Linea d'ombra - anno VII - n. 40 - lug.-ago. 1989

IL CONTESTO • Il messaggio de.gli studenti cinesi I Nord e Sud della Cina, i Nord e Sud del mondo: la "logica" di un massacro, gli opportunismi dell'Occidente · Edoarda Masi Mi eroproposta di ricercare emettere in evidenzaalcune contraddizioni di fondo nella società cinese utilizzando principalmente opere letterarie, televisive, cinematografiche, insieme con i dati biografici di scrittori e con opinioni da loro espressepubblicamente. In assenza o per insufficienza di altre fonti utili. La tragedia di questi giorni rendenon più necessario il ricorsoa fonti indirette e a vie traverse: con la loro azione coraggiosa, politicamente esemplare, gli studenti di Pechino hanno costretto tutti a scoprire le carte. In molti sapevanoquel che rischiavanoma hanno ugualmente adempiuto il compito che da un secolo si è assunto la gioventùcolta, rinnovando ai fini della riforma e della rivoluzione la funzione dei letterati onesti: dire la verità per il bene del paese senza timore della morte. Il messaggio degli studenti non è più indirizzato_verso l'alto e non si ferma ai confini pur vasti della Cina, come durante l'impero, ma è diretto al popolo e al mondo intero.Chiedono che noi tutti loraccogliamo e locomprendiamo, perché ci riguarda. · I soli a capirlo sembra siano i giornalisti al serviziodei centri di potere in Occidente: mostrano spesso un'ignoranza totale delle cose cinesi, ma possiedono un istinto sicuro su come rigirarle sec_ondogli interessi dei loro committenti. In questo caso il capovolgimentodella realtà sembrava impossibile, tanto i fatti parlano chiaro: ma niente è impossibileper chi - direbbe un cinese - non conosce la vergogna. Da dieci anni vanno esaltando I' attualegovernodi Pechino e il suonume tutelare DengXiaopingcome i grandi riformatori, gli amici dell'America, quelli che finalmente hanno portato la Cina sulla via dell'Occidente e con la privatizzazionenelle campagne e il reingresso nel mercatomondiale l'hanno svincolata dal dispotismodi MaoZedonge dal medioevo del socialismo, facendone un paese avviato allo sviluppoe alla prosperità, in grado di cominciare a godere, finalmente libero, dei nostri consumi culturali che sono la gioia della vita. Ora, una popolazione intera, in tutti i suoi strati dagldnteressi differenziati e anche divergenti, insorge compatta e ostinata contro il governo patrocinato da Deng: ed ecco questo governo tentare ripetutamente la repressione manumilitari, senza esito; e rendersi autore alla fine di una strage di popolo inerme nel cuore della capitale, di proporzioni senza precedenti perfino sotto i signori della guerra degli anni Venti, e paragonabile per numero di morti forse solo a quella degli operai e dei sindacalisti·di Shanghai nel 1927 ad opera del Guomindang. .Bene, gli stessi giornalisti, di fronte alla catastrofe della politica da loro esaltata fino a ieri e·alla stragemessa in atto dai dirigenti sostenuti da loroe dai loro padroni, hannoil coraggio di scriverecon tutta tranquillitàche quanto avviene a Pechino è opera dei "conservatori" (nome finora attribuito agli avversari di Deng, vecchi comunisti non meglio definiti - non si sa se seguaci di Mao o suoi accaniti avversari), e che l'àzione di quella che lo stessoMao Zedong aveva chiamato "dittatura fascista" è prova dell'impotenza e della criminalità del socialismo. Posizionicosì indecenti non andrebbero neppureprese inconsiderazione, se non fosse che, occupando quasi tutto lo spazio fisico della comunicazione, condizionano l'opinione pubblica, al punto da rendere vano, o quanto meno inquinare qualunque proposito di discorso pulito. Ma vediamo ugualmente di tentarlo. Attribuire alla follia le azioni criminose di uomini di goyerno è un espediente facile quanto insulso. Attribuirle ad insipien4 za politica e incapacità può essere più sensato, ma esaurisce solo un piccolo quoziente del problema. Certo, governanti più abili in Cina avrebbero ,trovato qualche soluzione di provvisorio compromesso prima di giungere a certi estremi spaventosi. Ma sarebbemutata solo la tattica nel gestire un conflittoprofondissimo fra popolazione cittadina e classe dirigente. La sostanza del conflitto sarebbe rimasta. Come rimane, anche dopo le stragi. La classe dirigente è burocratico-mandarinale. Dalle rivendicazioni degli studenti alla satira nelle opere letterarie, dagli slogan popolari alla tormentata insoddisfazione espressa in alcuni dibattiti pubblici, in film, in serie televisive (le sole fonti dirette o indirettedi cui disponiamo) emerge che il rifiuto di consenso ai governanti da parte dell'opinione nel suo complesso non si motiva dalla loro politica economica:ancora troppo socialistama dal loro dispotismo politico; il quale, congiunto a una ..liberalizzaz4one"economicà incondizioni di grande povertà, produce un intreccioperverso di legami fra il mondo del capitale finan!:iarioe laburocraziaal potere, agli alti livelli; e di legami fra iLpiccoloaffarismoe ipiccoli burocrati, ai bassi livelli. Quellache con un termine riduttivo viene chiamata corruzione non è un fenomeno marginaledi disonestà, ma è strutturale al quadro economico-politico. Riproducequanto la Cina ha ben conosciutonegli anni Trentae Quarantasotto il governoapartito unicodei nazionalistipiù omenooccidentalizzantidelGuomindang. Granparte degli intellettuali e degli operai cinesi ne sono consapevoli. Come è possibile che dopo la guerra civile durata oltre vent'anni e conclusa con la catastrofe del Guomindang, la lunga rivoluzione contadina, l'impegno di un popolo intero per costruire il paese su principi nuovi con un'estrema pulizia e una diffusa democraziadi base, si giungaalla ricostituzione, e nuovamente al marciume, di quel capitalismo burocratico che pareva non solo sconfitto ma ormai privo di radici, alla conseguente politica impopolare, e ancora a sintomi tremendi di guerra civile? L'unità su cui si fondòai suoi inizi laRepubblicaPopolare era reale nei confronti del mondo esterno. Per "mondo esterno" non intendosologli aggressori giapponesi mal' interocontestodel capitalismo-imperialismo occidentale - coincidente, come area, con quello che oggi viene chiamato il Nord del mondo. Da quel contesto, e non solo dal Giappone, i cinesi si erano liberati con la guerra di resistenza seguita dall'ultima fase della guerra civile. Nonostante la grande eredità passata e per larga parte a causa del colonialismo, la Cina era ridotta in quel contesto alla condizione di miseria e subalternità propria delle aree mondiali di capitalismo non metropolitano. Avere scelto come punto di partenza e come base la rivoluzione contadina ha voluto dire assumere per ilpaese intero la condizione subalterna e da quella procedere (penosamente, faticosamente) alla propria liberazione. Questo programma fu vincente, con difficoltà, durante la resistenza antigiapponese, ed ebbe un successo travolgente negli anni successivi, quando- per usare.l'espressione di Jack Belden - "La Cina scosse il mondo". Le conseguenze di quelle vittorie duraronoa lungo nellaRepubblica Popolare, e ancora oggi determinano largamente l'ethos collettivo. E tuttavia fin dai primi anni del nuovo Stato, superata la fase di riassestamento, fu chiaro che la sola unità era quella riflessa dalla comune resistenza all'imperialismo: la Cina si era "alzata in piedi", era una nazione. Ma i rapporti interni erano conflittuali su più piani e suscettibili

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