Linea d'ombra - anno VII - n. 40 - lug.-ago. 1989

tavia, in cui la pace è valore supremo, considerp che l'uomo, a certe condizioni, preferisca il rischio della morte ad una vita non degna di essere vissuta: "non si stima che la vita stessa, nella condizione di un perpetuo disprezzo, valga la pena di essere goduta, e molto meno la pace" (Elementi di legge naturale.e politica, I, XVI, II). Si potrebbe ribattere che in questo caso non è in gioco la vita dell'individuo, ma la sopravvivenza della specie: che dirit- . to abbiamo di decidere per i posteri? L'argomento è convincente, ma non sgombra tutte le perplessità. Innanzitutto, fino a dove è lecito ritenere che il ricatto termonucleare funzioni? D' accordo, meglio privi di onore, benessere e financo di diritti politici e civili che morti (forse: infatti chi, in questa ipotetica situazione, potrebbe controllare che, una volta subito il ricatto, la catastrofe non avvenga comunque per altre ragioni?): ma anche meglio privi dei più elementari diritti umani, e soprattutto del diritto alla vita, che morti? Chi sente giungere e vede nell'avvenire dei propri figli una morte lenta ma sicura e palpabile, per fame o per stenti o per epidemie, può preoccuparsi seriamente di un rivolgimento terribile e probabilmente letale? O non può giungere persino a sperare, per quanto assurdamente, in una sorta di palingenesi che azzeri l'attuale "equilibrio" economico e politico mondiale? Da un punto di vista occidentale, dunque, e in particolare di scontro fra diversi valori, ideologie e sistemi sociali, è forse plausibile sostenere "meglio rossi che morti", per riprendere !'affermazione attribuita a Russell: ma dall'angolo visuale di un diseredato del terzomondo, la minaccia termonucleare che peso può avere? Robbio stesso pone peraltro, in altri luoghi, la questione: "allo stato attuale della coscienza etica dell'umanità, si tende ariconoscere all'individuo non soltanto il diritto di vivere (che è un diritto elementare e per così dire primordiale dell'uomo) ma anche il di~ittodi avere il minimo indispensabile per vivere( ...) Basta enunciare i termini del problema perché ci si affacci alla mente il grande tema dei rapporti Nord-Sud, cioè del rapporto fra paesi ricchi e paesi poveri, fra paesi che consumano il superfluo e paesi .che mancano del necessari0, come uno dei grandi problemi del nostro tempo" (p. 96). L'effettivo superamento di una prospettiva Est-Ovest del problema della pace e della guerra per mettersi, secondo la regola aurea della morale, nei panni di coloro a cui là salvezza o la fine del mondo sono cose indifferenti appare oggi non' differibile: volere la pace significa volere per tutti una vita degna di essere vissuta. 5. Robbio distingue ed elenca, sulla scorta di Anders, cinque atteggiamenti fondamentali degli uomini di fronte alla minaccia termonucleare: yi sono gli ottimisti o semplificatori, coloro che si rassicurano nella convinzione che "la guerra atomica è, sì, terribile, ma progrio perché terribile, non ci sarà" (equilibrio del terrore); i realisti o minimizzatori, che considerano la guerra atomica diversa solo quantitativamente dalle altre (più morti, ma non estinzione della specie); i fatalisti, ovvero tutti coloro che ritengono la "soluzione finale" ineluttabile o come castigo divino o darwinisticamente come necessità naturale; i fanatici, che ritengono la guerra un male minore rispetto alla perdita di altri valori (ad es., meglio morti che schiavi); infine, i nichilisti, ossia coloro per i quali la morte è addirittura un bene poiché "l'uomo realizza se stesso nella liberazione dell'essere". Questi cinque atteggiamenti possono essere raggruppati in due grandi schiere: la prima, che comprende ottimisti, minimizzatori e financo i fatalisti, appare comunque aperta al dialogo fondato sulla comune convinzione che la vita sia il primo dei beni e la guerra ìl peggiore dei mali; la seconda (fanatici e nichilisti), facendo ricorso a valori ultimi diversi dalla vita, sembra essere impermeabile a qualsiasi argomentazione pacifista: "dei valori