Linea d'ombra - anno VII - n. 40 - lug.-ago. 1989

Quante volte è stata creata He weeps for you, l'opera video di Bill Viola apparsa per la prima volta nel 1976? Semplice, una, nessuna e centomila. Difatti, posti di fronte a questo lavoro, assistiamo in un batter d'occhio al dissolversi di una tenace coppia di concetti, l'originale e la copia, bagaglio intellettuale del tutto inadeguato quando ci si accinge a esplorare, o anche semplicemente a passeggiare nella zona genericamente etichettata come video arte. Ed è lo smarrimento che sulle prime prevale. Un po' come in certi paradossi semantici ("io sto mentendo", affermava Eubilide, situandosi al di là degli enunciati veri e di quelli falsi), oppure ottici (perché di fronte a uno specchio la destra e la sinistra si invertono e il sopra e il sotto no?); paradossi.che ci inducono a riconsiderare le nostre chiavi d'accesso allareitltà, riscoprendola e riplasmandola in forme insospettabili. Sono un paradosso, oggi, i celebri frattali e"Joè buona parte della ricerca video. Come il lavoro dì Bill Vìola, riproposto a Colonia (18(3 - 23/4) .nell'ambito dì "Videoskulptur", una manifestazione di notevoli dimensioni, curata da Wulf Herzogenrath e Edith Decker. H e weeps f or you relazion~ con straordinaria semplicità, una telecamera, un monitor, un rubinetto, unagocciad'acqua, un tamburello ... e chiunque si ponga nei pressidelmarchingegno. La faccenda funziona così: con la solita fatica, una goccia fa capolino sull'orlo del rubinetto. Qualcuno si avvicina per osservare. Inquadrata dalla telecamera, la figura che si forma (persona più goccia) tramite un naturale fish eye, viene trasmessa su uno schermo, allungandosi e deforrrtandosì sempre più col formarsi definitivo della goccia, sino al momento in cui cade: tlang! Lafigurasvaniscesulla nota di un tamburello posto al di sotto del rubinetto. Un haiku o qualcosa del genere, dove il senso sta pifrnel lettore che nel componimento stesso. In questo senso, il lavoro di Bill Viola è un vero e proprio paradigma della cultura video. Da un lato, saldamente ancorato alla tradizione delle artivisive, ripropone la dimensione rituale sottesa ali' auraticìtà dell'opera d'arte (l' oggetto unico e i suoi luoghi deputati, chiese, gallerie, musei o collezioni private); dall'altro, integralmente tecnologico, seriale, capace dì ri-copìarsi illimitatamente. Ma, a ben vedere, l'opera non c'è, non è 58 V I D E O UNA TELECAMERA,UN MONITOR, UNA GOCCIA D'ACQUA, UN TAMBURELLO... GennaroFucile,PeoloRosa né unica, né ricopiata centomila volte, dal momento che ogni spettatore contempla, riedita e ripropone un'opera identica e diversa nello stesso tempo. E nemmeno nel progetto c'è la sua dimensione specifica, ma è nella simulazione ,dì questi tre livelli (manufatto, copia, progetto) che va cercata la vera dimensione culturale di questo lavoro e di buona parte della ricerca video contemporànea, che consideralo spettatore e l 'ambìente come funzioni narrative indispensabili per la generazione del senso dei propri racconti. Ma tutto ciò la rassegna dì Colonia lo ha lasciato solo intuire, proponendosi altro. Attraverso l'esibizione di ben 46 opere, distribuite tra gli spazi del Kolnscher Kunstverain e del capannone della Dumont Kunsthalle, ha inteso ricostruire un percorso storico che dal '63 aiTivaai nostri giorni. Un impegno notevole, completamente snobbato dalla nostra stampa, specializzata e non, a riprova della reale attenzione ·verso la ricerca reale sui linguaggi tecnologici esistente oggi in Italia. L'esposizione, che verrà riproposta aBerlino (dal 27/8 al 24/ 9) e aZurigo (dal 13/10 al 12/11), ha registrato due sole presenze italiane, Studio Azzurro e Fabrizio Plessi, che ben riassumono i differenti percorsi intrapresi_,negli anni Ottanta, dalle ricerche sui media elettronici. Percorsi che "Vìdeoskulptur" (piuttosto impropria come definizione!) ha m ncolosamente ricostruito. Dalle prime esplorazioni del mezzo televisivo (l'essenzialità dei primi lavori del pionere Nam June Paik) agli sviNamJunePaik, Klausvon Brucke Wolf Vostell. luppì coincidenti con il diffondersi delle tecnologie leggere e della possibilità sia di produrre nuove immagini sia di lavorare su un concetto caro agli artisti della prima metà degli anni Settanta: il tempo reale (le lunghe sequenze, le telecamere a circuito chiuso). È il momento forte della videoart: Bruce Nauman, Dan Graham, Peter Campus, ancora Paik, ancora Vostell (altropioneredegli anni Sessanta), sono alcuni dei nomi che meglio esprimono l'esigenza generale di rapportarsi con immediatezza a una dinamica dì tipo sociale. Poi la discesa. Alla fine degli anni Settanta, sotto il pressante ritorno alla materialità espressionista, alla pittura, al mercato e alla merce, alla figura "spirituale" dell'artista, la svolta: brusca, potente e sorretta da una spietata logica di mercato che sembra spegnere una volta per tutte lo schermo. Non è così, però. Sulla scena degli anni Ottanta si presentano due nuove intenzioni. La prima intende ormai le arti visive solo come uno tra i tanti campi in cui travasare esperienze, insieme al cinema, al teatro, alla musica, evidenziando un nuovo interesse verso la narratività e un nuovo modo di proporla grazie, appunto, al ruolo centrale dello spettatore e del1' ambiente. Si scopre il rapporto non inerte con ilmezzo televisivo, sì cerca un rapporto con l'aspetto commerciale più limpido e meno travestito. La seconda tendenza si volge indietro, aggrappandosi con tenacia allo specifico delle origini: il video è "materia prima" (è il titolo di un'opera esposta), e "come l'argilla sì plasmae come ìl co- !ore si stende" (Buky Schwartz, altro artista presente a Colonia). Sì equivoca, dunque, la natura geneticamente spettacolare del mezzo, contrapponendo spesso una poetìcaadirpococontrita. Un rapporto con il mezzo televisivo di tipo decorativo, come sì conviene a chi è subordinato a un'esperienza più forte. E questo paradossalmente è il racconto della ciclopica e involontaria opera video chiamata "Videoskulptur", racconto scaturito dall'installazione dì 46 lavori per loro natura unici e seriali, come il candido haìku dì Bill Vìola, che ne è stato, in un certo senso, il cuore, con tutti i suoi contrastanti sentimenti, e la mente, suggerendo ironicamente che ll museo della ricerca video resta ancora da immaginare. Insomma, ben scavato vecchia goccia!

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