STORIE/TUCCI Diceva: "L'uomo dev'esser giusto e chiedere giustizi.a in quel breve perlo_doche gli è concess'!.P!r farsi.ifa~ su~i: se comincia a piazzare la responsabzlita per gli atti suoi prima della sua nascita o dopo la sua morte, siamo nel regno della truffa". ·· . to a mangiar la bistecca di cavallo al Faculty Club di Harvard. Non è cattiva. Un po' dura ma sostanziosa." · ,Mi sedetti sui crimini dei fascisti italiani di New York, e Saivernini intanto cercava di riprendere il lavoro. "Dammi solo un momento di tempo," disse, "voglio finire di annotare due o tre cose." Presi.un libro, finsi di leggere, guardavo lui. Non riusciva a concentrarsi, cioè pareva concentrato altrove, e ansioso di staccarsene. "Andiamo," di_sse,"oggi non ce la faccio." Uscendo dal suo studio vide il giornale Il per terra. Si fermò a guardarlo di lontano, esitò un poco, si mise il cappello con ungesto di rabbia. "Vieni, vieni, vieni." Chiuse la porta, mi prese per il braccio, ma c'era poco spazio, "Vai avanti tu, ti seguo." E mi seguiva sospirando. "Eeeeh. Eeeeh. Eeeeh ..:" . Sullo scalone della biblioteca, mi prese per il braccio di nuovo e disse: "Hanno fatto benissimo. I traditori vanno puniti." Poi, come se glielo avessi chiesto: "Certamente. Si capisce. Per me era come un figlio. Mal 'ha voluto lui, ed è giusto che abbia pagato." C'erano lacrime invisibili nell'aria. Non in lui, non in me, ma si sentiva questo dolore sospeso ed impiangibile. Prima di arrivare al Faculty Club disse: "Quella povera donna." E poi: "Sai, sono stanco. Ho voglia di morire." Non osai dirgli niente. Arrivò uno studente con Giorgio Santillana, stavano discutendo di malgoverno, a proposito del sindaco di Boston, Curley, che finalmente era an~to in galera e di Il dirigeva tutti gli affari della città. Santillana ci presentò il ragazzo e disse: "Questo giovane crede che si possa governare senza l 'aiuto dei ladri." Parole dette in tono cinico, ma Salvemini subito le prese in tono serio, e, disse: "Certo che si può. Perché bisogna prima di tutto mettersi bene in mente che ..." Di qui una lunga discus:. sione nella quale Salvemini faceva le domande, proprio al modo di Socrate, e il ragazzo rispondeva, meravigliandosi di "saper tante cose". Salvemini rideva, era felice. Ma non rideva perché si era distratto. Rideva perché a lui l'esercizio del pensiero intorno a fatti ben precisi, la costruzione lenta di un giudizio storico e morale dava un piacere immenso. Ed ecco un altro fatto noto e non conosciuto intorno all'uomo indefinibile Sai vernini. Era ottimista e pessimista. ''Tutti gli sbagli che si commettono," diceva, "stanno sempre in quel margine dell'un percento di ottimismo che ancora conserviamo nonostante le prove in contrario. Non si impara mai nulla. Scrivere libri è tempo perso. Vivere è tempo perso." Poi invece parlava con tutti, scriveva libri, articoli, discorsi, recensioni, nella fiducia che lo capissero. "Son cinquanta anni che sto parlando agli italiani. Non capiscono, né io capisco loro. Veramente non so perché non metto fine a questa storia con un bel suicidio. E dopotutto, amico mio, se questo mondo è veramente quel luogo fetentissimo che appa- ' re a noi, ebbene, io qui rimango a imputridire. Basta col suicidio." ·Pareva che scherzasse, ma non era uno scherzo. Così scherzava sulla sua povertà (''ancora viaggio con la stessa valigia che servì al contadino pugliese quando venne a Firenze ed imparò a tenere la forchetta e a vivere fra persone civili"). Era verissimo. Ma quante volte aiutò amici, tanto più giovani di lui, scrivendo un breve articolo e dando loro quei venti o trenta dollari che qualche rivistuccia di New York gli pagava. Ma