Linea d'ombra - anno VII - n. 41 - settembre 1989

codici linguistici interni e intrinseci a una determinata convenzione letteraria per una massa lettrice per cui i nomi "Darwin", "Trotskij", "evoluzione", "von Kleist", "Beethoven" ecc. fanno parte di quello che si deve consultare su un dizionario di cultura! literacy: il populismo di Vonnegut si fa qui sussidio di alfabetizzazione per i cetacei arenati sulle spiagge del sapere. È questo lo scrivere "semplice" di Vonnegut? "Certo ... l'avrei fatto in ogni caso - è semplicemente la posizione giornalistica di raccontare non più di quello che si sa. "Così si chiude il recente Conversations with Kurt Vonnegut, a cura di William Rodney All~n, University Press of Mississippi 1988. Chiariamo in conclusione che l'arte di Vonnegut ci sembra oggi necessaria proprio quanto ci sembrò tale quella di un Nathanael West per decenni ormai lontani: allora il "cuore" batteva in Spagna e nell'America diseredata, poi nel Vietnam, nel suo dopo, a Salvador ... dire non più di quello che si sa impone oggi allo scrittore di sapere sempre di più del mondo in cui vive- saper "tutto" è quello che si può ancor,achiedere al futuro di Vonnegut. Intanto, una domanda finale. E un tributo alle qualità di Vonnegut come essere umano e scrittore, o una misura della natura machiavellica della sua calcolata semplicità, che ci si senta dei facili critici socialisti nel muovere obiezi~ni alla sua estetica dell'innocenza, al suo populismo, che spesso cancellano i fatti sociali della vita allo scopo di costruire un collegamento fra leggi universali e le comode verità della porta accanto? La Nona di Beethoven Kurt Vonnegut Dico ora della morte immatura di Kazak:h, perché nessuno abbia a versare lacrime: "Oh, beh- dopo tutto non avrebbe scritto la Nona di Beethoven". Dico lo stesso della morte di James Wait: "Oh, beh - dopo tutto oon avrebbe scritto la Nona di Beethoven". Questo sardonico commento su quanto poco i più di noi potessero fare in vita, non importa quanto a lungo fossero vissuti, non l'ho inventato io, l'ho sentito pronunc,iare in svedese per la prima volta a un funerale, quando ero ancora vivo. Il cadavere di quel particolare rito di passaggio era un ottuso e impopolare capomastro del cantiere navale di nome Per OlafRosenquist: era morto giovane, o almeno quello che s'intendeva per giovane a quei tempi, perché, comeJames Wait, aveva ereditato un cuore difettoso. Andai al funerale con un collega saldatore di nome Hjltlmar Arvid Bostrom, non che importi moltocome si chiamasse qualcuno un milione di anni fa-quando uscimmo dalla chi.esaBostrom mi disse: "Oh, beh - dopo tutto non avrebbe scritto la Nona di Beethoven". Gli chiesi se questo umorismo pero fosse originale e lui disse di no, che l'aveva sentito dal suo nonno tedesco, che era stato ufficiale incaricato della sepoltura dei morti sul fronte occidentale durante la prima guerra mondiale. Era comune che soldati nuovi a quel tipo di lavoro filosofeggiassero su questo o quel cadavere sulla cui faccia stavano spalando della terra, sdottoreggiando su cosa avrebbe potuto fare se non fosse morto così giovane. Molte erano le cose ciniche che un veterano avrebbe potuto dire a quei pensatori di reclute, e una era: "Npn ti preoccupare, dopo tutto non avrebbe scritto la Nona di Beethoven". Dopo che io stesso fui sepolto giovane a Malmo, a soli sei metri da Per Olaf Rosenquist, Hjalmar Arvid Bostrom lo disse di me mentre usciva dal cimitero: "Oh, beh - dopo tutto non avrebbe scritto la Nona di Beethoven". . (da Galàpagos, trad. di Francesco Binni) IL CONTESTO LETTERE Un'etichetta di meno. ThomasBernharde Jea.nAméry Rolando Zorzi Thomas Bernhard, uno dei maggiori scrittori austriaci e di lingua tedesca del secondo dopoguerra, è morto qualche mese fa. Poco dopo la sua scomparsa, "Linea d'ombra" (n. 37, aprile 1989) gli ha dedicato due articoli: un profilo dell'artista scritto da Mar-, git Knapp e una critica di Jean .Améry apparsa sulla rivista tedesca "Merkur" non molto dopo l'uscita del primo volume dell'autobiografia di Bernhard, Die Ursache (1975), tradotto in italiano col titolo L'origine (Adelphi 1982). · A distanza di qualche tempo da questa prima memoria c'è, per lo scrittore austriaco, una cosa che merita di éssere considerata. Nel suo articolo, intitolatoMorbusAustriacus, Jean Améry cerca·di sviscerare la controversa relazione d'pdio-amore di Bernhard con la. propria patria, per dame un'interpretazione che vuol essere definitiva. Il critico austriaco insiste via via su un unico tasto, premendo il quale, con toni garbati e meno garbati, Améry dà praticamente del pazzo a Bernhard, salvo poi recuperare in corner il patologico alla fine del pezzo: lo squilibrato diventa banalmente un bel luogo comune letterario, cioè "un uomo e un poeta che dialoga con la morte e la follia". Tutto questo, a guardare un po' dentro e fuori le righe, è imputabile non tanto al malefico morbusaustriacus che secondo Améry infettò pure Trakl, Kafka, Roth, ThomasBernhard. Weiss e Weininger, quanto a un malevolo furor austriacus del critico, dato che Bernhard con la sua Origine ha toccato sul vivo la perla dell'Austria, la bella ricca e famosa Salisburgo, definendola~enzamezzi termini unacittàda suicidi, il che è verissimo non solo statisticamente. Letto l'articolo di Jean Améry e letta L'origine di Thomas Bernhard, non è possibile fare a meno di rilevare che il "morbo austriaco", lamalattia mortale che Améry vorrebbe far risalire alle "inesistenti" realtà politiche dell'impero prima e delle due repubbliche poi, altro non è per Bernhard che il nazi-cattolicesimo dell'Austria di ieri e di oggi (di cui l'elezione di Kurt Waldheim a presidente della repubblica è una conferma), Nell'Origine, infatti, lo scrittore è a tal punto consapevole di questo devastante portato politico-religioso che non fa che dirlo e ribadirlo con la massima chiarezza, a costo di correre appunto il rischio di "essere ritenuto pazzo". È dunque il caso di cominciare a togliere un'etichetta di follia che Améry e altri hanno appiccicato sulla testa di Thomas Bernhard, ossessivo sì, ma !acido quant' altri mai. Aquesto proposito mi è venuta in mente una conversazione dello scrittore austriaco riportata dalla "Frankfurter · Allgemeine Zeitung" qualche an13

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