Linea d'ombra - anno VII - n. 41 - settembre 1989

SAGGI/MANDALARI ' gliosa ricognizione del paese, dei dintorni, cimitero e crematorio compresi, dì strade locande (ìaffé, edifici pubblici e significativi. Ecco l'educandato delle Orsoline dove ha studiato, la casa paterna, i luoghi di giochi e passeggiate, 1'albero "fiammeggiante" della piazza sempre ricorrente negli scritti; e ancora, i fasti e i personaggi di spicco della cittadina, negli ultimi secoli, fino a quel fatale 1938: tutto è rapportato e confrontato con accenni e commenti tratti dalle molte lettere e telefonate intercorse con la poetessa, di cui Johnson è stato amico riservato ma devoto. Oltre Klagenfurt, c•è Roma, il rifugio della piccola provinciale che, con foga e sempre in fuga (forse da se stessa?) percorre città e paesi europei come una cosmopolita e saltuariamente vi abita, sempre ritornando alla città tiberina, quasi alla propria "casa":una piccola donna inquieta, assetata di spazi ed• ambizioni ma dal respiro esistenziale un po' corto ... La solitudine nelle sue "case" romane, le ariette di superiorità per il disordine e la loquacità italiani, la visione del cimitero degli artisti stranieri dal Testaccio (la tendenza è quella!), l'accanita scrittura e la reclusione in se stessa: tra Klagenfurt e Roma il visitatore è riuscito a disegnare parecchie essenziali sfaccettature del personaggio, con discrezione ma con un metro insieme pudico ed eloquente. ' Quando nel 1973, l'anno della sua morte, Christa Wolf riprende l'attenzione alla Bachmann - unico•scrittore contemporaneo tedesco-occidentale entrato nel raggio del suo approfondito interesse - lo fa ripubblicando a postfazione dell'edizione lipsiense di Undinese ne va il saggio del 1966: La veritàaccessibile. In esso, nel paragrafo finale, la Wolf aveva diagnosticato la tendenza dello scrittore occidentale al "disperato isolamento", al "distacco dalla soc~tà", infine ali' autodistrutti vità. Ancora una volta aveva proposto la Bachmann ad esempio di una "posizione estremistica nell'odierna letteratura borghese", nel tentativo di "difendere valori umanistici di fronte all'impulso distruttivo totale della società tardo-capitalistica", contestando l'assunto francofortese della poetessa d'una "letteratura come utopia": utopia di cl}ecosa?su quali basi? partendo da dove? E chiaro che, qui, i rispettivi punti di partenza sono assolutamente diversi, come differenti sono sia la formazione che l'evoluzione intellettuale ed esistenziale delle due scrittrici. lngeborg Bachmann con studi articolati che vanno dalla letteratura alla filosofia e alla psicologia, la Wolf con una formazione vissuta in chiave eminentemente socio-politica e storica: sarà, anzi, soprattutto quest'ultima, corroborata da una sensibilità e un coraggio (pressoché pionieristico) particolari, a fare della Wolf quella "grande personalità etica" (Hans Mayer) che oggi le viene riconosciuta e la distingue in Europa. Portata, quindi, alla concretezza e alla realistica contingenza, l'una, quanto l'altra all'astrazione e al prepotere dell'immaginario, quale poteva essere per entrambe la piattaforma d'incontro, o diciamo meglio di adesione e convivenza (oltre la morte) negli intenti e nelle méte? Le radici stanno in quella lotta decretata alla violenza, che l'autenticità della protesta lirica aveva rivelato nella Bachmann degli anni Cinquanta e cui ella avrebbe inteso di proposito, nell'ultimo decennio, sacrificare ogni tendenza estetizzante con la sua prosa (come osserva Christa Biirger in ''Text+Kritik", 1984); mentre la Wolf s'affacciava agli inizi degli anni Sessanta al successo, col quieto e nitido racconto Il cielodiviso, da un• esperienza attenta e riflessiva di lettorato editoriale e da un•osservazione capillare ma profonda del suo mondo letterario e politico. Entrambe, partendo da 76 Christa Wolf. posizioni e vicende diverse, per vie e su piani altrettanto diversi, hanno centrato intuitivamente quale fosse l'avversario-chiave, generato fra capitalismo e collettivismo dai rivolgimenti bellicorivoluzionari del secolo, contro cui occorreva opporsi e che necessitava smascherare: la violenza, braccio destro del dio assoluto, il potere. Senonché, mentre la Bachmann - come, sia pure per sommi capi, si è visto- ha fatto della violenza duramente esperita un caso (quasi) personale, o quanto meno personal-femminile, involvendosi in prove artistiche (le prose degli anni Sessanta) incerte e monocordi, fino a Malina, ch'è poi la testimonianza palese della 'ricerca d'identità• da parte di una personalità evidentemente dicotomica, ben altre proporzioni il problema ha assunto nelle intenzioni e nell'opera di Christa Wolf. Il cammino di entrambe è, fin dall'inizio, nettamente inverso: mentre la Bachmann, difatti, dalla protesta visionaria universalisticamente sentita delle sue liriche contro il palese o subdolo manifestarsi della violenza era poi approdata alla sofferenza individuale patita come donna e come persona, con un restringersi deg!i orizzonti che non aveva certo giovato alla tensione e levatura della sua scrittura per un frammentarsi e ripetitivo appiattirsi della visione, la Wolf invece, acuta osservatrice del collettivistico 'realismo sociale•, che ave-

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