Linea d'ombra - anno VII - n. 41 - settembre 1989

DUE SCRlffRICI E LA VIOLENZA lngeborg Bachmann, Chrlsta Wolf Maria TeresaMandalari Nell'anemi~o panorama della letteratura contemporanea di lingua tedesca importata in Italia vi sono, da qualche anno, due nomi che non patiscono carenza di generale interesse, e quindi di lettura. Si tratta di Ingeborg Bach1_11anne di Christa Wolf. Quasi coetanee (classe 1926 la prima, 1929 la seconda), si trovanoanche da parte della critica - singolarmente collegate, oggi, a quindici anni dalla tragica vicenda (un infortuniq col fuoco) che com 'è noto ha tolto la vita alla prima: su un piano che, di primo acchito, sembra da riconnettersi soltanto al movimento femminista, ma che in realtà, a guardar più a fondo mantenendosi al.livello di più vasti orizzonti richiesto dalla dignità e dal valore di entrambe, coinvolge interessi sostanziali nella Wolf, mentre è contrassegnato da motivazioni esistenziali travagliate e dolorose nella Bachmann. In effetti, le due scrittrici sembrano corrersi dietro non solo cronologicamente agganciandosi l'una all'altra, sul filo non certo di una somiglianza di destini o di scrittura quanto piuttosto - forse- d'intenti, o almeno di una univoca aspirazione etica di fondo che possa valere a tracciare una via comune nell'ambito letterario, costituendo così quasi una sorta di 'ponte' fra le due parti della Germania (e dell'Europa) ch'esse rappresentano. Se peraltro a tutt'oggi resta dubbia la conoscenza della persona e degli scritti della Wolf da parte della Bachmann (salvo errore, non esistono allusioni o rimandi di tal genere nelle pagine finora note), ben si sa, invece, che Christa Wolf fin dal 1966 si è espressa per esteso con un saggio, La veritàaccessibile(Die zumutbareWahrheit, in Lesen undSchreiben) sulla scrittura di Ingeborg Bachmann, eh' ella doveva probabilmente scorgere, dagli spalti del suo agguerrito cabotaggio tra gli scogli politico-sociali, come una sorta di intrepida Pulzella d'Orléans in campo avverso: il che favorisce una sua spiegabile condiscendenza entusiastica nei confronti di certe piccole prQSeo brevi discorsi (intitolati Essay' s!) pubblicati dalla Bachmann negli anni Cinquanta, e de Il trentesi~ anno (1961; tr.it Feltrinelli; 1961 eAdelplii, 1987). Nel medesimo saggio, tuttavia, non manca di mettere in guardia la collega occidentale dall'astrazione di un atteggiamento utopico non fondabile nella realtà social~ privo di ogni pragmatismo, e da un comportamento 'solitario' senza il supporto di concreti e coerenti passi sociali. Cioè, dalla solitudine di un io privo delle risonanze di un corrispettivo noi. E in tal modo, senza parere (o un po' alla leggera), coglie perfettamente il divario, la sostanziale differenza di fondo che connotano le loro personalità di letterate. Una differenza di natura ma soprattutto di humus culturale oltre che di scrittura. ' A metà degli anni Sessanta, Christa Wolf aveva alle sue spalle con immediato successo soltanto Il cielodiviso ( 1963; tr .it.ed.E/ O, 1983): in apparenza, umrsemplice storia d'amo e naufragata per contrapposizione di Gesinnung, di mentalità, e bruscamente ~pezzata seguendo orizzonti di vita al di là della 'divisione di cielo' di due sistemi opposti, visto che "il cielo~ sempre il primo ad essere diviso". Anche Ingeborg Bachmann, alcuni anni prima, aveva trattato specificamente l'odierno rapporto amoroso tra uomo e donna in un radiodramma,// buonDio di Manhattdn (1958; tr.it.Il Saggiatore, 1961), che ha tutta l'intonazione di una ballata romantica e eh' è- dopo la produzione lirica - forse la sua cosa migliore; ma se il 'cielo' della Wolf poggia su