Linea d'ombra - anno VII - n. 41 - settembre 1989

STORIE/TUCCI tro le idee chiate, ne escono confuse. Chiedi una cosa molto semplice ad un fùosofo, e quando quello ti risponde, non solo non capisci la sua risposta ma non capisci più nemmeno la tua domanda stessa." Del socialismo diceva: "Risveglia il J>Qpoloaddormentato dall'oppio teologico, per farlo subito rincretinire con l'oppio delle teorie marxiste." Il rinvio della giustizia sociale, a due o tre o più generazioni dopo la nostra, gli pareva una truffa. "L'uomo dev'esser giusto e chiedere giustizia dai suoi simili in quel breve periodo che gli è concesso dal Padreterno per farsi i fatti su~i: se incomincia a piazzare la responsabilità per gli atti suoi al difuori di questo periodo, e cioè prima della sua nascita o dopo la sua morte, siamo nel regno della truffa. Ecco perché detesto Lombroso e detesto i marxisti: due castratori della coscienza umana. Far piani intelligenti per il futuro, va benissimo, è così che l'uomo deve agire. Ma fare il delinquente adesso e volersi far credere un benefattore ~ei non ancora nati, è un'altra truffa." Salvemini cercò di persuadere Jean Luchaire che l'uomo onesto deve sempre agire "in proprio", e non ci riuscì. "C'era in quel giovane un fermento maligno, qualche cosa che non poteva finir ben~. ed io gli dicevo: figlio mio, se vai di questo passo un giorno lascerai il comunismo, diventerai nazista, perché in quel momento quello ti sembrerà la forza storica, nell'astrologia hegeliano-marxista o non marxista, e tradirai la patria. Fai attenzione, stammi a sentire e agisci come un essere normale." Minatori e braccianti nelle cave dell'ILVA in Sardegna nel 1935 (foto di Vittorio Villoni). · 70 Occhio profetico del patrigno Salvemini? No: cecità voluta del figliastro Luchaire, che vedeva in Salvemini un "piccolotorghese reazionario anarchico". Epilogo tipicamente salveminiano: rottura dei rapporti da parte del patrigno. "Da oggi in poi non ti parlo più. Tu per me non esisti. Sei disonesto, non ti conosco." E non lo vide più, non ne parlò mai più, salvo per augurare che fosse sterminato insieme a tutti gli altri che lavoravano per Hitler. Quando fu sterminato, e cioè processato e giustiziato, Salvemini prima appròvò, e poi si sentì stanco, ebbe voglia di morire. Lui stava allora a Cambridge, io quel giorno venivo da New York, e avevo letto in treno il resoconto del processo .edell'esecuzione. Andai subito a trovarlo, li alla biblioteca fra le gabbie dei libri, ("l'unico·posto al mondo dove ho vissuto veramente felice, tanto che quando mi chiedono cosa penso degli Americani, rispondo: E chi li ha visti? lo vivo li, nella mia gabbia"). Stava lì, Gaetano, giallo in faccia, con quegli occhiali piccoli, quei tre fili di barba che toccavano i libri, e quel disegno a righe dritte e geroglifici nelle vene sopra la tempia. Intorno a lui, libri aperti, giornali vecchi di vent'anni, casse di libri, casse di giornali, e in un angolo, il •~NewYork Times," aperto sulla pagina della condanna a morte. "E bravo," disse, "che sorpresa mi hai fatto. Vieni vieni, siediti qui sui crimini dei fascisti italiani di New York. O se no qui, su questa cassa, che còntiene le malefatte di Toynbee, digeritore di fatti storici premasticati da cinquanta assistenti." Capivo che cercava di mettersi di buon umore. "Dimmi, dunque. Spero che resterai un po' di tempo. Oggi intanto sei invita-

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