Linea d'ombra - anno VII - n. 41 - settembre 1989

DALLA CHIMICAALLAMEDICINA Susumu Tonegawa traduzione di Fabio Te"agni Non esiste una ricetta per diventare premi Nobel. Questa verità è abbastanza ben assimilata da rendere sufficientemente interessante e singolare la storia di come ognuno di noi fortunati scienziati sia giunto fino al prestigioso riconoscimento. Per questo voglio raccontare, seppur succintamente, come si è sviluppata la mia carriera di ricercatore. Ho cominciato come studente di chimica nella città di Kyoto, in Giappone. Mio padre era un ingegnere chimico, e questo potrebbe avere influito non poco sulla mia scelta universitaria Mentre ero studente, per vari motivi cominciai a interessarmi di biologia. In quel periodo, nei primi anni Sessanta, la biologia stava per subire un profondo sconvolgimento. La cosiddetta biologia molecolare stava diventando particolarmente importante, costituendo una potente ed efficace strategia di stu,dio dei problemi biologici. Sfortunatamente, le prime ricerche di biologia molecolare erano concentrate negli Stati Uniti e, in misura inferiore, in Europa. In Giappone c'erano pochissimi biologi molecolari, ma · il mio insegnante era proprio uno dei rari fortunati che avevano studiato biologia molecolare negli Stati Uniti. Quando divenni uno dei s~oi studenti, mi disse che per diventare un biologo molecolare avrei dovuto considerare l'ipotesi di emigrare. Mi aiutò ad avere una borsa di studio per un dottorato negli Stati Uniti, e finii per diventare studente dell'Università della California a San Diego. È questo il modo in cui mi son.oavvicinato alla biologia. Il mio lavoro di allora non era particolarmente importante e aveva a che fare con la biologia molecolare dei virus che infettano i batteri- i batteriofagi o fagi-, in particolare dei fagi (lambda), dei quali studiavo il controllo della trascrizione genetica. Giunsi a scrivere la mia tesi di dottorato nel giro di cinque anni, ormai alla fine degli anni Sessanta. In quel periodo l'atmosfera nella comunità dei biologi molecolari era fiacca e c'era la netta sensazione che la biologia molecolare dei sistemi batterici e fagici avesse fatto il suo tempo. Era giunto il momento di "aggredire" gli organismi più complessi, gli eucarioti, e magari l'uomo. Questo clima contribuì non poco a spingermi verso lo studio dell'uomo, ma non fu l'unico motivo. Per il mio premio Nobel devo infatti ringraziare una straordinaria occasione. San Diego è un luogo meraviglioso, una specie di paradiso terrestre, e io non avevo nessuna intenzione di andarmene. Così, dovendo iniziare il periodo di ricerca successivo al dottorato, il cosiddetto post-doc, scelsi semplicemente di attraversare la strada e andare a bussare alla porta di un'altra istituzione, il Salk Institute, dove lavorava un famoso virologo e biologo molecolare italiano, Renato Dulbecco. Gli chiesi di lavorare nel suo laboratorio· e lui accettò. Qui imparai a studiare gli organismi complessi, gli eucarioti. In realtà la specializzazione del laboratorio era lo studio dei virus umani, virus più complessi dei batteriofagi, capaci di infettare le cellule animali, e dotati di una serie di caratteristiche comuni agli èucarioti. Quello, comunque, era un ottimo modo per passare dai semplici sistemi fagici agli animali, e infatti il laboratorio di Dulbecco era pieno di giovani ricercatori laureati in genetica dei batteri. Dopo un anno e mezzo circa, era giunto per me il momento di andarmene e mi misi alla ricerca di un nuovo lavoro. · In quei mesi, era l'autunno del 1970, ricevetti una lettera di Renato Dulbecco dall'Europa, e più precisamente dall'Hotel Hasler di Roma. Di quella lettera, vecchia di 18 anni, posso citare alcuni passi non perché abbia l'abitudine di conservare tutti i documenti, ma perché, appena ricevuta la notizia del premio, mi misi a scrivere la Nobel Lecture e, per farlo, tentai di mettere in ordine la mia scrivania. In fondo a un cassetto trovai la lettera e pensai: questa è un'ottima introduzione per la mia conferenza e mi permette di citare alcuni riferimenti precisi. Dulbecco mi scriveva: "Caro Susumu, non sono a conoscenza della tua attuale posizione dopo che alla fine dell'anno hai abbandonato il laboratorio, ma ti voglio segnalare una interessante opportunità: l'Istituto di 1mmunologia di Basilea, in Svizzera, inizierà a funzionare il prossimo mese; sono già stati assunti molti immunologi, ma-non sono ancora riusciti a procurarsi un adeguato numero di persone esperte in biologia molecolare. Ho parlato di te a Niels Jerne, il direttore, e si è dimostrato interessato ad averti qui (...) esiste una grande varietà di interessanti fenomeni immunologici che possono essere studiati grazie al RNA, ma oggi non sono avvicinabili a causa della scarsa caratterizzazione di questa molecola. In generale, il sistema imqmnitario sembra però il miglior sistema per capire lo sviluppo a livello molecolare e questo genere di ricerche ti potrebbe piacere. Se sei interessato scrivi a Niels Jeme, Basel Institute for Immunology (...)". Grazie a questa lettera, decisamente profetica, e grazie anche ali' ufficio immigrazione americano che stava facendo di tutto per evitare che rimanessi negli Stati Uniti, nel febbraio del 1971 mi trovai a Basilea, quasi completamente circondato da immunologi. Per uno che non aveva mai studiato immunologia prima di allora, e che visitava la Svizzera per la prima volta, si trattava di un cambiamento drastico, e ripensandoci credo di avere avuto un bel coraggio. Ma questa decisione è stata fondamentale per la mia carriera scientifica, poiché proprio a Basilea ho condotto le ricerche che mi avrebbero portato al premio Nobel. Nel resoconto della mia carriera di scienziato si può certamente individuare un elemento essenziale per diventare un buon ricercatore: non avere paura di entrare in un campo di studi interdisciplinare, che non appartiene a nessuna disciplina ben definita. La scienza si evolve in continuazione e spesso proprio i settori più tradizionali rimangono indietro rispetto allo stato delle conoscenze scientifiche. Per questo motivo i problemi più interessanti solitamente si trovano nella zona di frontiera, al confine tra le vecchie e consolidate discipline scientifiche. Nel mio caso gli studi universitari erano dedicati alla chimica; poi, dopo la laurea, sono . passato alla biologia molecolare dei batteriofagi; mi sono quindi spostato ai virus tumorali e infine a un campo che appartiene più alla medicina che alla biologia. Dalla chimica alla medicina: un cambiamento non indiffer~nte. Dal 1971 in poi mi sono sempre dedicato allo studio del sistema immunitario, il principale meccanismo di difesa dei vertebrati, incluso l'uomo. Questo sistema perfetto può riconoscere un agente invasore, sia esso un batterio o un virus, e quindi attaccarlo ed eliminarlo dall'organismo. Si ritiene che l'immunità sia ·molto importante anche nella protezione del corpo contro I'insor55

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==