Linea d'ombra - anno VII - n. 40 - lug.-ago. 1989

INCONTRI/LEIRIS Pablo Picasso: Miche/ Leiris ( 1963). J.J.: Anche La possession et ses aspects lhéatraux (39) è in qualche modo una derrùstificazionede/lapossessione, che in ogni caso mostra-idea ripresa più tardi da Rouget (40)-che è necessario che si abbia già l'idea di essere posseduti per essere posseduti. È così. J.J.: Per contro, non credo che si possa dire lo stesso dei tuoi lavori sull'arte africana. Afrique noire. La création plastique ( 41) · mi,sembra un libro più convenzionale. Più ortodosso. J.J.: Insomma, nella forma, è più '>;icinoa La langue secrète, che è anch'esso più ortodosso. Sì. D'altronde,Afrique noire. La création plastique era un libro scritto su commissione per una collana di cui conoscevo bene il carattere. • J.J. : Alcuni critici letterari, e perfino alcuni commentatori etnologici, hanno detto di te che eri stato uno dei primi,a lanciare l'idea di un' "etnografia di se stessi". Ma questa è un' espressione che tu non hai mai utilizzato. Penso che, se si scavasse a fondo, si scoprirebbe che è completamente falso. Le analisi che ho proposto-per esempio l 'impressione che, da piccolo, mi facevano le idee che nascevano in me da parole che comprendevo male - cosa hanno a che vedere con l'etnografia di se stessi? Quando ne L' Age d' homme ( 42) parlo dei miei primi risvegli sessuali, non c'è in questo niente di etnografico. Quel che si presta a confusione è che in effetti, nei miei Titres et Travaux, ho detto che in fondo si trattava di uno stesso scopo che perseguivo attraverso due vie differenti: volevo cioè arrivare a un'antropologia generale attraverso l'osservazione di me stesso e quella di persone appartenenti ad altre società. Non è la stessa cosa. Evidentemente, sai cheLaRègle dujeu (43) è stato scritto in gran parte a partire da schede, ebbene la pratica delle schede mi era divenuta familiare attraverso l'etnografia. Credo che se non fossi stato un etnografo, non mi sarebbe venula l'idea di far delle schede. Avrei preso appunti, ma non sarebbe stata la stessa cosa, non sarebbero state quelle schede che poi potevo manipolare, cambiare di posto, ecc. Quel che c'è di etnografico in tutto questo è la manipolazione delle schede, e credo che sia un po' poco per poter parlare di "etnografia di se stessi"! Se avessi fatto un'etnografia di me stesso, mi sarei molto dilungato sui miei genitori, su chi erano, sull'ambiente da cui provenivano: 90 J .J. : Quando hai scritto Le Sacré dans la vie quotidienne ( 44) non vi eraforse l'abbozzo di un'etnografia di se stessi? Questo sì! Effettivamente era qualcosa di simile all'etnografia. Credo che in Le Sacré dans la vie quotidienne non ho descritto me stesso, ma in fondo l'ambiente nel quale vivevo. J.J.: Nei suoi corsi, Mauss aveva parlato di "etnografia letteraria". A cosa faceva allusione? Ci dava come esempi autori come Lafcadio Hèam. Fin dai progetti di prefazione a L'Afriquefantome, pensavo che nell'etno-· grafia dovesse intervenire la soggettività; ma la soggettività, se posso dirlo, deve essere in funzione dell'oggettività. E l'oggettività, l'esterno, in fin dei conti gli altri, che devono essere descritti in modo valido. Non noi stessi. Mettiamo in scena noi stessi solo per permettere il calcolo dell'errore. J.J. : Che cosa intendi per "calcolo dell'errore"? Credo che sia stato nei corsi di filosofia che ho sentito parlare per la prima volta di calcolo dell'errore. So che questo mi aveva galvanizzato. Era per me una specie di valorizzazione dell 'er- · rore. Se questo appare nei due progetti di prefazione a L' Afrique fantome, è anche per mia difesa. Sono quasi dei progetti di arringa, con l'evidente malafede che può esserci nell'arringa di un avvocato. J.J.: Rispetto ai due poli che, in gran parte, hanno organizzato il nostro universo intellettuale, diciamo Sartre e Lévi-Strauss, ti si situerebbe più dalla parte di Sarte che da quella di LéviStrauss. A un certo punto, per alcuni anni ho subilo fortemente l'influenza di Sartre. Credo di poter dire che, sebbene avessi per lui molta stima e amicizia, non ho mai subilo l'influenza di LéviStrauss. J.J. : In che cosa Sartre ti ha maggiormente influenzato? ·Attraverso la sua volontà di vivere secondo la sua filosofia. Inoltre, ho avuto contatti mollo più intimi con Sartre che con Lévi-Strauss. Di Sartre mi interessava la sua ricerca di una morale, che peraltro non è mai giunto a stabilire. · J.J.: Non credi dipenda dal fatto che, malgrado il tuo pessimismo attuale, tu conservi una certa fiducia nell'avvenire, restando infondo un "umanista". Nel mio stato d'animo attuale, direi che la mia speranza, che non ha assolutamente nulla di sociale né di umanitario, è l'idea che, dopo tutto, se riesco ancora a trovare della poesia da qualche parte, vuol dire che non lutto è assurdo. S.P. : È una speranza per la letteratura, ma per l'etnologia? Mah, per la verità non fondo alcuna speranza sulla sola etnologia. S.P. : Attualmente lei legge degli studi etnologici? No. Per niente. Sono troppo pigro. Credo che l'etnologia possa apportare delle conoscenze interessanti, come per esempio - non è immediatamente della etnologia ma le è attinente- i lavo-

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