solide e incon74 futabili fondamenta terrestri, il 'buon Dio' della B_achmanninvece è un corrusco e contraddittorio giudice, in un 'cielo' praticamente inesistente perché separato dagli amanti e dalla loro realtà da abissi di furia erotica e da un (evidente) delirio autodistruttivo. Gli anni Sessanta sono importanti per entrambe. Christa Wolf, sorretta da anni di puntigliosa autocritica e revisione storica del tessuto sociale tedesco nella pratica letteraria della RDT, s'indirizza all'indagine introspettiva delle ripercussioni sul singolo . d'una esistenza impiantata sulla collettività con Riflessioni su ChristaT. (1968; tr. it. Mursia,1973); Ingeborg Bachmann invece, dopo il momento alto delle "lezioni francofortesi'~ e sconvolgente d'una burrascosa relazione naufragata, affonda in un turbamento psichico che per un anno, nel 1963, la costringe tra cliniche, psichiatri e farmaci: Da questo momento, per l'ultimo decennio della sua vita, la poetessa subisce quel singolare mutamento · che è stato designato dalla critica come una 'frattura' (Bruch) e 'rivolgimento' (Umbruch) e che, nella sua attività, è caratterizzato dal quasi totale inaridirsi della produzione lirica a favore di una serie di lavori in prosa. È sintomatico il fatto che proprio in questo periodo prençladefinitiva forma, in lei, il progetto di un ciclo (trilogia o tetralogia) in prosa intitolato Modi di morire, di cui l'unico libro compiuto che possediamo è Malina (1971; trad. it. Adelphi, 1973/1987), · deciso e scritto alcuni anni dopo e presentato come 'romanzo'. Non è qui il luogo per addentrarsi nell'esame di questo libro; molto più interessante, invece, è notare come il lavoro messo immediatamente in cantiere per il ciclo era stato un libro di aperta denuncia e accusa, il "libro di un delitto", il "viaggio attraverso una malattia", come lo definì l'autrice leggendone pubblicamente due capitoli ancora lacunosi e imperfetti nel 1966. Il libro venne intitolato Der Fali Franza, e col titolo Il casoFranza escono adesso in Italia i due capitoli citati e un terzo, inframmezzato e ancora più frammentario, insieme col torso anch'esso incompleto di un secondo libro del ciclo, Requiemper FannyGoldmann (trad. Magda Olivetti, Adelphi 1988, pp. 198, L.18.000). La pubblicazione anche in Italia di questi frammenti può trarre, quindi, la sua giustificazione da uno scandaglio della personalità e della vicenda umana d'una scrittrice tanto letta e quasi popolare da noi (non da ultimo, purtroppo, a motivo della tragica fine) piuttosto che da una sostanziale validità di opera letteraria, non valutabile pervia della sua incompiutezza e lacunosità. Una pubblicazione che interessa soltanto gli addetti ai lavori, la quale rientra in quelle zelanti operazioni che in Italia, con la nostra ospitale liberalità, si riservano agli stranieri ... Infatti, se si eccettuanò alcune pagine descrittive riguardanti il passaggio austriaco e i ricordi infantili, e ancora, l'esotismo d'un viaggio in Egitto (ricalcato su quello realmente compiuto nel 1964) con ricorso a droga, stati confusionali, un tentativo di suicidio e poi la morte in seguito ad una (rievocatrice) sodomizzazione anonima - tutti brevi pezzi ad effetto che emergono come scogli-, si tratta della monocorde mappa di un lungo percorso patologico di Pranza: la storia di una meditata sopraffazione psicofisica scientificamente condotta (così si vuole) da un marito psichiatra illustre. La vicenda di una violenza individuale, chiusa tra le esigue pareti, astratte dal tempo, di un io dolorante che denuncia e accusa. Allo stesso modo, Requiem

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