ultimi non si discute: si assuIL CONTESTO mono. È difficile persuadere i fautori della crociata contro il totalitarismo che, per riprendere la frase attribuita a Bertrand Russell (ma cheRussell non ha mai pronunciato), è meglio essere rossi che morti. È altrettanto difficile persuadere il nichilista che il valore supremo non è il nulla ma l'essere" (p. 47). Robbio, pur non attribuendo esplicitamente una consistenza numerica ai sosienitori delle diverse posizioni, sembra ritenere che gli atteggiamenti dominanti sia a livello di pubblica opinione sia di "esperti" siano quelli degli ottimisti e dei minimizzatori (e che quindi i reali interlocutori siano loro): le battute finali del saggio Filosofia della guerra nell'era atomica sono rivolte a chi "ha rinunciato a rendersi conto con sincerità, senza falsi idoli, del mondo in cui vive" (p. 53). Certo, questi ultimi sono del pacifismo la controparte storica, che bene o male accetta la discussione e propone tesi rassicuranti cui, in fondo, anche il pacifista vorrebbe credere. Inoltre, costoro appaiono almeno parzialmente consapevoli: gli ottimisti rimuovono il problema per giustificare la loro inerzia, i minimizzatori (che spesso coincidono con i cosiddetti "esperti") Io rimuovono soprattutto per dovere d'ufficio. Non è forse illusorio ritenere che, in questo ultimo decennio, sia avvenuto un certo qual travaso da queste posizioni verso atteggiamenti pacifisti. Ci si potrebbe però chiedere quale sia oggi la schiera prevalente. Un minor numero di uomini sarebbe forse disposto a dire "meglio morti che rossi": ma quanti aderiscono visceralmente ai mess~ggi dei nuovi o rinnovati integralismi e fondamentalismi che si vanno continuamente aggiungendo, sullo scacchiere mondiale, ad un'ideologia della cortina di ferro che non appare del tutto tramontata? E quanti sono, non lontano da noi e anche fra di noi, non i teorici raffinati, ma gli ignari praticanti del nichilismo e di quel nichilismo in potenza che sono l'indifferen~ e il cini- . smo? In una prospettiva di pace, non è forse necessario, anche se certo è tutt'altro che agevole, riuscire a riaprire il dialogo con i primi e a recuperare àIIa vita i secoRdi? · 6. E veniamo (raddoppiando la cautela) ai "rimedi", partendo naturalmente dal presupposto che siano plausibili le considerazioni svolte nei paragrafi precedenti, ovvero a) che il rischio dell'autodistruzione provocata dalla guerra nucleare (e... affini) sia ormai una condizione esistenziale ineliminabile; b) che il rischio ecologico sia almeno pari, se non superiore, a quello della guerra atomica e che possa essere potenzialmente foriero di gravi conflitti internazionali; c) che la pace possa essere il valore supremo solo per chi è in condizioni (materiali e morali) di vivere una vita degna di essere vissuta. Robbio enumera e discute i rimedi proposti individuando "tre filoni principali, secondo che il rimedio alla guerra consista in un'azione sui mezzi, sulle istituzioni, o sugli uomini" (p. 48) da v.alutare razionalmente secondo i due parametri dell'attuabilità e dell'efficacia: "per fare una scelta razionale tra le diverse vie bisogna tener conto di due requisiti fondamentali: l'attuabilità e l'efficacia. Per attuabilità intendiamo la possibilità ragionevole che il rimedio proposto, tenendo conto dell'esperienza del passato e della direzione odierna del progresso storico, venga adottato; per efficacia intendiamo la probabilità ragionevole che il rimedio, una volta adottato, produca gli effetti sperati" (p. 51). Pur condividendo l'asserzione bobbiana per cui "un giudizio di preferenza, che conducesse all'esclusione di questa o di quella o di tutte a favore di una, sarebbe una stoltezza" (ibidem), m.isembra tuttavia sensato chiedersi quale possa essere la via maestra della pace. La prima via è quella diplomatica del disarmo, cui.si è già fatto cenno: è indubbiamente la più attuabile, ma altrettanto indubbiamente la meno efficace. Non si può più ritornare ali "'ignoranza atomica". · 27

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