SOTTO VUOTO SPINTO LENUOVE LEVEDELBALLETTOIN AMERICA Maria Nadotti Il "Village Voice" è uscito tempo fa con un supplemento speciale dedicato alla nuova dariza. Il titolo, maliziosamente o simpateticamente, è una citazione: Great Expectations, grandi aspettative. Da lì in avanti, con toni forse enfatici e anche un tantino melodrammatici parte una lettura a forti tinte, se pur del tutto sociologica, sullo stato attuale delle cose nel mondo della giovane coreografia statunitense, c~e come è noto ha il suo epicentro proprio nella grande mela. Il problema-come afferma l'autrice Sally Sommer-sembra essere di stampo squisitamente economico: "il mondo della danza di Downtown è più di una collocazione geografica. È un mcido di pensare. Uns, stile. È dove si comincia. Downtown è la camera d'incubazione dei nuovi talenti, il terreno di coltura dei coreografi del futuro. Gli spazi teatrali di Downtown sono le serre dove i giovani coreografi possono mostrare il loro lavoro. Ma le serre possono trasformarsi in pentole a pressione." Perchéquesta la tesi del "Voice" - i nuovi talenti possano nascere, crescere, maturare, è indispensabile che gli vengano garantiti itempi e le condizioni per sperimentare e trovare ognuno una propria voce originale. Sul finire degli anni Ottanta, in conseguenza dei tagli netti operati dal governo sui fondi destinati alle arti, non solo queste-condizioni non sono garantite, ma ha preso piede una logica pericolosa e controproducente che premia i migliori, eliminà gli incerti e soprattutto non prevede che si possano fare errori o esperimenti troppo avanzati e non finalizzati a un immediato riconoscimento di critica è di pubblico. In queste condizioni il rischio è quello di veder fiorire solo quello che è già stato c.ollaudato e di assistere a una contagiosa opportunistica rincorsa alla formula già sperimentata, alla citazione e all'autocitazione. Per fortuna c'è chi tiene duro. Vediamone alcuni. La scena è nuda, appena articolata da luci asimmetriche che ne sprofondano il lato sinistro in un'inquietante oscurità da sottosuolo e ne proiettano il lato destro in una solarità meridiana e aggressiva. Sul fondo Mo lissa Fenley, il corpo esile e infantile scosso da un tremito e altrimenti immobile, dà il via a uno dei più incredibili a solo della danza americana contemporanea. Mantenendo il movimento iniziale come punteggiat~ scansione nucleo tematico dell'intero pezzo, 35 minuti filati di vero e proprio virtuosismo coreografico, la danzatrice entra in collisione con uno dei testi musicali più ardui, misteriosi, pericolosi del nostro secolo, quella Sagra della Primavera composta da Stravinsky e, da Diaghilev/Nijinsky in avanti, pensata per grandi compagnie e per apparati scenografici complessi, macchinosi, parateatrali. La musica, discordante estrema eppure intensamente melodica, è un sottotesto, ma anche una provocazione. La performance infatti; un tour de force generoso e spietato, emotivamente sovraccarico, alternativamente ne raccoglie e ne nega le istigazioni. Anch'essa parla di polarità, di convivenza di opposti incompatibili, del desiderio di un 'integrazione impossibile (tra il maschile e il femminile? tra soggettività e mondo esternò? tra principio del piacere e principio di morte?). Costruita come un monologo interibre, come un concentratissimo flusso di coscienza prodotto per via di libere associazioni eppure racchiuso in una struttura esplosivamente disciplinata, la Sagra della Fenley è, secondo le parole della co56 reografa, "la risposta a un interrogativo esistenziale prima che coreografico. Un viaggio di esplorazione, un percorso iniziatico, che si misura con la paura e il bisogno di dare un senso alla vita e alla morte, in un universo che ha perso contatto con la propria naturalità". State of Darkness, questo il titolo del pezzo, come il precedente In Recognition dedicato ali 'amico e coreografo Arnie Zane, morto di Aids, segna per la Fenley il passaggio da unaricerca sul vocabolario dei movimenti mirata a potenziarne velocità forza resistenza e a enfatizzare l'uso del corpo come significato in sé, a una fase dolente e riflessiva in cui la danza viene recuperata come linguaggio e veicolo di contenuti mentali, psichici, emòtivi, come discorso di cui il corpo è parola. Il set ha la complessità delle più suggestive màcchinerie teatrali. Il copione non prevede dialoghi, ma una ricchissima trama musicale e canora che a buon diritto potrebbe collocare nella categoria operistica Miracolo d'amore, il lavoro della coreografa Sopra: Susan Marshall e un suo partner. Nella pa~ina di fronte: Walk-in (Stephen Petronio co.t loto di Johan ElbersJ. Martha Clarke, che in maggio è stato presentato al Festival di Spoleto/Charleston e da giugno a settembre all 'International Festival of the Arts di New York. In scena, accanto ad alcuni cantanti lirici di professione, Rob Besserer, John Kelly e altri tra i migliori interpreti della nuova danza newyorkese. Travestiti.oppure nudi, ma sfigurati da gobbe e da maschere grottesche e surreali, gli interpreti partecipano al gioco della Clarke improvvisando gesti inediti e piegàndo il corpo in un repertorio di movimenti intrigante e bizzarro. Su uno sfondo di rovine architettoniche minacciosamente aggraziato si gioca il teatrino impossibile della fine del mondo: gli uomini si attraggono l'un l'altro in spericolati tropismi erotici, mentre le donne vengono lasciate a guardare e a ballare, mestamente, con corpi-simulacro, scheletri rattrappiti e improba-
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