IL CONTESTO Pacifismo e oltre La pace e la guerra nel pensiero di Norberto Bobbio Ermanno Vitale 1. Scrivere pubblicamente di certi libri procura un lieve senso di imbarazzo perché ogni osserv,azione rischia di apparire inadeguata o perlomeno superflua, in quanto, a ben vedere, la si trova già discussa in qualche punto del testo. L '.imbarazzo, per ragioni evidenti, aumenta ancora se chi scrive concorda con le assunzioni generali del libro in questione. Un semplice invito a un'attenta lettura potrebbe forse costituire l'atteggiamento più sobrio e coerente: ma, per altro verso, è proprio l'importanza condivisa 1egli argomenti proposti che muove l'esigenza della discussione. E questo il caso del volume Il terzoassente.Saggi e discorsisullapace esullaguerra, a cura di Pietro Polito, Edizioni Sonda, Torino 1989, che presenta la quasi trentennale riflessione di Norberto Bobbio (i contributi raccolti vanno dal 1961 al 1988) sul pacifismo. Di fronte al fatto assolutamente nuovo costituito dalla reale eventualità dell'annientamento della specie umana a causa della guerra termonucleare, l'elaborazione progressiva della prospettiva pacifista bobbiana muove dalla critica serrata alle tradizionali giustificazioni della guerra per estendersi alla considerazione dei diritti dell'uomo e del processo di democratizzazione delle relazioni internazionali come indispensabili premesse alla possibilità che il pianeta raggiunga finalmente una pace non fondata sull'equilibro del terrore, altra dalla tregua fra due guerre: "Le due grandi dicotomie del pensiero politico, pace~guerra, democrazia-dispotismo, confluiscono l'una nell'altra, e permettono di tracciare un quadro entro cui si possono designare a grandi linee le diverse eventuali linee della storia futura. Mentre il dispotismo può essere considerato come la continuazione della guerra ali' interno dello stato, così la democrazia nel sistema internazionale può essere considerata come il modo di espandere e di rendere più sicura la pace al di fuori dei copfini dei singoli stati. L' avvenire della pace è strettamente connesso con l'avvenire della democrazia" (p. 9). Di questo processo globale di democratizzazione delle relazioni umane, idest del progresso morale dell'umanità, Bobbio ritiene di scorgere due fondamentali signapronostica: l'esistenza dell'ONU, in quanto manifestazione di un conatus verso la risoluzione pacifica dei conflitti internazionali, e soprattutto l'attenzione sempre maggiore rivolta, nelle sedi più disparate, al problema dei diritti dell'uomo: "è in questa zona di luce che colloco al primo posto, insieme coi movimenti ecologici e pacifisti, l'interesse crescente di movimenti, partiti e governi, per l'affermazione, il riconoscimento, la protezione dei diritti dell'uomo" (p. 117). All'interno di questa linea unitaria mi è parso tuttavia di rintracciare nel pensiero di Bobbio accenti e suggestioni di volta in volta diversi, ma proprio per questo stimolanti: quale rapporto fra la pace e gli altri valori? Quali relazioni fra pacifismo ed ecologia? Pacifismo giuridico o pacifismo morale? Certo sarebbe perlomeno irragionevole pretendere un impianto fortemente sistematico da una raccolta di contributi scritti in un arco di tempo non trascurabile e con destinazioni tanto di verse: in ciò si trova la spiegazione più facile ed ovvia delle differenze cui ho accennato. Prescindendo, in piena consapevolezza, dai tempi e dalle occasioni in cui tali scritti furono composti, ho cercato piuttosto spunti di discussione. Ciò che segue è da considerarsi come la stesura, inevitabilmente schematica e insufficientemente articolata, di qualche mia annotazione a margine del volume. ' 2. Si potrebbe iniziare con una domanda provocatoria: la cultur11della pace non è irrimediabilmente perdente? Anche prescindendo dalle esaltazioni esplicite della guerra come momento in cui si dispiega a tutto tondo la volontà di potenza che domina il mondo o una imperscrutabile volontà divina, tutta la storia del pensiero occidentale, come ampiamente dimostra Bobbio, si adopera a giustificare in qualche misura l'esistenza e la "legittimità" della guerra, almeno di quelle difensive o che riparano un torto, oppure combattute in nome di un valore; altrimenti, si invoca la dialettica storica, la guerra come momento negativo di una più alta sintesi dello spirito. Lo stesso Hobbes, cui Bobbio attribuisce il merito di aver posto come valore sommo la pace, ritiene che dalla guerra fra gli stati non discendano conseguenze così rovinose come da quella fra i particolari poiché i conflitti fra nazioni incentivano l'industria dei cittadini (cfr. Leviatano, XIII). A fronte di questa imponente tradizione, le pagine kantiane di Per la pace perpetua e qualche opera di più modesto livello. Neppure si tratta solamente di confutare gli argomenti "realistici" che, fondati sull'immutabilità della natura umana o sull'esperienza storica, concludono unanimi che così è stato, è e sarà sempre: per spingere oltre la provocazione, affermare "sei ancora quello della pietra e della ftonda, uomo del mio tempo" potrebbe persino apparire una sorta di understatement. Infatti, se dal punto di vista dell 'intenzione nulla è mutato, sotto il profilo dei risultati l'ago della storia sembra puntare verso il peggio. In realtà, le capacità distruttive dell'uomo sono andate progressivamente crescendo, fino a compiere il salto qualitativo del nucleare che sembra aver inferto un duro colpo al pacifismo. Afferma Bobbio: "È stato osservato giustamente che si possono distruggere momentaneamente le armi più micidiali, ma non si può farriacquistareall 'uomo l 'ignoranza in cui si trovava prima della loro costruzione. Anche se l 'uomo non costruirà più armi atomiche, sa ormai come si costruiscono. E un giorno o l'altro potrebbe riçomincfare" (p. 52). E questo non è, a mio giudizio, solo un argomento contro I' insufficienza del disarmo per ottenere una pace stabile: ciò significa infatti che l'ipotesi di autodistruzione avrà d'ora in poi comunque il valore di una concreta possibilità. In questa condizione, come fidarsi? Anche una volta smantellati arsenali grandi e piccoli, una tecnologia di fabbricazione ormai relativamente semplice potrebbe invogliare più di un apprendista stregone (e non·necessariamente una grande potenza) a tentare il colpo a sorpresa. E allora, perché smantellare? E comunque, fermare l'escalation degli armamenti atomici attualmente operativi non significa necessariamente rinuncia alla continuazione e perfezionamento della ricerca di laboratorio per la costruzione di ordigni sempre più micidiali. In altri termini, pacifismo significherà d'ora in poi unmodo di convivere con il rischio dell'autodistruzione, poiché I' occasione di prevenire la malattia è andata definitivamente perduta. D'altro canto, per le medesime ragioni oggi più che mai una pace non fondata sul terrore appare necessaria alle prospettive di sopravvivenza dell'uomo. Credo dunque che nel valutare l'attuabilità e l'efficacia dei rimedi, le possibili diverse vie alla pace, occorra purtroppo muovere da questa constatazione. 3. Si potrebbe andare oltre. L'avvento di una pace mondiale stabile sarebbe condizione sufficiente a garantire la sopravviven25
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