da lui si poteva accettare. Come lui accettava da loro di essere chiamato vecchio e interrogato sulle sensazioni che-dà la vicinanza "naturale" della morte. Problema questo che la gente di età non può discutere sinceramente. O lo fa per scaramanzia, quindi in un modo stupido, o per civetteria, che è peggio ancora. Salvemini, essendo "rel~gioso", cioè scegliendosi ogni momento della vi~pe~"onorare D10"_(~0? lo dil:eva mai, non lo pensava, ma aveva Il nspetto per la divi~ità di tutti gli atti umani, esattamente come Socrate) poteva qumdi anche parlare della morte dandone informazioni ai giovani. Ho di Sai vernini centinaia di lettere, ed altre centinaia le hanno Chiaromonte e Tagliacozzo e tutti gli altri esuli che lavorarono con lui durante gli anni della guerra. E in ognuna di qu~ste c'è qualche frase di un valore e~emo, nascosta in uno scherzo, o i~ una critica a un'opinione pubblicata. Ma contengono anche ~e~ficati di laurea e titoli di studio di enorme importanza, e c10è 11suo ·elogio quando una cosa gli pareva fatta bene. E non sempre "ad personam". Lui raccontava a me quanto aveva imparato da Chiaromonte. "Quello è un vero maestro. Prima che mi arrivasse il suo ultimo articolo io dell'idealismo hegeliano non avevo capito proprio niente. Adesso invece, grazie a 1~, ci vedo chiaro." . A Chiaromonte o a Tagliacozw diceva che un racconto m10 gli era parso buono. Ed il suo senso della lingua inglese, il suo talento critico, l'orecchio per il ritmo depa narrazione erano le cose che nessuno avrebbe sospettato in lui. Come nessuno lo avrebbe immaginato "medico d' anime". Un anno fa un ~ico americano scrisse a Salvemini che il figlio (un ragazzo sedicenne) stava attraversando una crisi di adolescenza, di quelle che in America spesso portano al suicidio. Niente pareva che si potesse fare: il ragazzo era estraneo alle cose del mondo, viveva in uno stato d_itorpore che tutti i medici definivano grave. Nella sua classe già tre casi simili si erano conclusi col suicidio. Salvemini, che non aveva mai visto il ragazzo, non rispose al padre; scrisse direttamente a lui, e gli scrisse una lettera di una franchezza un po' rischi~- sa; gli chiedeva senz'altro di non suicidarsi, per non levare a lm, Salvemini, il diritto acquisito in tanti anni di attesa di veder~ ~r primo cosa ci fosse al di là della morte. Era una lettera lunghissima, e redatta in.un modo quasi illeggibile. Il rag~o la l~sse, e f~ la prima volta dopo mesi che fu visto sorridere, e mfine ~dere, ma ridere di cuore, e da quel giorno si aprì fra i due una comspon?enza piena di fantasia e di freschezza ma anche ricca di elementI socratici. Caro, caro Sai vernini. E adesso è morto. Adesso finalmente, taciute le calunnie, rotto il silenzio della stampa più angusta sul suo conto, tutti ne parleranno come di un grande s~rico ~loera~. Ma per gli amici suoi, fra i quali il sedicenne che lu~n_o_vnide mai, Salvemini resta un amico, buono, caro, allegro, d1 eta mutevole fra i dieci anni e tutti gli anni della storia. Il primo incontro La mia amicizia con Salvemini fu il caso tipico di un padre e un figlio che si incontrano do~ d~essersi sog~ati,_più ~he cercati, per anni. Ma ben cinque anm c1vollero fra Il p~1'"?0mc?ntro e quello vero, perché i sacerdoti del Culto Salvemm1ano s1erano costruiti un falso Dio piccolo piccolo da quel vero grande uomo che lui era. Incominciamo con Ruth Draper, grandissima attrice che aveva visto in me un divertente figlio del darling (tesoro) professore. "Vieni a cena sta.sera" mi disse, e fu per me un bel colpo. Facevo la fame, ero fuggito dall'Italia per l'ultima volta, libero or71
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