Linea d'ombra - anno VII - n. 41 - settembre 1989

ILCONTESTO all'epoca della pubblicazione, ·slapstick resta, a mio parere, un culmine del messaggio vonnegutiano, certo una sonata a morto per quei valori americani di massa in cui la narrativa di Vonnegut si è vista spesso, ed è stata, articolata: è una narrativa del doppio e della nascita mostruosa alla Frankenstein - i gemelli personaggi centrali, Wilbur e Eliza, sono troppo Neanderthal, troppo orribili per sopravvivere e sono così immediatamente reclusi; insieme costituiscono una psiche pienamente funzionante, tenuti separati da una serié di circostanze maligne essi sono incapaci di operare in questo modo e diventano invece simboli di assenza di speranza, un potenziale che I' America rifiuta di accettare. Qui Vonnegut ci dice che I' oggetto temuto è la mente di gruppo, con le sue possibilità di sviluppo e interpretazione- e non solo nel caso dei gemelli (i gemelli modello del libro sono, non a caso, le supposte "teste vuote" di Laurei e Hardy, legati dall'obbedienza a una serie immutabile di convenzioni comportamentali), ma anche in quello dei cinesi, che stanno superando l'individualismo e guadagnano così zone di esperienza in cui l'Occidente non può seguirli. Wilbur e Eliza incarnano la traccia del rapporto autosufficiente e sono così parzialmente liberati dai vincoli della mortalità, ma si trovano pure nella situazione paradossale del mostro tradizionale: temuti ma tollerati fin tanto che fanno finta di essere idioti, separati a forza e "ridotti a misura" una volta che decidano di far sapere al mondo la piena articolazione dei loro poteri mentali. Se il più recente libro vonnegutiano, Bluebeard (1987), è una sorta di pacificazione di poetica con relativa illuminazione finale, e il suo pittore protagonista una replica di Vonnegut stesso al suo più bonario e forse inusualmente armonico, è in Galàpagos· (1985) che si trova l'ultima parola per ora sul problema specifico fin qui tratteggiato, quello cioè dell'uso o abuso del nostro cer - vello "civilizzato", quello, meglio, che "riduce a misura" i potenziali autentici del nostro mondo. Qui Vonnegut attraversa swiftianamente la storia della science-fiction, ne capovolge le premesse "teoriche" che vedono dipendere la sopravvivenzadell 'umanità dallo sviluppo del suo brainpower, butta a mare il concetto post-darwiniano del superman, celebra le gioie della devoluzione ~ '!1 ..._. . ' - . 'if, ii 12 (per lui la vera evoluzione), si rifà insomma alla convenzione satirica che spesso ha praticato, la reductio ad absurdum, per cui un cervello più piccolo farebbe meglio al caso nostro. Il narratore del romanzo è uno spettro, quello di Leon Trotski j Trout, un marine diserto1c:che, dopo essere fuggito dal Vietnam approda in Svezia e lì collabora alla costruzione di una nave, la "Bahia de Darwin", che servirà poi a portare in crociera alle isole Galapagos un certo numero di personaggi emblematici (da James Wait, il negro del Narciso conradiano, a von Kleist, l'autore del saggio sul teatro per marionette e capitano della nave) che; naufragati sulla più sperduta delle Galapagos, formeranno poi il pool genetico da cui nasceranno, al di là dell'imminente apocalisse, le future generazioni umane. Trout, decapitato da una gru meccanica come un personaggio di Poe, acquista una veggenza spirituale che gli permetterà di riferire dall 'intemo l'azione- il cui nucleo ha luogo fra il 1986 e il 2016- dal punto di vista di un milione d'anni secondo il nostro ordinamento temporale. Una delle presenze centrali del libro è il cervello artificiale del computer Mapdarax che cita continuamente fonti celebri (dalla Bibbia a Brecht) nei momenti più ironici e mette asterischi davanti ai nomi delle persone che sono morte. Diciamo subito che 1'operazione di Vonnegut, volta a riasserire i poteri del cuore su quelli del freddo cervello, rientra in quel continuo ridimensionamento dell'arte distruttiva dell'ingegno umano che ha portato altri narratori americ;mi - penso al recente Fiskadoro di Denis Johnson - ad occupare territori lasciati liberi dopo il Gordon Pym di Poe, mondi post-apocalittici apparentemente paradisiaci che vidimano il rifiuto di ogni confine netto tra l'impuro flusso dell'abiezione e la zona edipica sanitaria della soggettiyità isolata, ordinata, sotto il segno dell'Ego (maschile, bianco, borghese). V'è tuttavia in questi mondi un potenziale orrore, la loro stasi ripetitiva, la serialità della loro intersoggettività non fanno che ripetere il copione di questo tardo capitalismo, con le sue frenetiche crociere, in posti "senza nome" per gente "senza nome". Quella di Vonnegut è quindi un'asserzione senza tutta la relativa discussione, una quasi esclusiva trasgressione di 'IJ fi' H -.,_.'4' --=.1 ~ : ==~ ,_, -- - . - -·---- 11' l..=:=:-:::E: ·-._ ~.':?..::-=·· l t "

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