Linea d'ombra - anno VII - n. 40 - lug.-ago. 1989

bili di un passato svuotato di memoria. Congelata in un assoluto presente, I''azione non parla al futuro e rifiuta il registro sentimentale della nostalgia. Il corpo maschile, se per accidente viene a contatto con un corpo femminile, esplode in un grido di orrore e paura e ripiega, come in cerca di un porto sicuro, verso il luogo protetto che è l'altro corpo maschile. Approdata, dalle secche degli acrobaticismi atletici della compagnia Pilobulos, a una forma eccentrica e provocatoria di teatro-danza, la Clarke è, forse meglio di chiunque altro, un segno dei tempi. Con lei la danza si è fatta forma tra le altre, in una struttura polimorfa e complessa che accomuna generi e crea sofisticati non gerarchici sconfinamenti di campo per distillare, con tecniche da collage ma anche da montaggio cinematografico, un'estetica descrittiva, bidimensionale, del tutto pittorica se pure profondamente segnata, sul piano dei contenuti, in direzione letteraria. Heaven UpNorth, Paradiso su a nord. Così si chiama l'ultima opera di Tere O'Connor, un giovanissimo coreografo dal segno inconfondibile e dallo sguardo lucido. Per descriverla i critici americani hanno parlato di "passione intellettuale" e di "purezza fuori dal comune", di "eleganza" e di "raffinatezza" mescolate a un grande humor e al coraggio di imporre a Uf! brano coreografico il peso dell'allegoria e ancor più di una visione soggettiva non limitata all'universo della danza. Già, perché O'Connor, come forse pochi altri oggi negli Stati Uniti, I_>ensaalladanzacome a una scrittura da usare. Non l'unica e soprattutto non destinata a occuparsi di se stessa; a parlarsi, se pur in modo critico parodico stru- .mentale, addosso. In campo sembrano esserci altri valori e ben al- . tre preoccupazioni: la guerra forse persa tra natura e civilizzazione, tra ritmi vitali e alterazione tecnologica, tra divinità e macchi- . ne, femminile e maschile. Fuori da tentazioni ideologiche, perché l'obiettivo non è quello di ripristinare il paradiso perduto, ma di imparare a vivere e a rappresentare in regime di ambiguità. La contraddizione, reale, non può essere sciolta o occultata. Deve dunque trovare una forma intelligente che la contenga, che le permetta di manifestarsi come tale, binaria estrema polare inconciliabile. Un tentativo non scontato in campo coreografico. Orfeo è in frack e si mantiene intrattenendo con le sue canzoni una società ricca e annoiata, indecifrabile se non fosse per i costumi e gli arredi di scena che la collocano in piena depressione americana. Ma Orfeo - al mito non si scappa:- si innamora di Euridice (la camerierina di casa Lamorte). E, come previsto, la perde, perdendo lui la vista, in un incidente automobilistico. Visionaria, incalzante, inizia la ricerca del-bene perduto. Gli inferi si spalancano e Orfeo si fa strada tra le furie cantando le sue canzoni e ingaggiando disarticolati, surreali, rarefatti movimenti di danza con le ombre che incontra e che sono il doppio perfetto della società terrena abbandonata per amore. Ma Euridice, ritrovata, non tornerà in vita. Per un difetto di energia da parte di Orfeo, o di fiducia. Così fohn Kelly, nel recente e acclamatissimo Find My Way Home, ha forse inèonsa~volmente scelto di metaforizzare lo stato attuale delle cose. L'amore tra un uomo e una donna è zona senza ritorno e l'arte non può che, nostalgicamente, inclinare al passato e forse sostituirsi alla vita. Emotivamente e contenutisticamente assai densa, Find My Way Home è anche nella forma un' opéra iperstratificata, impossibile da classificare. Ai dialoghi si è sostituito il movimento di danza e il testo è dato da un collage spericolato di arie operistiche e di brani musicali (Berg, Hollander, Mussorgsky, Verdi, Gluck, Noel Coward). Le varie sequenze sono montate con logica cinematografica e l'allusione all'apparato filmico si materializza a più riprese in spezzoni di film che intervengono a condurre/commentare/problematizzare l'azione scenica. La carrellata di flash potrebbe con facilità andare avanti nella direzione indicata, perché se una cifra chiara è emersa attraverso gli anni Ottanta nella nuova danza americana, è proprio quella di un recupero netto di quanto a ragione è stato definito il "nuovo emozionalismo", insieme a una passione rinnovata per la narrazione e al bisogrhdi uscire dalle algidità formalistiche del postmodernismo del decennio scorso attraverso un discorso e contenuti capaci di dare sostanza e corpo alla ricerca coreografica. Come ha scritto Joan Acocella, usando la definizione di "postmodernismo analitico" per riferirsi alla danza degli anni Settanta, "la coreografia pura, fattuale, che ci impediva di vedere alcunché al di là del movimento e della struttura, è stata archiviata. L' emozione ha fatto ritorno in città". All'inizio in forme estreme, aggressive e anche un tantino ingenue (la scoperta del privato, la smania autobiografica, il ricorso alla parola come collante narrativo e complemento coreografico, l'assunzione esplicita di un punto di vista politico o ·quantomeno critico nei confronti della società americana, la fissazione multimediale). Oggi in modo più riflessivo e maturo, senza gli spontaneismi e il nwcisismo selvaggio di tanti protagonisti di quella che è stata chiamata la "me generation'.'. Le emozioni continuano a circolare, rese anzi ancora più potentidall' eliminazione di una radicalità assunta come dover essere artistico, ma è come se si fossero riassorbite nel danzare, con il risultato di sembrare più austere, più ambigue, più elaborate. Si sono date forma. Somigliano aH'arte, non alla vita. Anche in quegli autori che hanno.scelto di continuare a usare la danza come metalingmiggio e strumento di critica e impegno politico (Diane Martel, Yoshiko Chuma, Ismael Houston-Jones, Bebe Miller, Biondelle Cummings tra gli altri) la ricerca sul vocabolario dei movimenti e sulla specificità della danza come lessico comunicativo è ritornata in equilibrio con i contenuti. Altri, come Susan · Marshall inArms, Stephen Petronio in Walk-in, DanaReitz in Solos in Silence, lo stesso Mark Morris in Stabat Mater e alcuni dei grandi della generazione precedente, da Lucinda Childs ~n Portraits in Reflection a David Gordon in My Folks, fino a Merce Cunningham nei suoi ultimi lavori, sembrano essersi concentrati su una ricerca di forma il cui motore primario resta l'emozione, ma contenpta, non esibita, costantemente controllata e filtrata. Con esiti, misteriosi e potenti, di accumulazione, intensità e patos. Come se i movimenti non potessero mentire, né rimanere muti o chiusi in se stessi. 57

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