l'insulto diretto a quanti non condividono il loro grintoso ottimismo. Che sarà senz'altro moderno e modernizzante, ma ricorda curiosamente la smugness degli inglesi fine '800, quei gentiluomini vittoriani più o meno eminenti che siamo solit,i raffigurarci tronfi e stolidamente soddisfatti, con una cultura fatta di certezze e luoghi comuni, sospettosa di chiunque osasse· guardare oltre i· suoi angusti orizzonti. Certo, il parallelo storico sembra impro~ prio se si pensa ali' ampiezza e all'asprezza del dibattere cxlierno e alla rapidità elettronica e telematica con cui si susseguono i valori, i miti e i mcxlellidi comportamento ai giorni nostri. Ma si tratta di un dibattere tanto effervescente quanto povero di reali valenze ideologiche o culturali - più che altro un arraffar poltron~, contendersi quote della torta pubblicitaria, strapparsi lettori o spettatori a suon di magazines, lotterie, querele, grandi discorsi e grandi drammatizzazioni. Nel totale disinteresse e fastidio della "gente": non solo gli sforzi per far passare per battaglie politicoculturali gli scontri Mondadori-Berlusconi sulla pubblicità b Scalfari-Stille sui binghi, ma la stessa legittima preoccupazione sulle concèntrazioni editoriali appare piuttosto futile dal punto di vista dell'utente smaliziato, poco incline a strapparsi le vesti alIL CONTESTO la prospetti va che l'oligarchia Mondadori-Agnelli- Berlusconi venga sostituita dalla monarchia dell'avvocato (o, ahimé, dell'ingegnere, che ha ormai fagocitato i più accaniti crociati anti-trus_t). Anche perché - qualunquisticamente? - sospetta dietro le nsse,.le prese di posizione e le male parole un sostanziale un~imismo e conformismo di fondo che gli fa apparire abbastanza mdolore l'eventuale passaggio di proprietà di firme teste e testate considerate per lo più intercambiabili (le eccezioni, quando ci sono, fanno intravedere il peggio del peggio: la posizione di "Repubblica" sulla mafia, a cominciare dal sostegno a gente come Orlando e Falcone, appare piuttosto limpida, ma cosa pensare allora dell'ambiguità di altri giornali contro i quali Giampaolo Pansa e Giorgio Bocca sono costretti quasi quotidianamente a polemizzare?). Tutto appare davvero "fatto in casa", come le "polemiche prefabbricate" di cui parlava tempo fa Grazia Cherchi riferendosi a certi pugilistici programmi televisivi conclusi con strette di mano, pacche sulle spalle e brindisi dietro le quinte. E non sembra tanto un fatto di cavalleria o difair play, ma di labilità di idee e di convinzioni, di poco simpatiche propensioni alla mimesi e alla sudditanza, della preoccupazione un po' troppo fervida di modulare le polemiche, le critiche e le indignazioni secondo l' "orizzonte di attesa" e il galateo di volta in volta prevalente nel cii:cuitoche fa opinione. La semiologia e la convegnistica sui media non sembrano in grado di spiegare un fenomeno molto più preoccupante della nevrosi da iper-informazione o dell'inquinamento da immagini di cui tanto volentieri si discute: il dilagare dei finti-dibattiti chiassosi ed effimeri che impediscono non solo di risolvere mfi persino di analizzare seriamente qualsiasi problema, dagli sp~t te- . levisivi alle riforme sc.olastiche, dall'equità fiscale alla legislazione sulle tossicodipendenze. Le grandiose messinscene che per settimane mobilitano partiti; forze sociali, stampa e televisione spesso non partoriscono neppure il classico topolino ma riescono quasi sempre a lasciare l'opinione pubblica frastornata, confusa e avvilita. I termini della questione fiscale, tanto per fare un esempio, sembravano sufficientemente chiari e la vertenza messa in piedi dai sindacati non solo giusta ma colpevolmente tardiva: da anni i grandi quotidiani pubblicavano cifre, grafici e rapporti ~i quali risultava evidente che il deficit statale è dovuto escluszvamen7

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