una postfazione dello stesso Zanzotto. Nell'itinerario, resta da scoprire se il dialetto serva a definire la natura, o piuttosto sia da essa definito: non c'è un prima e un dopo, una causaeuneffetto: natura e linguaggio sono inestricabilmente fusi; però forse è possibile partire da un indizio importante che affiora nella parte intitolata Filò: possibile - sembra chie- ~ersi Zanzotto - che nella nostra beneducata civiltà la natura non abbia altre possibilità di farsi udire, di reclamare la propria esistenza se non attraverso furiosi scuotimenti, frane, terremoti, movimenti di morte? Forse noi non l' abbiamo corteggiata, non le abbiamo voluto bene abbastanza, non l'abbiamo studiata vena per vena, "No te 'on scoltà da vizhin, co umiltà I co amor, par quel che tu era" ("Non ti abbiamo ascoltato da vicino, umilmente/ con amore, per quello che tu eri"). E allora, gli snodi cruciali dell'itinerario potrebbero anche leggersi come fasi di un corteggiamento ravvicinato, insistente, a volte gentile, a volte quasi furioso: nel Recitativo veneziano, che accompagna le scene iniziali del Casanova di Fellini, prevalgono le amorose invocazioni, indirizzate non si sa se ad una carnalissima dònna assunta nel novero delle divinità o ad una divinità ferocemente umanizzata ai limiti della dissacrazione; comunque imperiosa, eccessiva nel bene e nel male, esigente con i suoi sudditi. La reverenza non esclude l'appellativo oltraggioso ("mnbriagona, magnona, toco de banda, toco de gnoca") anzi, questo sembra denotare un esasperato desiderio di maggiore intimità. Con le tenerissime filastrocche della Cantilena londinese, che riportano in ritmo suadente e linguaggio petèl i grandi ritmi della natura, vezzeggiandoli, quasi, i bambini si esercitano ad entrare in sintonia con essi: è un corteggiamento in embrio-· ne, questo, il primo coinvolgente tentativo che ogni bambino compie pér accostarsi alle parole e ai fatti della natura. Mà la frase più matura, più caparbia del corteggiamento si esplica nella lunga affabulazione lirica di Filò. Filò è il chiacchiericcio, la · divagazione senza troppi nessi logici che i contadini veneti facevano nelle stalle, vegliando al caldo: qui diventa ricerca di approccio con qualcosa che non è né donna dagli occhi di biscia, né padrona terribile, da onorare e insultare nello stesso tempo, né pura sequenza di ritmi fenomenici, o meglio, è tutto questo ed è molto di più: entità sotterranea, addensazione di significati, groviglio di suoni, matrice di emozioni difficilmente addomesticabili. Generato dalla natura, vera epropria lingua di madre (non a caso Zanzotto sottolinea la differenza tra l'uso maschile del dialetto - conoscere - e l'uso femminile-inventare-), il dialetto torna dentro di essa per corteggiarla accanitamente, per indagarla vena per vena come centomila trattati di geologia non potrebbero fare: si addentra nel folto, nella "selva oscura" dei significati, estirpando, come un bisturi benefico, le incrostazioni gentili e metalliche del nostro parlar civile; recupera, nell'impasto sillabico, nella liquida scòrrevolezza dei suoni, le piccole impercettibili vibrazioni della creta, dell'acqua, della pietra é del limo, gli "sbrìssar" della terra, scivolii improvvisi, piccolini, Andrea Zanzotto (foto di Giovanni Giovannetti). CONFRONTI Leragioni metrichedi Sergio Angioni Abruzzese di padre molisano, Alberto Mario Cirese ama definirsi uomo di molte patrie, dal Messico alla Sardegna, dove all'università di Cagliari ha insegnato per quindici anni storia delle tradizioni popolari e poi anche antropologia culturale, prima di trasferirsi a Siena e infine a Roma, dove tuttora è ordinario di antropologia culturale. Dopo oltre quarant'anni di attività, anche se non