INCONTRI/LEIRIS Sì, maa questo proposito devo fare la mia autocritica. Ho scritto un libro su Lam, inedito in francese ma che è stato pubblicato aMilano (18); al suo interno parlo diLam insistendo sulla sua doppia origine (padre cinese stabilitosi a Cuba e sposato con una mulatta), sull'influenza reale -come se Lam fosse stato fatto solo di influenze ricevute! -del suo ambiente natale e soprattutto della sua madrina che esercitava la professione di "stregone", cosa di cui egli andava peraltro assai fiero. Parlo di questo pittore in termini etnografici; in fondo, non ne parlo come parlerei di un altro artista o almeno per quest'ultimo non mi interesserebbe molto sapere se è d'origine bretone o basca o altro. J.J. :Insomma,nonhaiparlatodiLamnel modo in cuihaiparlatodi Bacon. In effetti, di Bacon non mi sono mai divertito a dire che eranàto in Irlanda da un padre inglese, allevatore di cavalli da corsa. Ciò che mi interessa in Bacon è che rende in pittura quel che il mio amico David Sy 1 vester chiama, riprendendo un'espressione di Bacon a proposito di Picasso, the brutalityoffact, la brutalità del fatto. J.J. : Questonon è molto surrealista! Effettivamente. E comunque surrealismo è rimasto, a causa dell'influenza freudiana e di altre influenze, molto simbolista, dunque idealista. S.P.: Nel 1950,in L'etnografia davanti al colonialismo (19), leihascritto:"Sevi è uninteressecertonelladiffusionedel!'istruzionepressoquestipopoli, non è perchéal lorosistemadi ideesi sostituiscanoi nostri,maperchéquestipopoli sianoattrezzatiintellettualmentecome lo siamonoi, in grado,di conseguenza,di prendereinmano il proprio destino". Oggi,quasi quarant'anni più tardi,laMartinicae la Guadalupasonoancora sottoladominazionefrancese,mentrelamaggiorparte delleisolevicineha preso in mano il proprio destino.Pensa che il colonialismonelleAntille, nellasua versionefrancese, abbiaaccettatomenovo- 'lontieridi altripaesi di effettuarequestopassaggiodi responsabilità?Dettoin altreparole, laFrancia è forse, se così sipuò dire, "riuscita"megliodi altripaesi colonizzatoria imporreil suo sistemadi idee e di valori? La Francia ha fatto come ha sempre fatto il colonialismo francese, che era per l'appunto, a differenza del colonialismo britannico dove dopo tutto c'era un certo rispetto delle idee locali, un colonialismo assimilazionista, "i nostri avi i Galli", il sistema metrico, etc. Però non penso affatto, proprio per niente, che si sia trattato di una riuscita. S.P. : Da un certopunto di vista si potrebbe considerarela Martinicacomelapiù "europea" di tutte lè isole antillesi! Dipende appunto dalla dottrina coloni~lé francese, che è più assimilazionista che associativa. S.P.: Eppurequestonon è affattoil casodelleex-coloniefran- .cesi d'Africa. · Una differenza enorme tra le Antille francesi e l'Africa è che nelle Antille non ci sono autoctoni. Le popolazioni sono esclusivamente fatte di immigrati, sia, "in cima", i capostipiti della fa84 miglia e altri, sia i neri portati dalla tratta. Gli autoctoni, che erano i caraibici, sono totalmente scomparsi. In Africa, invece, gli europei si sono sovrapposti a dei gruppi autoctoni. Nelle Antille, dove nessuno era a casa sua, la politica assimilazionista della Francia aveva più possibilità di successo di quante non ne avesse in Africa. S.P.: Unadellecosecheoggi potremmoconsiderarepotreb- ' be esserel'evoluzionedelMuseo del 'Uomo nei suoidiversimomenti.Lei mi ha detto unavoltache negli anni Trentac'era una sortadisentimentocomuneper il qualebisognavadimostrareche l'etnologiaera una scienza. Noi etnografi dovevamo difenderci dall'accusa di essere dei letterati. Purtoppo l'etnologia è divenuta gergale, perch' solo parlando i.ngergo ci si afferma coine scienziati. S.P.: Maquandohaavutoluogoquestocambiamento? È stato brusco? Non è stato un cambiamento brusco, ma si è manifestato con la sistemazione, molto austera, del Museo dell'Uomo nel 1937.È stata un'idea di Rivière di rinunciare alle bacheche in legno per adottare quelle metalliche, in modo che il museo sembrasse più sobrio, più rigoroso, diciamo. E poi anche l'antiestetismo di Rivière e del suo entourage di quell'epoca. Non si voleva più sentir parlare di "arte negra", era diventata troppo di moda. L' etnografia d'altronde non poteva ridursi a ciò che si chiamava !"'arte negra" o allo studio delle arti esotiche. S.P. : A quel 'epoca lei era già al Museo dell'Uomo? Sì, vi ero dall'inizio. E condividevo queste idee, non lo nascondo. Ma in quel periodo era un modo di vedere molto diffuso, perché era una reazione all'aspetto tremendamente estetico dello sguardo che si rivolgeva a quelle civiltà. Noi eravamo sia contro gli esploratori che volevano ad ogni costo romanticizzare, eroicizzare il rapporto con i popoli studiati, sia contro la lettura estetica di certe produzioni di quei popoli. J.J.: Da questareazionecontrol'estetismoderivaforse larigiditàdei testietnograficie ilformalismodellemonografie,lacui lettura,almenoinFrancia, è spessofastidiosa e talvoltanoiosa. Io penso chenon si tratti solamentedi unproblemadi scrittura, certi testipossono essere scrittimoltobene... Sì, si trattà piuttosto di una questione di punto di vista. J.J. :.. dipuntodi vista, infatti,e nonsolodi scrittura.Hol' impressionechenel!'antropologiaanglosassone,inparticolareinglese, sebbene lì i rapporti col mondo delle arti e delle lettere sianostatimenoespliciticheinFrancia,lemonografiesianomeno rigidee dunquemenonoiose.Pensonellafattispeciealleopere diEvans-Pritcharde diMalinowski,dove lapiù acutaespressione scientifica non esclude la dimensionepoetica e, qualche volta,persino epica. Anche senza conoscere molto bene l'etnologia inglese, mi sembra che pressò gli inglesi ci siano stati più contatti con l'oggetto di studio. Per i francesi ha forse giocato il leggendario spirito cartesiano. Anzi, è persino probabile.
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