è il più noto al grande pubblico (la notorietà non è conseguenza del valore nemmeno per gli studiosi), è considerato dagli addetti uno tra i più seri e validi antropologi italiani, specialmente come specialista del settore demologico, ed è uno dei pochissimi antropologi specialisti italiani di notorietà internazionale. Lucido saggista che ha sempre ambito a dire cose che durino pur senza il luccichio della saggistica che brilla lo spazio d 'una notte, ha scritto analisi formali ormai classiche su testi popolari e teoria e metodologia degli studi etno-demo-antropologici. Pioniere e ancora cultore di un tipo di analisi strutturali non inceppate da ideologismi strutturalistici, convinto dell'importanza delle analisi formali nello studio dei fenomeni culturali, il suo vigore e rigore intellettuale non cessa di fruttificare in tempi in cui gli strutturalismi hanno cessato d'essere di moda. Ultimamente ha pubblicato Ragioni metriche un volume che sull'argomento della forma dei componimenti popoIL CONTESTO "cei", ma a volte, quasi per capriccio, immani, terrificanti: i suoni della natura possono essere, indifferentemente, teneri e crudeli, come, del resto, i suoni, quelli autentici, del linguaggio umano, e in modo particolare della poesia, oppure le strutture psichiche più profonde, in cui rivoli di ferocia e di mitezza si fondono continuamente con risultati mai prevedibili. Forse questo può essere l'apporto conoscitivo -e magari terapeutico, ma in modo quasi stregonesco - del dialetto, linfa in cui scorre ancora un goccio del latte di Eva, affùato e • duttile strumento, forte della sua sapienza mai confessata, delle sue "vertigini del passato". A lui, più che alle flebili lusinghe di un lingùaggio devitalizzato, può talvolta-caso, miracolo, sofferta conquista - arrendersi e consegnarsi la natura, attraverso slarghi inconsapevolmente lirici, allusive persistenze di suoni, rassicuranti barlumi di pacificazione e di possesso. Con l'avvertenza, comunque, che si tratta di illusioni: la poesia, dice Zanzotto, "è 'l piene 'l voto dela testa-tera I che tas, o chigna e usma un pas pi in là I de quel che mai se podaràe dirse, /ar nostro" ("è il pieno e il vuoto della testa-terra/ che tace, o ammicca e fiuta un passo più oltre/ di quel che mai potremmo dirci, far nostro"). Cirese · lari tradizionali raccoglie scritti di un trentennio, riordinati e aggiornati, risalenti a volte a tempi, i primi anni Sessanta, quando in Italia pochissimi avevano sentito nominare un certo Levi-Strauss. Importanti restano le raccolte di saggi pubblicati da Einaudi, Intellettuali, folklore, istinto di classe: note su Verga, Deledda, Scotellaro, Gramsci (1976); e Oggetti, segni, musei: sulle tradizioni contadine (1977). La più nota delle sue opere è ·cultura egemonica e culture subalterne, del 1972 (Palermo, Palumbo), su cui tra l'altro si formano da allora non pochi degli studenti di tradizioni popolari e di antropologia culturale in tutta Italia. Buon organizzatore, Cirese non dirige e non presiede nulla, ma influisce, e soprattutto insegna e studia semprè con accanimento. Ma per cose serie usa muoversi, da Roma al Messico a Parigi e a Ghilarza. Ragioni metriche: versificazione e tradizione orale (Sellerio. 1988) dedica 500 pagine ad analisi formali (metriche soprattutto) di componimenti popolari orali italiani (strambotto, stornello e altri) e sardi (mutos e mUtettus;battorinas e altri). Tema futile, da non dedicarci così grande studio e intelligenza? Tanto più che Cirese non prende in diretta considerazione nemmeno il contenuto di simili componimenti popolari tradizionali ormai in via di totale sparjzione come uso vivo? Per Cirese, dato per 27
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